Vinitaly 2024 | L’orchestra suona mentre la nave affonda?

Vinitaly 2024 | L’orchestra suona mentre la nave affonda?

di Jacopo Cossater

«Il Vinitaly più caldo dal 2019» esclamava divertita sabato sera la proprietaria dell’Osteria Sottoriva, da sempre uno dei “buen retiro” più affidabili durante le affollate serate veronesi. Non si sbagliava e anzi, a guardare lo storico, era da molti anni che non vivevamo un inizio di aprile con temperature così alte. Settimane che, a certificare quella che è una tendenza ormai consolidata, arrivano dopo il decimo mese consecutivo più caldo di sempre.

Da giugno del 2023 a marzo del 2024 è stato così ogni quattro settimane. Il giugno più caldo di sempre, il luglio più caldo di sempre, l’agosto più caldo di sempre e via così fino a quello che si è appena concluso. Una curiosità forse utile a sottolineare l’eccezionalità di questo momento storico: il mese di febbraio, in Austria, è stato più caldo del suo marzo più caldo di sempre. Quello relativo al caos climatico è stato però un tema tutt’altro che centrale durante le giornate di Vinitaly.

Qualche panel qua e là, nessun politico, zero copertura mediatica. Due quelli che mi ero segnato: “Tra suoli e cantina: la biodinamica in risposta agli effetti della nuova tendenza climatica” organizzato da Vi.Te. Vignaioli e Territori, l’associazione che gestisce l’omonimo e sempre molto affollato spazio dedicato ai vini naturali all’interno della fiera, e “Come il clima cambia il vino” organizzato da Confagricoltura.

Proprio il suo presidente, Massimiliano Giansanti, ha ribadito in diverse interviste la necessità di un approccio sempre più deciso alla questione climatica: «Scienza e ricerca applicate sono fondamentali anche nel comparto vitivinicolo, l’autorizzazione a impiantare nuovi vitigni resistenti a siccità e malattie sarà determinante per non compromettere le raccolte». Si è trattata però di voce piuttosto isolata in un contesto che sembra occuparsi in maniera sempre troppo laterale di questioni così centrali.

Da una parte, il ruolo dei vitigni resistenti, i Piwi, incrocio tra varietà di uva resistenti alle malattie fungine e varietà tradizionali. Dall’altra, quello dei vitigni autoctoni, quelli più legati a uno specifico luogo che meglio di altri si adattano a lunghi periodi di siccità. Nel mezzo, la ricerca sui migliori portainnesti, sulla gestione dei suoli, del verde, etc. Tanti temi aperti che riguardano la viticoltura alle latitudini a noi più familiari, situazione che deve anche fare i conti con una leggera, forse allarmante, diminuzione delle vendite, nel 2023. Così scriveva il sempre puntuale Giorgio dell’Orefice su Il Sole 24 Ore appena qualche settimana fa: «L’export di vino made in Italy ha chiuso il 2023 con un calo in valore dello 0,8%. Il fatturato si è infatti fermato a quota 7,7 miliardi di euro. E negli ultimi 20 anni di continua crescita un segno negativo era stato registrato solo nel 2020 per l’effetto del Covid e nel 2009 anno che ha seguito la grande crisi finanziaria.»

Qua e là si è sentito ogni tanto mormorare che una decisa politica di espianti potrebbe essere una soluzione. Ridurre la quantità per fare un ulteriore salto di qualità sulla scia di quanto già avviato a Bordeaux l’anno scorso, dove verranno espiantati vigneti per un estensione pari al 9 per cento della denominazione. «Invece degli espianti, incentivare qualità e sostenibilità», dice però e nonostante un certo conflitto di interessi Yuri Zambon, direttore tecnico commerciale di Vivai Cooperativi Rauscedo: «il rischio strettamente connesso agli aiuti alle estirpazioni è quello di incentivare l’abbandono dei vigneti collinari e delle aree interne accelerando il fenomeno della “migrazione” della vite verso gli areali più produttivi di pianura». Magari sì, magari no, sono però mesi che Angelo Peretti, tra gli altri, segnala quanto molte grandi aziende si stiano avvicinando alla vendemmia del 2024 con grosse giacenze di vino nelle rispettive cantine, avanzi che fanno guardare alla stagione in arrivo con più di qualche timore.

