Grands Jours de Bourgogne 2024 | 23 istantanee di una settimana folle (note di colore incluse)

Grands Jours de Bourgogne 2024 | 23 istantanee di una settimana folle (note di colore incluse)

di Redazione

Les Grands Jours de Bourgogne 2024 (GJB) e non solo: una settimana densa in cui l’itinerante evento biennale borgognone è diventato il volano per un tridente intravinico agguerrito che non si è lasciato scappare nulla. Centinaia di assaggi, visite in cantina, ristoranti e bevute di ogni ordine e grado. Impossibile fare sintesi, quelli che seguono sono 23 frammenti da ricordare, mezz’ora di tempo per uno dei post più ricchi ever su Intravino.


Grands Jours de Bourgogne 2024 | 23 istantanee di una settimana folle (note di colore incluse)

di Simone Di Vito, Marco Colabraro e Giorgio Michieletto

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1) L’attendibilità di un format come quello dei Grands Jours de Bourgogne
Normalmente i banchi d’assaggio hanno un’attendibilità relativa ma nelle condizioni in cui abbiamo assaggiato durante questa settimana tutto era più facile e leggibile. Due/tre vitigni (in gran parte pinot noir e chardonnay, qualche aligoté e piccole percentuali di gamay); quasi tutte le stesse annate (la maggior parte 2022, poi 2021, 2023 da botte); vinificazioni e maturazioni abbastanza simili; eventi per il singolo villaggio oppure raggruppati più di uno ma limitrofi tra loro (es. Volnay-Pommard).

2) Temperature di servizio agli eventi: perfette fino a che…
Nella girandola settimanale dei vari eventi, non ci si poteva lamentare delle temperature dei vini. Quasi sempre tra i 14/15° i rossi, intorno a 10/12° i bianchi. Condizioni che oltre alla bevibilità hanno evidenziato la finezza, contenendo inoltre l’alcolicità. Tutto è filato liscio fino all’evento pomeridiano di Nuits-Saint-Georges, dove il luogo scelto era una palestra, e ahimé la temperatura media era di 25-30°C. Un forno, in cui i pinot noir avevano assunto le sembianze di mostri mitologici metà Amarone metà vin brulé. In quelle condizioni difficile apprezzarli, figuriamoci giudicarli.

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I Grands Jours de Bourgogne a Chablis

3) Eravamo a Chablis ma sembrava la fiera di paese
I GJB iniziano ai piedi del blocco collinare dei Grand Cru di Chablis, AOC che per fama e presenza abbastanza diffusa sul mercato può sembrare un territorio grande. In realtà, è un piccolo borgo, talmente piccolo da non avere strutture adatte per contenere un pubblico nutrito. Il risultato è stato un tendone sull’erba, tra fanghiglia, bagni chimici e code: mancavano solo la porchetta e un sottofondo di fisarmonica per essere a una fiera di paese.

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4) L’annata 2022
Iniziamo col dire che non è stata catalogata come “classica” (termine che spesso si utilizza in Borgogna per descrivere annate non entusiasmanti), e questa già di per sé sarebbe una buona notizia. Climaticamente millesimo caldo ma non torrido, con precipitazioni nei periodi giusti e rese più che sostanziose rispetto agli anni precedenti. (Per i più smanettoni, qui un bel focus sull’andamento climatico di Sophie Thorpe).

Premesso che la maggior parte dei vini era da poco in bottiglia (alcuni da un paio di mesi, altri da pochi giorni), molto di quel che abbiamo assaggiato è apparso complessivamente di buon livello, con alcuni picchi verso l’ottimo in determinati villaggi e/o climat, e in particolare per i vini rossi. Diversi vini già mediamente pronti o comunque già espressivi e leggibili, alcuni certamente più di bocca che di naso (specialmente le gerarchie superiori), ma non sono mancati anche quelli contratti e in cerca della forma migliore, sui quali quindi bisogna ragionare più in prospettiva. L’acidità c’è, struttura e concentrazione pure ma nulla di eccessivo, le gradazioni sono ben più contenute (tra i 12 e i 13% vol) rispetto ad esempio alla recente 2020.

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5) La 2022 dei rossi
Su tutti, il meglio lo hanno mostrato i vini della Côte de Beaune: Savigny-Les-Beaune, Maranges Santenay, villaggi normalmente meno altisonanti ma che in questo millesimo sono apparsi i più brillanti, mettendo in mostra espressività, beva gentile e spesso già un buon equilibrio. Più in prospettiva il duo Volnay/Pommard, dove però non mancavano vini già in grande spolvero. In quel di Aloxe-Corton più di qualche Grand Cru già da lacrime agli occhi ma le gerarchie inferiori non erano affatto da meno.

