Intrawine #27 | Consumi a picco, etichette incriticabili, vino come sangue e pregiudizi sulle donne

Intrawine #27 | Consumi a picco, etichette incriticabili, vino come sangue e pregiudizi sulle donne

di Massimiliano Ferrari

Nuovo appuntamento mensile con Intrawine, la rassegna stampa di Intravino che raccoglie le notizie più interessanti e originali uscite in giro per il mondo nelle ultime settimane.

Anche questo mese troviamo nuove storie, approfondimenti e pezzi da leggere su diversi argomenti: i consumi toccano il fondo, come e cosa bevono i millennials e la Gen X, la “guerra” dei vini naturali e altre notizie da leggere con calma.

Come sempre, per segnalazioni, consigli, critiche o altro scriveteci: dillo@intravino.com.


Nella guerra dei vini naturali hanno vinto tutti
La prima segnalazione del mese arriva dalla raffinata penna di Andrew Jefford che su New Statesman descrive come una vera e propria guerra culturale l’impatto che i vini naturali hanno avuto nell’arena enoica globale e il loro successivo consolidamento all’interno della stessa. L’articolo parte dalla constatazione che la “guerra” mossa dai vini naturali all’establishement ha prodotto molti fronti: quello di una viticoltura più rispettosa dell’ambiente, il ritorno della macerazione per i vini bianchi oppure la demonizzazione dell’anidride solforosa e, più in generale, di qualsiasi manipolazione invasiva che facesse l’occhiolino a processi industriali. Se c’è stata una vittoria in questa disputa cultural-enologica per il naturale, non ha nulla a che vedere con protocolli che proibiscono la SO2 o definizioni più o meno azzeccate di questi vini. Si tratta piuttosto di un vento nuovo che, spinto da queste bottiglie e dai loro produttori, ha soffiato su una cultura del vino “agonizzante”, come la definisce Jefford, poco inclusiva e stagnante, aggiungo io. I vini naturali hanno attirato consumatori con pochi pregiudizi, hanno spopolato nelle maggiori metropoli mondiali e hanno promosso l’idea di vini diversi in cui credere e alla fine questo conflitto ha portato benefici a tutti.

In wine’s culture war, we’ve all been winners (New Statesman)


La critica impossibile dei grandi vini
Qui un altro pezzo degno di nota che porta la firma di Jamie Goode. Si tratta di una riflessione acuta e attuale su diversi temi: il lavoro di un critico di vino, i rapporti che si creano fra alcuni vini e il lavoro di un giornalista e le difficoltà nel mantenere la barra dritta e un’oggettività spesso condizionata in questo affollato mondo. Goode riflette sul fatto che alcuni vini siano ormai al di là di qualsiasi possibilità di giudizio. Nello specifico, il critico britannico esamina come un giornalista che si occupa di recensire grandi bottiglie e vini iconici si trovi nella spiacevole posizione di non arrischiarsi nel giudicarli in modo negativo pena l’esclusione da quel circuito e l’impossibilità in futuro di giudicarli nuovamente. Quello che si viene a creare è un cortocircuito, un vicolo cieco in cui un punteggio basso o una valutazione negativa di un grande vino non porta benefici a nessuno: il giornalista non otterrà nulla dalla pubblicazione e rischierà di mancare successivi assaggi mentre la maggior parte dei lettori guarderà con diffidenza chi mette in dubbio il prestigio di un vino acclamato. Quella di Jamie Goode potrà apparire come la classica scoperta dell’acqua calda ma la sua riflessione merita un approfondimento perché mai come oggi il lavoro di un critico del vino vive momenti delicati immerso in un vortice di influencer, social e rapporti mercantili fra chi produce e chi è tenuto a giudicarne i risultati.