Nel frattempo il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio continua la battaglia (sua e del governo) contro gli health warnings irlandesi: «È fondamentale che l’etichetta contenga le informazioni giuste e necessarie per una scelta consapevole, senza inutili allarmismi o complicazioni burocratiche». Una posizione che da sempre si affianca a quella relativa a una certa salubrità del vino: «Il consumo di vino moderato previsto nella dieta mediterranea non è nocivo, anzi può portare anche benefici alla salute» ha sostenuto non senza un certo sprezzo del pericolo. Se infatti le posizioni che affiancano vino e salute sono per fortuna sempre meno, a favore di un consumo consapevole, non stupisce il veloce e forzato allontanamento delle ragazze che durante l’intervento del ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida hanno iniziato a sventolare cartelli che riportavano la scritta “Cannabis legale come il vino“. Altro che vini senz’alcol, il mondo del vino sa benissimo che un’eventuale apertura verso le droghe leggere porterebbe un ulteriore duro colpo ai consumi (esattamente come sta succedendo negli Stati Uniti, dove con diverse sfumature queste sono legalizzate in 38 stati su 50).

Cannabis legale

Come poi era ampiamente prevedibile e nonostante i consumi rappresentino una percentuale pressoché trascurabile, non c’è stata conferenza o quasi in cui non si sia discusso di vini dealcolati. Ne ha scritto appena giovedì il sempre ottimo Lorenzo Ruggeri sul Gambero Rosso: «Rientriamo da Verona con un’idea ben chiara: è finita l’epoca della feroce contrapposizione tra vino naturale e convenzionale. E ne è nata una nuova: la spaccatura tra vino tradizionale e dealcolato». Non fa una piega, si tratta infatti di tema che mette d’accordo tutti o quasi. Non si sta attaccando un pezzo di industria come quello della birra o degli spiriti, da sempre competitor del vino ma che rappresentano anche pezzi di economia, oltre che posti di lavoro. Si attacca qualcosa che non esiste, una minaccia virtuale in grado di compattare mondi anche molto lontani tra loro, seppur con qualche sfumatura.

Proprio il Gambero Rosso ha ospitato nel suo stand un confronto tra Paolo Vodopivec, presidente dell’associazione Viniveri, la più storica e importante tra quelle dei vini naturali, e Lamberto Frescobaldi dell’omonima cantina e presidente di Unione Italiana Vini. Se il primo si rifiuta di chiamarlo vino il secondo è stato più possibilista, sottolineandone le possibili opportunità commerciali. Un confronto che sulla carta prometteva scintille si è risolto in strette di mano e pacche sulle spalle, come se chi parlava non avesse, e non da oggi, una visione del vino lontanissima da quella dell’altro.

All’Antica Bottega del Vino tutto scorre come più o meno sempre, il fatturato durante le giornate di fiera si impenna, l’ottimismo regna sovrano e in Vicolo Scudo di Francia le tovaglie vanno bene anche sui cassonetti (immagine in apertura). È lì che va in scena il vino che tira di più non solo su Instagram ma anche nelle carte di mezzo mondo, quello del segmento cosiddetto super premium. Bravissimi, io però preferisco la buona vecchia Osteria Sottoriva.

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

12 Commenti

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Stefano Cinelli Colombini

circa 2 settimane fa - Link

Suggerisco a tutti la lettura di libri di storia del clima, sono utili. Quando il clima cambia non trova subito una nuova stabilità (qualunque essa sia), prima ha decenni di sbalzi impazziti. Accade sempre. Non voglio passare per menagramo, ma ci aspetta un lungo periodo di siccità e alluvioni, gelate e caldo torrido e così via. Non sarà facile gestire le vigne, né la produzione agricola in generale. Sarebbe molto più semplice se si trattasse “solo” di riscaldamento globale, basterebbe passare in massa alle note tecniche di agricoltura da arido. Temo che sia tutto molto più problematico.