Nella Côte de Nuits alcuni 1er e diversi Grand Cru hanno giustamente un po’ di strada da fare, mentre difficilmente siamo rimasti delusi da un vino di Fixin o Marsannay; in non pochi Gevrey-Chambertin l’annata calda si è fatta sentire ma quando il tannino era al suo posto uscivano fuori vini già pazzeschi; discorso diverso per il trio Nuits-Saint-Georges, Morey-Saint-Denis e Chambolle-Musigny: la temperatura dell’evento ha reso difficile il giudizio, eppure quelli incontrati durante le nostre visite sembravano in linea con i discorsi fatti per gli altri comuni.

(Per il duo Vosne-Romanée/Vougeot prossimamente uscirà un pezzo dedicato a cura di Simone Di Vito)

IMG-20240410-WA00586) Rossi da segnalare

  • Volnay: i 3 Monopole di Pousse d’Or; il 1er Cru Les Aussy di Bitouzet-Prieur
  • Pommard: village e 1er Cru les Charmots di Chateau de Masse (seguirà un post dedicato a questa azienda)
  • Savigny-les-Beaune: 1er Cru Les Peuillets di J.B. Boudier (una delle migliori nuove proposte)
  • Maranges: le Goty di Elodie Roy
  • Aloxe-Corton: Les Combes di J.B. Boudier; GC La Vigne-au-Saint di Domaine de la Croix; GC Clos-Du-Roy hommage a Louis Petitjean di Julien Gros;
  • Gevrey-Chambertin: La Justice di J. Galeyrand; il 1er Cru Fonteny di Mark Haisma; Cuvée Alexandrine di Mark Roy; les Tuileries di Henry Richard; Racine du temps Très VV di René Bouvier
  • Fixin: le Champs des Charmes di J. Galeyrand
  • Marsannay: Clos du Roy di Jean Fournier; Clos des Portes Monopole di Jean-Michel Guillon
  • Bourgogne, Haute-Cotes de Beaune/Nuits:  Orchis Mascula di Naudin Ferrand; Vieilles Vignes di Manuel Olivier; HCN di Julien Cruchandeau

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7) La 2022 dei bianchi
Più o meno la stessa situazione dei rossi ma spesso con un gradino in meno in termini di prontezza e qualche eccesso di maturazione di troppo. A Chablis oltre a frutto pieno e intensità, la verve minerale-sapida era spesso bella e in evidenza. A Mâcon si andava dal verdognolo di alcuni alla ricchezza estrattiva di altri, fortunatamente c’era anche chi aveva il giusto mix, con vini già gustosi, specialmente Saint-Veran e diversi Mâcon-Village.

Nella Cote d’Or, i pochi bianchi di Marsannay assaggiati hanno convinto poco (acerbi), mentre scendendo nella Cote-de-Beaune, già belli e fruibili Saint-Romain, Auxey Duresses, e diversi Pernard-Vergelesses. Nei Corton-Charlemagne qualcosa di spumeggiante c’era già ma in generale molti vini ancora in una fase embrionale. Infine Puligny, Chassagne e Meursault: anche per la presenza di diverse annate (20, 21, 23 da botte), all’evento i nostri assaggi di 2022 non sono stati poi così tanti, ma facendo una tara con le visite, la percezione più o meno comune è stata quella di tanti vini imbellettati a modino, ma che (al momento) hanno poco carisma.

IMG-20240410-WA00578) Bianchi da segnalare

  • Chablis: Petit e GC Le Clos di domaine de l’Enclos; 1er Cru Les Fourneaux di Samuel Billaud; Petit di La Chablisienne; 1er Cru Foret di Louis Michel et fils
  • Mâcon e dintorni: Saint-Véran e Mâcon-Village di F. Chagnoleau; Saint-Véran di Domaine des Crais; Pouilly-Fuisse Clos des Prouges e il 1er Cru di J.A. Ferret
  • Saint-Romain: PerrièreSous la Velle di Henri et Gilles Buisson (per noi una conferma in bianco)
  • Auxey Duresses: 1er Cru Sous-Frétille di J.B. Boudier; les Combottes di Clos du Moulin aux Moines
  • Maranges: En Buliet di Elodie Roy
  • Santenay: Champs Claude di Lucien Muzard
  • Aloxe-Corton: i Corton Charlemagne GC di Chandon de Briailles, Antonin Guyon e Domaine Chevalier
  • Bourgogne: Aligotè V.V. di Elodie Roy
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Chateau de Berù/De Moor