Some wines are beyond criticism (Wineanorak)

Penfolds


Come bevono i millennials e la Gen X?
Ormai non passa mese che su questa pagina non arrivi la segnalazione di un articolo che in qualche modo analizza i rapporti fra generazioni di bevitori e mondo del vino. Solitamente le disamine sono soprattutto rivolte a valutare la relazione con le nuove generazioni tralasciando quelle immediatamente precedenti. Il pezzo riporta le conclusioni di una conferenza tenutasi di recente in California e organizzata dal Wine Market Council, che inquadra i comportamenti dei millennials e della Gen X nei confronti del vino. La fotografia che esce smentisce in un certo senso tanta della retorica che spesso si accumula intorno a questi temi. Innanzitutto, non è vero che i membri di queste generazioni bevono meno. Il 42% dei millennials e il 38% della Gen X fra quelli intervistati dice di bere vino con regolarità 2/3 volte alla settimana e di essere disposto a spendere anche cifre importanti per l’acquisto di una bottiglia. Altro tema è quello legato all’educazione e all’enoturismo. Entrambe le categorie quando visitano una cantina non vogliono partecipare a noiose degustazioni ma preferiscono esperienze rilassanti e godibili. Allo stesso modo, non sono interessati a wine club concepiti spesso per persone più anziane ma sono orientati ad una maggiore libertà nella scelta di quello che bevono e attenti ad avere una flessibilità economica nelle proposte che gli vengono fatte.

Millenials and Gen X want a wine vacation, not an education (WineBusiness)

winebusiness


Vino e sangue fra religione, medicina e mitologia
Ora cambiamo completamente argomento. Dopo critica, vini naturali e consumatori, questo pezzo ci ricorda che il vino è anche un manufatto dalla intensa impronta culturale e simbolica, analizzando le analogie che fin dall’Antichità sono emerse fra il vino (rosso) e il sangue. Per il Cristianesimo il vino è metafora del sangue di Cristo e uno dei suoi pilastri attraverso il rito dell’eucarestia. La Bibbia stessa abbonda di esempi e passi in cui il vino assume un valore simbolico. Ma il rilievo culturale che il vino rosso ha assunto non è relegato solo alla sfera religiosa. Se si guarda alla medicina, per esempio, si scopre che nel 1620 il medico inglese William Harvey, presunto scopritore della circolazione sanguigna, stabiliva una corrispondenza fra le due sostanze mentre, ritornando in ambito agricolo, veniva utilizzato come nutriente per concimare i vigneti. Il suo colore scuro, la sua condizione viscosa e densa, i suoi aromi e sapori hanno fatto del vino rosso la sostanza omologa per eccellenza del sangue e le testimonianze che troviamo in campo spirituale, artistico e scientifico di questa affinità sono lì a dimostrarlo.

Wine in history: wine as blood (The world of fine wine)


Gli uomini non sono disposti a pagare lo stesso prezzo per un vino prodotto da una donna
Nonostante gli esempi di sessismo nel mondo del vino formino un variegato elenco, la notizia qui riportata lo arricchisce di una nuova e poco inaspettata prova. Uno studio delle ricercatrici Alicia Gallais e Florine Livat della Kedge Business School, condotto nel 2021, riporta come gli uomini siano disposti in generale a pagare meno per un vino prodotto da una donna. Le ricercatrici hanno creato due etichette di vino false che in cinque modi diversi comunicassero il sesso del winemaker, uno dei quali era riportare in etichetta solo il nome (inventato) del produttore, Georges Cadieux per gli uomini e Nathalie Panetier per le donne. Inoltre, a due bottiglie è stato aggiunto un adesivo che riportasse l’appartenenza ad una reale associazione di vignaioli, Fémivin da una e Vignerons Indépendants dall’altra. La buona notizia è che quando l’etichetta riportava solo il nome del produttore gli uomini erano disposti a spendere la stessa cifra per entrambi i vini. Si ribalta invece lo scenario quando sulle bottiglie compare l’adesivo che menziona le associazioni: i risultati mostrano una riduzione fino al 20% del prezzo che gli uomini sono disposti a pagare per un vino che rechi l’appartenenza ad un gruppo femminile di winemaker. I pregiudizi di genere non sono certo una novità quanto si tratta di valutare prodotti o marchi che abbiano la firma di un uomo o una donna. Lo stesso, come abbiamo visto, condiziona fortemente anche il mondo del vino. Ma non c’è da stupirsi. Barriere di genere, episodi di sessismo ed esclusione sono temi che nell’industria vinicola e anche nella ristorazione negli ultimi anni sono venuti alla ribalta. Spesso le donne che fanno vino ricevono dalla stampa e dai consumatori attenzioni diverse rispetto agli uomini, il linguaggio che si utilizza nel valutarne i vini è quasi sempre mediato da sfumature che fanno risaltare il sesso di chi li produce e spesso il marketing delle aziende si rivolge più ad un pubblico maschile che femminile, creando così una evidente disparita di trattamento. La speranza, come riporta una produttrice statunitense nell’articolo, “è che tutti i nostri vini vengano giudicati in base al loro merito indipendentemente da chi siamo“.