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Gabriella

circa 2 settimane fa - Link

Basti pensare all'emergenza siccità (e tutto ciò che ne consegue) in corso per esempio in Zimbabwe, Malawi e Zambia, tutti paesi esposti alla crisi climatica, in cui le coltivazioni sono altamente dipendenti dalla pioggia (solo quest'anno a febbraio, periodo in cui c'è più bisogno di pioggia per l'agricoltura, hanno ricevuto appena 1/5 dell'usuale precipitazione). Le precipitazioni inferiori alla media e la siccità vedono come prima causa il fenomeno El Niño e non il riscaldamento globale (sebbene già si possa intuire cosa accadrà in questa regione del mondo con un innalzamento della temperatura, che è già in atto e percepibile negativamente, peggiorando la situazione di un'annata siccitosa). Di fatto gli effetti di El Niño sono stati ancora più devastanti dopo che negli ultimi 2/3 anni, tutta l'Africa meridionale è stata colpita da eventi climatici estremi come cicloni e piogge torrenziali. Ciò che preme a queste comunità agricole, e come dovrebbe interessare urgentemente in questa nostra parte di mondo, è come rispondere con delle soluzioni efficaci per adattarsi in modo rapido agli shock climatici.

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Giuseppe

circa 1 settimana fa - Link

Butto li' la provocazione: e perche` invece degli espianti (costosi) non si apre alla produzione di vini de-alcolati/lo-alcol? Chiamateli come volete ma, dati alla mano, sono l'unico settore per cui c'e` grande richiesta, soprattutto dall'estero (e non credo si esaurira' nei prossimi anni) e rimanerne fuori in nome di una tradizione tutta da dimostrare (mio nonno beveva vino fatto in casa che arrivava a malapena a 9-10 gradi...) mi sembra la classica mossa da Tafazzi... Buona giornata a tutti

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mariazzo

circa 1 settimana fa - Link

Penso che creare impianti per de-alcolare il vino sia anch'esso costoso. Magari vale la pena, come capita per alcune spumantizzazioni, rivolgersi a terzi. Detto ciò, ho avuto modo di assaggiare una bollicina dealco e beh...non sono rimasto folgorato. I vini a 9-10% si ok... ma a che pro? a livello salutistico forse è peggio che bersi un bel vino importante da 15%. Alla fine è sempre una bevanda alcolica, ma avendo meno volume alcolico, ne bevi sostanzialmente di più.

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Giuseppe

circa 1 settimana fa - Link

Si' da quel che ho capito (non sono del settore) gli impianti sono abbastanza costosi, d'altra parte non credo che produzioni di quel tipo siano "nicchie di qualita`" piuttosto lavoreranno su grandi volumi (quelli che adesso temono l'invenduto e potrebbero chiedere sovvenzioni per l'espianto come gia` successo in Francia) per ottenere prodotti che incontrano il gusto di un pubblico che. per un motivo o per l'altro chiede "bevande" con zero o meno alcol. L'idea che mi sono fatto (da esterno) e' che comunque sia un settore economicamente promettente per i prossimi anni e forse non conviene troppo fare "gli schizzinosi" e rimanerne fuori per principio. Buona giornata

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Paolo

circa 1 settimana fa - Link

"dati alla mano, sono l'unico settore per cui c'e` grande richiesta, soprattutto dall'estero " abbiamo qualche dato? da settimane leggo articoli su queste (nuove) bevande, e non riesco a trovare se non cifre frammentarie e poco significative. Io cercavo cose come volumi, fatturati, esportzioni nette, pecentuali di crescita... insomma, quelle vecchie, care, obsolete cifre che tanto piacciono ai canuti economisti che ancora pensano "le chiacchere non son soldi".