9) Château de Béru e Domaine De Moor: due sfumature di Chablis
Per magnificenza, il primo potrebbe diventare un museo a pagamento. Il secondo invece è un luogo appartato a cui si accede da una porticina. Due aziende di Chablis fuori dalla classicità, due interpretazioni rigorose, simili per alcuni tratti ma distanti invece nel carattere. Le splendide vigne, la varietà di suoli ed esposizioni, una proprietà vastissima e all’avanguardia: a Chateau de Béru tutto si traduce in materia tesa, pensata, ragionata. In compagnia della direttrice Gaëlle Ribe facciamo qualche assaggio: tanta (forse troppa) carica e densità nei vini Terroirs de Béru, Montserre 2022, e Clos de Béru 2020 (il loro Monopole); mentre marcatamente sapido ma già in splendida forma il Cote aux Prétes ‘22 (da noi il più apprezzato), tutti vini che però in generale chiedono pazienza, e per noi forse non al livello dei loro prezzi. Più intima e meditativa, intervallata da silenzi e sguardi, la visita in compagnia di Olivier De Moor, dove i vini hanno il lusso non scontato del non rivelarsi subito, quello che i francesi chiamano charme. Tra gli assaggi, interessante il Bourgogne Aligoté, timido ma tutto incentrato su una verticalità iodata; lo Chablis Bel-Air et Clardy 2022 evidenzia un corpo fluido e una intrigante spalla acido-sapida; da botte invece il 1er Cru Mont de Milieu 2022 mostra già una stoffa di livello superiore agli altri, tra complessità, lunghezza e continue ondate minerali.

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Nei meandri della cantina di Vincent Dauvissat

10) Vincent Dauvissat: dalle nuove 2022 ad una chicca di vent’anni
Cantina emblematica in quel di Chablis, dove già riuscire a varcare la soglia è un privilegio. Lo è ancor di più conoscere Étiennette (la figlia di Vincent) e assaggiare l’intera batteria aziendale della 2022 (tra l’altro in compagnia di un Master of Wine). Su tutti, snello e già molto buono il Petit Chablis, come splendido nel suo essere pieno ma al tempo stesso tagliente il 1er Cru Séchet; sontuosa chiusura del cerchio con una 2002 del Grand Cru Les Preuses… 20 anni di vino, tra lampi di classe, dinamicità di beva e una profondità a dir poco libidinosa.

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11) Il premio-bottiglia della giornata
Durante o dopo i tour de force giornalieri vuoi non premiarti con una grande bottiglia a pranzo o cena?
Su tutte, Meo Camuzet – Clos de Vougeot Grand Cru 2009: in forma strepitosa, tira cazzotti di gusto, con una materia raffinata e inafferrabile, un tannino di gran classe, ventaglio olfattivo soltanto in parte sui terziari e da continuare ad annusare per piacevolezza; profondità infinita.
François Raveneau Chablis 2018: al ristorante diventa il fuoco della tavola, glicerico senza essere pesante, vibrante, capace di accordarsi a un menù vario senza mai prevalere, lungo, sinuoso, godurioso.

12) Ci sono calici e calici, coppe e coppette…
In questa settimana raramente i calici hanno aiutato l’assaggio. Coppe più adatte a una degustazione di gelato, bicchieri talmente alti e stretti da esaltare la verticalità ma per nulla i profumi. Eppure, quando un produttore sceglie i calici giusti, la degustazione assume tutt’altro aspetto e si colgono ben più sfumature…

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Mario Ortega, Domaine Arlaud