A woman’s wine is never done (WineSearcher)

winesearcher


La domanda di vino tocca il fondo
Nel grande circo enologico globale la crisi dei consumi è un incubo che perseguita ormai da anni aziende e professionisti del vino. L’articolo che riporto aggiorna le stime su questo trend e quello che ne esce è una fotografia spaventosa. Lo scorso anno il consumo mondiale di vino è sceso al livello più basso dal 1996, con un calo stimato dall’OIV nel 2023 del 2,6% rispetto al 2022 e del 7,5% in confronto al 2018. Il dato più allarmante arriva dalla Cina, dove il calo della domanda ha registrato un drammatico 25%. Le cause sono ormai tristemente note: tensioni geopolitiche, costi energetici in rialzo, problemi alle catene di approvvigionamento e conseguenti aumenti dei costi produttivi e di distribuzione. Queste perturbazioni fanno sì che l’inflazione galoppi e che i prezzi del vino salgano abbassando il potere d’acquisto dei consumatori con conseguente calo di acquisti e consumi. Il pezzo raggruppa una buona serie di numeri e valori, anche relativi al calo produttivo, che danno la misura della congiuntura complicata che il mondo del vino sta attraversando.

Global wine demand drops to 27-year low as high prices hit (Reuters)

Reuters


Tutto su IntraWine, la rassegna stampa di Intravino:

– IntraWine | La rassegna stampa di Intravino #1 Febbraio 2022
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– IntraWine #3 | vino “croccante”, Barolo a La Place, terroir di Internet e guerra in Ucraina

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Massimiliano Ferrari

Diviso fra pianura padana e alpi trentine, il vino per troppo tempo è quello che macchia le tovaglie alla domenica. Studi in editoria e comunicazione a Parma e poi Urbino. Bevo per anni senza arte né parte, poi la bottiglia giusta e la folgorazione. Da lì corsi AIS, ALMA e ora WSET. Imbrattacarte per quotidiani di provincia e piccoli editori prima, poi rappresentante e libero professionista. Domani chissà. Ah, ho fatto anche il sommelier in un ristorante stellato giusto il tempo per capire che preferivo berli i vini piuttosto che servirli.

9 Commenti

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Invernomuto

circa 3 settimane fa - Link

Al solito sempre interessante questa rubrica. Però non condivido questa parte " I vini naturali hanno attirato consumatori con pochi pregiudizi, hanno spopolato nelle maggiori metropoli mondiali e hanno promosso l’idea di vini diversi in cui credere .." per mia esperienza personale e lavorativa nel settore, la sensazione purtroppo è che molti di quelli che si sono approcciati al mondo dei naturali siano tutto meno che privi di pregiudizi (come lo sono anche quelli che condannano a priori i vini naturali). C'è ormai una contrapposizione calcistica o peggio religiosa fra due categorie di bevitori sempre più agli antipodi. Idea confermata dall'ultima frase da me evidenziata, in cui appunto si pone l'accento sul "credere" in un vino, cosa che ritengo oltre che assurda anche dannosa per il mondo del vino (ma proprio per la società, ma questo è un punto di vista strettamente personale).

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Lanegano

circa 3 settimane fa - Link

Applausi !

