Intrawine #22 | Fine wines, Gaja in bianco, scelte di packaging, Ucraina, Brasile e la politica del vino

Intrawine #22 | Fine wines, Gaja in bianco, scelte di packaging, Ucraina, Brasile e la politica del vino

di Massimiliano Ferrari

Nuovo appuntamento con Intrawine, la rassegna stampa di Intravino che raccoglie le notizie più interessanti e originali uscite in giro per il mondo nelle ultime settimane. Uscita autunnale con diversi argomenti da approfondire, si parte con i rapporti fra vino e politica, il vino brasiliano, la lenta ripresa della viticoltura ucraina e altri spunti.

Come sempre, per segnalazioni, consigli, critiche o altro scriveteci: dillo@intravino.com.


Politica e vino
Risale a fine agosto questo pezzo ma mi sembra una lettura interessante da riproporre. L’articolo in sostanza è una riflessione intorno al fatto che bere una certa bottiglia o preferire uno stile di vino o propendere per una filosofia produttiva rispetto ad altre possano essere riflessi di determinate simpatie politiche. Se, come disse il filosofo tedesco Feuerbach, l’uomo è ciò che mangia, potremmo rischiare dicendo che è il risultato anche di ciò che beve e, forzando la questione, il vino che si sceglie diventa sintomatico. Una certa critica inglese di fine anni ’90 era fortemente intrisa di conservatorismo e la massima prospettiva era se servire Borgogna o Bordeaux a cena. Allo stesso modo, all’inizio degli anni 2000 un gruppo di critici di Wine Spectator diventò il megafono con cui promuovere un certo tipo di vino rosso corposo, dalla forte connotazione di frutto e legno, rifiutando altri punti di vista o produzioni che si allontanavano da questo standard produttivo, in sintonia con un’industria vinicola fortemente legata al partito repubblicano. Oggi invece il panorama risulta molto più frammentato fra correnti naturali e biodinamiche, grandi player industriali, artigianalità e vini convenzionali. Un quadro questo che diventa identificativo di un panorama politico esploso fra movimenti, tendenze, piccoli e grandi partiti. Quindi quanto di quello che beviamo ci identifica come elettori di una certa corrente politica rispetto ad un’altra? La risposta nel pezzo non viene data ma è interessante notare come bere una bottiglia rispetto ad un’altra, preferire una certa filosofia produttiva porti in modo inevitabile a schierarsi, soprattutto in un paese come il nostro dove ogni presa di posizione è già di per sé una contrapposizione a qualcos’altro. Il pezzo si conclude con una triste ma ironica realtà: negli scorsi mesi il governo inglese, intervenendo sulle accise all’alcol, si è preoccupato di non alzare il prezzo delle pinte nei pub. Il motivo? Il popolo, le masse, non bevono vino ma birra.

The politics of wine (TimAtkin)


Vademecum al vino brasiliano
Qui cerchiamo di scoprire qualcosa in più sul vino brasiliano, le sue dinamiche e la sua crescita. Il Brasile è essenzialmente uno stato nato sotto l’impulso di forti correnti migratorie e così anche la coltivazione della vite arrivò al seguito di portoghesi, spagnoli e italiani. Fu negli anni ’70 che grandi compagnie come Moet&Chandon si installarono nel paese, iniziando una fase di modernizzazione della viticoltura brasiliana. Nonostante siano quasi cinquecento anni che si fa vino in Brasile, ad oggi si contano soltanto 1100 aziende e i vini prodotti subiscono ancora una schiacciante concorrenza da parte di più quotati vicini come Cile e Argentina. Ma la vastità e la varietà del territorio brasiliano, i diversi regimi climatici presenti e una qualità crescente lasciano supporre che nei prossimi anni bottiglie partite dal Brasile si troveranno con maggior frequenza in giro per il mondo.