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Giuseppe

circa 1 settimana fa - Link

ciao Paolo, premesso che non sono ne' del settore vino ne' finanza/economia ti riporto solo qualche link a siti vari Vini no e low alcol, i numeri e le opportunità https://www.millevigne.it/vini-no-e-low-alcol-i-numeri-e-le-opportunita/ NO e LOW alcol, un treno da non perdere https://www.millevigne.it/no-e-low-alcol-un-treno-da-non-perdere/ Il paradosso del vino italiano low e no-alcol negli Usa: uve italiane, business americano https://www.italiaatavola.net/winemag/2024/2/8/paradosso-del-vino-italiano-low-no-alcol-negli-usa-uve-italiane-business-americano/102967/ dove qualche numero si evince pur non essendo "data sheet economici" come forse cerchi tu. L'idea che mi sono fatto (da esterno) e' che comunque sia un settore economicamente promettente per i prossimi anni e forse non conviene troppo fare "gli schizzinosi" e rimanerne fuori per principio buona giornata

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Gaddo

circa 1 settimana fa - Link

Bellissimo pezzo, dal titolo al contenuto. Mi ha colpito perché la sensazione che si avverte è proprio quella di un mondo che si è fatto eccessivamente autoreferenziale, che risplende nelle grandi kermesse ma che tenta di nascondere la polvere sotto il tappeto. Il post pandemia ci ha fatto credere in una nuova età dell’oro ma in pochissimo tempo la situazione ha assunto sfumature molto diverse. I cambiamenti del mercato (che volente o nolente è padrone di tante scelte di oggi e di domani) sono diventati repentini tanto quanto quelli del clima e, da operatore del settore, percepisco la stessa sensazione di disagio che, immagino, senta L’agricoltore quando vede avvicinarsi nuvole nere o quando le previsioni meteo annunciano drastici cali delle temperature quando la vegetazione delle vigne è già molto avanti rispetto alle tempistiche da calendario ideale…tutto è costantemente in discussione. Credo che alcune politiche di prezzo (sicuramente definite da inflazione e aumento dei costi) abbia allontanato una fetta di consumatori che teme di strapagare qualcosa che fino a qualche tempo fa costava un bel po meno. Credo che la vera urgenza del nostro mondo non stia nella ricerca di vini dealcolati o nell’’espianto di vigneti ma consista più nel far riavvicinare chi si è sentito in qualche modo tradito da “noi”, il modo ovviamente non lo conosco ma spero che ci lavori chi è più intelligente e capace di me.

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Vinologismo

circa 1 settimana fa - Link

La più grande azienda che dealcolizza il vino è tedesca e ha due metodi/procedimenti con due differenti "macchinari" ....ho avuto modo di assaggiare alcuni "succhi" senza alcool al Prowein....vomitevoli ....sentori di smalto , gomma , plastica ....NON è VINO....speriamo che finisca presto questa sciocchezza che non fa bene a nessuno...forse a qualche salutista vegano....ma che bevano succhi di frutta bio ..ce ne sono tanti .....povera Italia che si perde a seguire queste mode .....viva il vino VERO

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Lanegano

circa 1 settimana fa - Link

Dottor Vinologismo, dopo che ha scritto questa santa e giusta cosa io le voglio sinceramente tanto bene !!!!

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Aulu

circa 1 settimana fa - Link

Nessuno parla dell utilizzo ( legale) di zucchero per aumentare la gradazione zuccherina o spumantizzare non proveniente dall uva in molti paesi dell' unione europea. Basterebbe questo per risollevare la viticoltura europea ma forse a chi comanda in Europa non conviene....

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Alberto

circa 5 giorni fa - Link

https://www.inumeridelvino.it/2024/03/italia-esportazioni-di-vino-aggiornamento-2023.html#more-60660 Chiedo scusa, ma come si fa a sostenere toni allarmistici quando la situazione è quella di cui sopra? Non voglio passare per negazionista, lungi da me, ma dal 2015 al '19 c'è stata una crescita costante media di meno del 5%/anno, con un delta fra i due estremi del 19,4%... dal 2019 al 2023 c'è un balzo del 20,7... Considerando che la pandemia aveva segnato - per ovvi motivi - un piccolo arretramento, e l'incredibile risultato del 2022, considerando anche che le variazione fra '22 e '23 è del solo 0,7%, non sarà il caso di rivedere i toni? Anche l'entusiasmo nei confronti dei dealcolati... non sarà il caso di confrontarsi coi numeri? Non sarà il caso di capire cosa costa in termini energetici dealcolare? Allo stato attuale a me pare che ci siano poche idee ben confuse su questi tsunami che stanno azzerando il mondo del vino...

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