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marcow

circa 3 settimane fa - Link

L'articolo di Jamie Goode su Wine Anorak parla di un argomento che tratto spesso nei dibattiti e che è il mio chiodo fisso: l'attività della critica eno-gastronomica. Jamie Goode analizza soltanto un aspetto dell'attività di critica: quello che riguarda i vini super famosi (vini iconici, vini unicorno, vini da oligarchi ecc...) E dice delle VERITÀ che sono la "scoperta dell'acqua calda" come dice Massimiliano Ferrari. Ma che tutti ignorano o fanno finta di ignorare. Ho sempre correlato, nei miei commenti, l'attività della Critica ... al concetto di INDIPENDENZA. Non c'è vera critica se non c'è indipendenza in colui che critica. Perché la critica, per definizione, è al servizio del pubblico, cioè del lettore, del consumatore, del bevitore, in questo caso, che vuole fare una scelta di un vino leggendo le valutazioni di un ESPERTO. Ho indicato spesso quali dovrebbero essere gli atteggiamenti, i comportamenti della critica eno-gastronomica indipendente: tra questi, in modo colorito, ho invitato i critici italiani a non "posare il c... sulle poltrone del salotto delle cantine dei vini che deve valutare". Jamie Goode, nel suo articolo, ci dice che per i vini super famosi questo comportamento è un "sogno irrealizzabile" perché ... i critici non vogliono uscire dal circuito ... e ... per non uscire e poter posare negli anni il c... sulle poltrone dei salotto delle cantine dei vini iconici, unicorno ecc... non sono obiettivi e indipendenti e valutano in modo non veritiero. Insomma Jamie Goode, un importante editore, comunicatore e critico, certifica che la critica eno-gastronomica indipendente sui vini super famosi non esiste. PS All'inizio dell'articolo Jamie Goode fa una distinzione tra Comunicazione e Critica: su questo argomento ho scritto molti commenti. Ma ne dovremmo parlare in un dibattito dedicato perché ci sono molte opinioni diverse che dovrebbero confrontarsi.

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vinogodi

circa 3 settimane fa - Link

...non capisco il pregiudizio che si dovrebbe avere, seppur supportato da studio scientifico luminare , sulle cantine gestite da donne. Non lo capisco perchè semplicemente mi sembra una statistica del piffero e non so fino a che punto significativa. Innanzitutto non si riesce a comprendere il grado di conoscenza e competenza del campione testato , chiunque ne sappia di vino o enografia riderebbe di questa statistica, altrimenti Madame Leroy, Madame Leflaive ( RIP) , Madame Noelle Ledru , Madame Cinzia Campolmi , Madame "Stoppa" Elena Pantaleoni, Elisabetta Foradori , Madame Faller ( Colette , RIP , e figlie), Maria Teresa Mascarello, Carlotta e Marta Rinaldi , Madame Cinelli Colombini, Silvia Imparato , Francesca Planeta , Alicia LIni ( gran ...ahem ... produttrice) ecc , ecc , ecc , ecc , cc , ecc , ecc , ecc , cc , ecc , ecc , ecc , ecc , ecc , ecc , ecc , ecc , solo degli enobeoti potrebbero avere preconcetti e discriminare il loro vini , quindi davvero non capisco dove voglia andare a parare il trafiletto , se non occupare un poco di pixels con una statistica simile a quelle se i nostri animali di casa ci preferiscono con le bermuda oppure i calzoni lunghi , tesi dimostrabile statisticamente dal livello di scodinzolamento opportunamente verificato da insigni studiosi con tempo da perdere e finanziamenti pubblici da spendere...

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vinogodi

circa 3 settimane fa - Link

... discettendo , invece seriamente, della critica asservita alla grande etichetta , come ci fossero schiere di genuflettenti questuanti pronti a tessere le lodi di questo e quello pur di accedere al privilegio raro di bere queste chicche inarrivabili, mi sembra ci si addentri in ovvietà palesi : sappiamo bene che la critica enologica è un mondo di "troie e ballerine" , parlo di quella apparentemente seria , non quella molto più remunerativa dell'influencer da quattro soldi che spopola sul web e seguito da stormi di asini raglianti e di incapaci di intendere e volere: d'altronde Wanna Marchi e la Ferragni ci hanno abbondantemente insegnato la via di monetizzare sui coglioni . Il critico fa fatica o , tantomeno, ha grosse difficoltà a permettersi bottiglie che sono oggetto del loro sapere e lavoro , quindi per lui indispensabile raggiungere compromessi discutibili ma realistici, per avere accesso a cotanti gioielli, tenuto conto che a parlare di Monfortino o Romanée Conti si ha più audience che parlare di Ortrugo dei colli piacentini o Spergola di Reggio Emilia . Quindi mettiamoci nei panni di quei poveri cristi e immaginiamo quanti piccioni con una fava si prendono parlando bene delle enoicone : gratitudine dei produttori, più audience, la possibilità di bere vini ormai inaccessibili, conoscenza più vasta del fenomeno dei fine wines e non solo con parziale orizzonte locale , finalizzazione di un mestiere per lo più nato da passione ( se sono un meccanico il mio sogno è guidare una Lamborghini , non una Panda 4X4) . Fatevene una ragione . Volete un giudizio critico e indipendente sui grandi vini ? Scrivetemi e vi risponderò...