What you need to know about brazilian wine (SevenFiftyDaily)


Il vino in Ucraina non si ferma davanti alla guerra
Ci spostiamo in Ucraina con questo approfondimento su come l’industria viticola locale continui ad andare avanti nonostante l’aggressione russa non si fermi dal febbraio dello scorso anno. Il vino ucraino ha conosciuto una rinascita nei primi anni Duemila, grazie all’incontro con professionisti occidentali e ad un crescente interesse verso tecniche di vinificazione moderne. Oggi, nonostante bombe e attacchi, il vino ucraino sta vivendo per quanto possibile un momento positivo. I consumi interni di vino nazionale sono in aumento, le restrizioni legislative si sono allentate e i mercati esteri iniziano ad interessarsi alle bottiglie ucraine. Ovviamente la situazione rimane critica e le difficoltà di lavorare in queste condizioni sono tante. Diverse cantine sono state colpite o distrutte dai missili russi, la logistica è a pezzi, i prezzi alti dell’energia e un calo della forza lavoro sono solo alcune delle sfide che il vino ucraino deve fronteggiare. La speranza è che il vino ucraino possa ritrovare forza ed energia per ripartire non appena questo odioso conflitto terminerà.

How the Ukraine wine is having a unexpected renaissance (The Buyer) 


Il futuro di vino e spirits passa anche dalla scelta del packaging
Frequentando con attenzione il mondo del vino e quello degli spirits è ormai una consuetudine imbattersi in packaging che al vetro stanno preferendo materiali alternativi, formati inconsueti e soluzioni che puntino ad un minore impatto ambientale e alla riduzione dei costi. Il pezzo mette in fila diverse esperienze, dall’azienda australiana che ha lanciato una vodka in bag in box alla cantina californiana che ha lanciato una bottiglia di vino in plastica riciclata. Questi sono solo due esempi di un cambiamento che sta prendendo corpo in settori e aziende diverse ma con un obiettivo comune: cercare soluzioni che vanno nella direzione della sostenibilità, di una diminuzione di emissioni nocive, di una riduzione dei costi di produzione e di approvvigionamento. Altro tema che viene sollevato è allargare le occasioni di consumo dal momento che plastica, bag in box e bottiglie a base di carta offrono una versatilità d’uso che il vetro non possiede. Le sfide del futuro per il mondo del vino passeranno necessariamente anche da queste scelte di packaging e vedranno protagonisti chi saprà destreggiarsi meglio con formati innovativi e di qualità.

Can wine and spirits really move away from glass? Today’s consumers are extremely open to alternative pack formats (Beverage Daily)


Il senso di Gaja per i vini bianchi
Gaja è una delle aziende storiche del vino italiano, un marchio rispettato nel panorama vinicolo mondiale. Non sorprende quindi leggere questo interessante report su The Buyer in cui si analizzano i progetti in corso della cantina piemontese. Il titolo è già abbastanza esplicativo: “Come Gaja sta investendo nei propri vini bianchi”. Sembra quasi una boutade per una cantina nota e apprezzata innanzitutto per i suoi vini rossi da nebbiolo. L’idea è proprio di quello di dedicare una maggior attenzione e energia nella produzione di vini bianchi e lanciare un nuovo progetto in Alta Langa. Già nel 1980 Angelo Gaja piantò per primo in Piemonte sauvignon e chardonnay, forte di una visione strategica che ha sempre contraddistinto l’uomo e la sua azienda, mentre oggi l’intenzione è quella di di espandersi con questi vitigni in Alta Langa ad altezze maggiori, sperimentando allo stesso tempo uve come timorasso, pinot bianco e manzoni bianco. Il pensiero alla base è quello di fronteggiare il cambiamento climatico ricercando luoghi che possano sottrarsi agli eccessi del clima degli ultimi anni.

How and why Gaja is investing in its white wine portfolio (The Buyer)