13) Domaine Arlaud
Al culmine di una giornata a dir poco frenetica, la nostra maratona del primo giorno prevedeva un’ultima tappa a Morey-Saint-Denis. Ad attenderci c’era Marius Orega, giovane ma preparato dipendente del Domaine Arlaud. Nella silenziosa e ampia sala degustazione ci attendevano un bel calice (finalmente!) e ben 10 pinot noir dal Village al Grand Cru. Tutti 2022 da botte, la maggior parte dei quali apparsi già belli e leggibili. Tra i più apprezzati, il Morey-Saint-Denis ottenuto dai climat En Sevrey e Clos Solon, alta definizione (cosa riscontrata poi in tutta la batteria), bilanciato, con un tannino corto a lasciar spazio ad una bella sapidità di chiusura; sempre a Morey, un pizzico in più di tannino e profondità nel 1er Cru Les Ruchots; entusiasmante lo Chambolle-Musigny 1er Cru Les Sentiers che per grazia e stratificazione del frutto svettava su tutti; un po’ irrequieto e coprente il tannino dello Gevrey-Chambertin 1er Cru Aux Combottes. Un sorriso a 96 denti (3×32) ha accompagnato l’assaggio dei due Grand Cru Bonnes Mares e Clos de la Roche. Altezzosi, vigorosi (ma niente di eccessivo), raffinati e, cosa incredibile, non erano così lontani da una meta di sublimazione. Due grosse ciliegine sulla torta di una degustazione impeccabile. Peccato il finale: “non facciamo vendite in cantina”. Sigh!

14) Sputacchiere come tiri al bersaglio
In Borgogna abbiamo scoperto una certa abilità nello sputare vini in assaggio, ma a tutto c’è un limite. Scatarrate con conseguente rutto, gorgogliate di 5 minuti per poi sputare una goccia, gli “ingobbiti” che pur di avere entrambe le mani libere si infilano la sputacchiera nel portabicchiere e rigettano chinando la testa a mo’ di picchio. Ma il migliore è stato ribattezzato “il putto francese”: piccolino, dai capelli ingellati e dalle pose quasi statuarie, durante una serie di assaggi da botte in cantina sputava da una distanza considerevole con un getto lungo e continuo (a mo’ di fontana) in qualsiasi secchio o contenitore. Più di una volta ci siamo dovuti scansare per non essere centrati ma per fortuna faceva quasi sempre centro…

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Declinati ma con classe…


15) Le degustazioni possibili

Come non approfittare di giorni come questi per qualche visita in cantina? Abbiamo iniziato a fare richieste a dicembre 2023, dove tra mail e telefonate avremo contattato più di un centinaio di aziende. Tra queste, anche più di un tentativo impossibile (“D’altronde siamo qui, quindi perché non tentare l’impossibile?“). Solo il 30% delle aziende ha risposto, tra queste la più veloce (ed educata) a respingerci è stata proprio l’azienda più importante di Borgogna, il Domaine de la Romanée-Conti (foto sopra); per il resto, chi occupato in vigna o per gli eventi, chi non voleva “giornalisti”, chi solo previa “lettera di raccomandazione” del distributore. Alla fine, una buona ventina di conferme e ci è anche toccato sfoltire gli appuntamenti.

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Fanny Sabre

16) Fanny Sabre
Visita illuminante da una vignaiola passionale che produce vini schietti, in cui non mancano carattere e territorio. Una competenza fatta di diciotto vendemmie (le prime alla scuola di Philippe Pacalet) che si fa sentire in tutti gli assaggi. Iniziamo con quelli da botte 2023. Tra i bianchi segnaliamo un aligoté dalla bevibilità compulsiva e dall’equilibrio formidabile; gli chardonnay hanno materia e raffinatezza; simpatico ma non mette tutti d’accordo l’uso del pinot bianco in un blend con lo chardonnay. Passiamo ai rossi da botte e anche qui la mano di Fanny è riconoscibilissima. Alcuni di questi sembrano bianchi travestiti da rossi e per noi sono uno meglio dell’altro. Su tutti ha spiccato il Beaune 1er Cru Chouacheux che, se spillato dalla barrique si esprimeva in potenza e concentrazione con una bella spinta sapida ma nella 2014, aperta per l’occasione, tutto quello che era una premessa si rivela reale e lunghissimo. Frutto pieno, sfumature speziate e ferrose, freschezza, un sorso plastico e intramontabile: bottiglia finita poi a casa in men che non si dica.

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stavamo messi così…

17) Le difficoltà di acquistare in Borgogna? Non è solo questione di costi
Inutile fare la verginella stupita dai prezzi se hai scelto di andare nella zona vinicola più famosa al mondo. Oltre ai costi però un altro problema concreto è stata ovviamente la reperibilità/disponibilità alla vendita da parte delle aziende produttrici. Infatti, non sono poche le visite in cui abbiamo prima strabordato gli occhi per questo o quest’altro vino, per poi, ahimé, scoprire a fine visita che “non ne ho più”, “è tutto già venduto o assegnato”. Neanche il gusto di dire “ottimo ma è troppo caro questo vino!”. Alla fine, a comprare si è comunque comprato, e anche in buona quantità. Tra l’altro, quello che pensavamo fosse un tallone d’Achille (la capienza di una Toyota Yaris 2014) alla fine si è rivelato la nostra salvezza. Chissà quanto più avremmo speso e comprato con una station-wagon di 5 metri.