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mariazzo

circa 3 settimane fa - Link

mah aggiungo anche una cosa forse banalotta: il grande vino è grande in quanto tale nel tempo e spazio. Se devo criticare un grande vino dicendo che "fa schifo", ci dovrebbe essere un evidente errore alla radice. Perché se sei Grande, non puoi e non devi permetterti di sbagliare. Poi che in un annata rispetto ad un'altra ci si trova più questo o meno quello, sono solo accenti di un insieme generale. Se la nuova Lamborghini fa 1km in meno con un litro, sostanzialmente al consumatore finale non cambia nulla, perché per te che hai la Lamborghini di certo non hai bisogno di contare quanto ti costa e dura un pieno. Sarebbe diverso se sulla Lambo ti trovi il motore della Panda 4x4 :)

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marcow

circa 3 settimane fa - Link

Quasi interamente condivisibile. ____ Chiarisco alcuni punti del mio commento. È "facile" parlare di indipendenza della critica. Ma come accedere a vini costosissimi ... per criticarli, valutarli in modo indipendente? Questa domanda me la sono fatta spesso e non è facile rispondere. Il mio ragionamento è valido ma metterlo in pratica con vini costosissimi non è facile. La questione resta in sospeso. Nel frattempo, quando leggiamo le valutazioni di questi vini facciamo la tara sapendo quello che un editore, comunicatore e critico come Jamie Goode ci ha "rivelato" nel suo articolo di Wine Anorak. (E che già sapevamo) ___ Le stesse considerazioni di Jamie Goode sui vini super famosi io le applico anche alle giornate di presentazione che i vari consorzi italiani organizzano ogni anno per presentare le nuove annate. Gli ESPERTI "invitati" si comportano esattamente come gli "esperti" "invitati" nei salotti delle cantine dei vini super famosi. Se "sgarri" si rischia di essere esclusi. Per dare maggior indipendenza agli esperti invitati dai consorzi si potrebbero adottare degli accorgimenti molto semplici da implementare nelle giornate di presentazione e valutazione delle nuove annate. Manca però la volontà da parte dei Consorzi Nel frattempo si può anche in questo caso fare la tara delle recensione che si leggono ogni anno.

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vinogodi

circa 2 settimane fa - Link

...marcow , siamo sicuri? C'è gente che c'ha campato, dissacrando o parlando male dei grandi vini . Perchè tocca una popolazione molto più vasta , perchè è consolatorio di chi non se li può permettere, perchè fa figo la voce fuori dal coro , il "vaffa..." enologico attira come l'urlatore in TV , fa audience. Io , poi, conosco tanti "critici" che , di contro, millantano assaggi e tessono lodi sul nulla, perchè parlare poeticamente di CàD'Morissio oppure un Le Rocche di Falletto Riserva o Crichet Pajé non si sbaglia mai , anche senza berli...

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max

circa 3 settimane fa - Link

Le cause sono ormai tristemente note: tensioni geopolitiche, costi energetici in rialzo, problemi alle catene di approvvigionamento e conseguenti aumenti dei costi produttivi e di distribuzione. Queste perturbazioni fanno sì che l’inflazione galoppi e che i prezzi del vino salgano abbassando il potere d’acquisto dei consumatori con conseguente calo di acquisti e consumi….. queste sono palle .. sono le scuse che troviamo in GDO ( .. dove lavoro da tre decenni …) per giustificare le perdite di fatturato annue che ormai anno dopo anno superano il 10%….

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