I vini di lusso di una volta non esistono più
Cos’è un vino di lusso? Quali sono le caratteristiche che un vino deve possedere per diventare di culto? Questo pezzo pone alcune questioni che sono centrali oggi nelle discussioni intorno ai fine wines e ai cosiddetti vini unicorno. Se 15/20 anni fa cercare un vino di lusso significava andare a pescare quasi a botta sicura in zone come Bordeaux, Borgogna, Napa oggi lo scenario è ribaltato. Piccoli vignerons dalla Champagne, rossi e bianchi prodotti in Jura e artigiani della Loira sembrano i nuovi must to have. Certo il prestigio delle zone storiche rimane quasi invariato così come i prezzi ma nomi come Domaine des Miroirs, l’Anglore, Richard Leroy o Pierre Overnoy fra gli altri sono il nuovo Eldorado dei collezionisti, vini quasi introvabili chi più chi meno e venduti a prezzi che il mercato ha fatto schizzare alle stelle. E’ cambiato quindi il paradigma di cosa sia lusso, di quali attributi un produttore o una bottiglia debbano possedere per diventare pezzi da collezionismo. Se in precedenza il blasone dell’azienda, la sua eredità storica, il suo savoir faire consolidato negli anni erano elementi imprescindibili oggi questi concetti hanno perso efficacia a discapito di concetti più sfumati dove la scarsità e un certo corredo di artigianalità e “purezza” oltreché a consolidate grancasse social-mediatiche diventano una sorta di pifferaio magico per chi vuole accappararseli.

What even is “fine wine” anymore? (Punch)


Tutto su IntraWine, la rassegna stampa di Intravino:

– IntraWine | La rassegna stampa di Intravino #1 Febbraio 2022
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– IntraWine #3 | vino “croccante”, Barolo a La Place, terroir di Internet e guerra in Ucraina

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Massimiliano Ferrari

Diviso fra pianura padana e alpi trentine, il vino per troppo tempo è quello che macchia le tovaglie alla domenica. Studi in editoria e comunicazione a Parma e poi Urbino. Bevo per anni senza arte né parte, poi la bottiglia giusta e la folgorazione. Da lì corsi AIS, ALMA e ora WSET. Imbrattacarte per quotidiani di provincia e piccoli editori prima, poi rappresentante e libero professionista. Domani chissà. Ah, ho fatto anche il sommelier in un ristorante stellato giusto il tempo per capire che preferivo berli i vini piuttosto che servirli.

4 Commenti

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Tommaso Ciuffoletti

circa 6 mesi fa - Link

Sempre una lettura utile e interessante come poche. Chapeau!

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Omikelet

circa 6 mesi fa - Link

Molto interessante l’articolo sui vini di lusso. Mette nero su bianco una serie di aspetti che avevo notato ma senza riuscire a unire i puntini bene come l’autore del pezzo. C’è da dire che nessuno dei vini elencati suscita in me un desiderio di assaggio… è un buon segno o cattivo segno? Mi viene da dire poi che parallelamente a questa tipologia di vino persiste una nicchia parallela, quella di grandi vini sottovalutati o, magari, semplicemente considerati “normali” e quindi con scarso appeal.

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Vinogodi

circa 6 mesi fa - Link

...avendo, per grande fortuna personale, assaggiato tutto " prima e dopo" , devo dire che i grandi storici rimangono " grandi" e gli emergenti... buoni e migliorati , a volte decisamente, ma solo oggetto di desiderio per la novita' e rarita' . Poi ognuno si faccia male, economicamente, come vuole.

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marcow

circa 6 mesi fa - Link

L'articolo di Zachary Sussman What even is “fine wine” anymore? (Punch) è efficacemente sintetizzato nella conclusione della presentazione di Massimiliano Ferrari. Dall'articolo: "Se in precedenza il blasone dell’azienda, la sua eredità storica, il suo savoir faire consolidato negli anni erano elementi imprescindibili oggi questi concetti hanno perso efficacia a discapito di concetti più sfumati dove la scarsità e un certo corredo di artigianalità e “purezza” oltreché a consolidate grancasse social-mediatiche diventano una sorta di pifferaio magico per chi vuole accappararseli" (Dall'articolo) Attenzione, questa frase "oltreché a consolidate GRANCASSE SOCIAL-MEDIATICHE diventano una sorta di PIFFERAIO MAGICO per chi vuole accappararseli" non è contenuta nell'articolo di Sussman ma è di Massimiliano Ferrari.(A meno che non mi sia sfuggito qualcosa leggendo l'articolo di Sussman) Non conoscevo Sussman. Sul web gode di una certa fama come esperto statunitense di vini ma leggendo il suo articolo sono rimasto un po' perplesso. Non mi sono fermato a questa prima impressione e ho continuato la ricerca sul web: ho trovato un articolo che mi è parso, invece, notevole: "Unicorne Wines" https://worldoffinewine.com/news-features/unicorn-wines-5886866

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