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Bastian Wolber

18) Bastian Wolber
Visita simpatica, a tratti entusiasmante. Giovanissimo vignaiolo tedesco che se ne frega delle mode e fa il vino come piace a lui. Vista l’indisponibilità di bottiglie, ci ha proposto tanti assaggi da botte 2023, comunque importanti per capire la sua idea di vino. Se i rossi per carattere ed eleganza hanno un’impronta borgognona, nei bianchi si nota più la passione per lo Jura nonché per i vitigni della propria terra natale. Schietto e succoso il suo gamay; di note sulfuree, sale e vivacità l’aligoté; frutto; pulizia e ordine nel Bourgogne rouge, mentre il Pommard è un vino ancora (letteralmente e fisicamente) diviso in due barriques: una terrosa, scura e un po’ troppo scalpitante, l’altra più aerea, soffice ma gracilina; ma la vera chicca è stata il suo riesling (si, avete capito bene), ricavato da una vigna di famiglia in Germania (zona Baden), un po’ Uhlen Roth Lay (Mosel), un po’ savagnin ouillé di Jura, dritto, tagliente e minerale fino al midollo. Assaggio sicuramente inusuale in una settimana monotematica come questa, ma tra i più interessanti dell’intero viaggio.

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19) L’occasione fa l’uomo arricchito…
Dopo un giro senza meta nel centro di Beaune entriamo per curiosità in una delle tante formaggerie. Un’occhiata alla cantina, una agli scaffali e al bancone… Qualcosa cattura la nostra attenzione: uno sconosciuto che teneva in mano, come fosse una pochette, una bottiglia già stappata di Coche-Dury. Incuriositi scopriamo che lì erano praticamente “regalate”, così cediamo alla tentazione e per l’aperitivo a casa prendiamo un Bourgogne 2021 (“il 2020 ve lo sconsiglio, è ancora più cicciotto”). Anche se giovanissimo, di roba ce n’era eccome, ma sapevamo già del probabile esito pastoso (già di per sé un vino di Meursault non è un soldato di prima linea, figuriamoci quelli di Coche-Dury), ma alla modica cifra di 90 € diviso tre, che fai non lo prendi comunque? Non sperperi a mo’ di arricchito? Nella stessa settimana abbiamo visto Fedez col Petrus 2009, Claudio Marchisio con un Haut-Brion 2018, e noi? Coche Dury Bourgogne 2021. Anche sta ca##ata l’abbiamo fatta…

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Louis Lequin

20) Louis Lequin: da una ‘98 di Batard-Montrachet a quattro rossi carini e dai prezzi umani
All’evento sulla Cote de Beaune, l’unico Batard-Montrachet presente (e prontamente segnato sul taccuino) ci ha permesso di conoscere Louis Lequin, persona simpatica, sorridente e disponibilissima. La 2019 del famoso Grand Cru era ancora sulla cicogna, ma quando ci ha versato la 1998, i nostri occhi si sono illuminati. Il giallo oro e le note quasi da passito al naso sono solo qualche capello bianco di una folta e pettinatissima chioma liquida, che al sorso mette in mostra tutta la sua integrità, una raffinatezza fatta di curve, agilità e un lungo riverbero acido-sapido a chiudere. Tre carinissimi rossi di Santenay e un ben più altezzoso Chassagne-Montrachet 1er Cru Morgeot ci confermano lo stile aziendale, quel classico ma affidabile che se aperto nel momento giusto ti regala un bel quadretto di Borgogna. Dopo una rapida scappata nella loro cantina abbiamo visto che oltretutto i prezzi sono anche umanissimi.

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Gran parte della line up di Robert Groffier

21) Robert Groffier
Morey-Saint-Denis. Tardo pomeriggio. A pochi metri dalla proprietà c’è la famosa panchina del Clos de Tart, nell’aria c’è odore di grande degustazione, e così è stato. 9 vini sul tavolo (alla fine diventeranno 11 totali) di cui solo a leggere le etichette viene l’acquolina in bocca. Mentre si chiacchiera, Nicolas Groffier stappa bottiglie come se non ci fosse un domani.

Partiamo con una carrellata di 2022. Fluido e carino il Passetout Grain; già bello e inequivocabile il Bourgogne; c’è un po’ di ritrosia nel Gevrey-Chambertin Les Seuvrées (che, donatoci a fine degustazione, a cena si rivelerà invece una bella bombetta); con i 1er Cru di Chambolle-Musigny iniziamo a far sul serio, dove per equilibrio ed espressività individuiamo nel Les Hauts-Doix il nostro preferito; ancora un po’ irriverente il tannino del Les Sentiers, acerbi e in divenire i gemelli Haute e Bas di Les Amoureuses; il Bonnes Mares da terre bianche alterna lampi di classe a pause per rifiatare, Clos de Bèze è un bimbo in incubatrice. Chiudiamo con un piccolo gioco alla cieca, Nicolas scappa in cantina e torna con due bottiglie senza etichetta. Una il Bonnes Mares ‘19 (chiuso a chiave come i gemelli Amoureuses), l’altra un Haute-Doix 1993, nessuno indovina, ma con la seconda godiamo tanto. Dolce di frutto, disteso, vellutato, lunghissima chiusura dal retrogusto sapido e di frutta, uno stato di grazia che ci dà ancora di più la dimensione di dove eravamo capitati in quel pomeriggio.

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22) In un venerdì già di fuoco, spunta un fuorisalone
In un quinto e ricchissimo giorno di assaggi (tre eventi), non contenti ci siamo anche concessi un tardo pomeriggio al Teahupoo, evento fuorisalone svoltosi presso l’azienda Maison Romane, con la presenza di quelle che sono considerate le “nuove leve” del vino (borgognone e non) ma che in verità già sfornano vini che per diverse ragioni sono diventati i famosi unicorni oggetto del desiderio di molti. Il clima rispetto all’evento istituzionale è di ben altro respiro: una grande corte in festa, un braciere acceso con maialini e cavolfiori sul fuoco, decine di giovani e musica. Tra i vignaioli era presente il succitato Bastian Wolber, e più di un riassaggio non ci ha fatto male; segnaliamo senz’altro i bianchi di Le Grappin (Vezelay e dintorni); l’intera batteria di Marthe Henry (Meursault); l’Aube del Domaine Dandelion; vini e birre di Maison Romane, la presenza aerea ed elegante di Catharine di Les Horees, di cui su tutti pregevoli il Savigny-Les-Beaune e, anche se uscito alla lunga, il suo nuovissimo Volnay. In tutti questi domaine rileviamo una continuità con il classico ma con espressioni certamente più contemporanee che danno, in media, risultati di maggior immediatezza. Fuori dal coro le bottiglie di Vin Noè, che in noi tre hanno prodotto pareri discordanti, tra chi li ha trovati golosi ma poco territoriali e chi invece addirittura anonimi e con più di un difetto.

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Vincent Guillemot

23) Un ‘83 di Pierre Guillemot per chiudere la settimana col botto!
Ultima visita della settimana presso lo storico Domaine Pierre Guillemot. Tanti assaggi sia da botte che da bottiglia in compagnia di Vincent, metodico e iperattivo nipote di Pierre, oggi alla guida del domaine. Tra malati di vino ci si riconosce a naso, motivo per cui Vincent decide di regalarci l’ultima chicca del viaggio: un 1983 di quello che forse è il loro vino di punta, il Savigny-Les-Beaune 1er Cru aux Serpentières.
Quando si esalta la longevità di un vino il riferimento diventa talvolta più Bordeaux che la Borgogna ma questa bottiglia stupirebbe anche il più scettico. Dal floreale appassito al frutto succoso, solo un’intermittente vampata di naftalina ci ricorda un po’ la sua età. La trama è fluida, formosa e dolce di frutto ma scivola bene regalandoci ondate di sterpaglie e sigaro spento, tanti piccoli spilli sulle nostre povere e indolenzite gengive (d’altronde dopo una settimana così…) per un tannino a dir poco ruggente; e poi freschezza di fondo, lunghezza, complessità: ancora tutto lì e in bella mostra. Quasi quarant’anni intrappolato in quel vetro ma sta certamente meglio di noi tre messi insieme dopo quelli che, stimiamo, sono stati più di 900 assaggi.

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Simone Di Vito, Marco Colabraro e Giorgio Michieletto

7 Commenti

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Lanegano

circa 2 settimane fa - Link

Mannaggia, mi avete fatto salivare come un varano di Komodo.....

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Andrea

circa 2 settimane fa - Link

Invidia allo stato puro

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vinogodi

circa 2 settimane fa - Link

...così si fa per imparare ...

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Vinologista

circa 2 settimane fa - Link

Finalmente un post che parla di vino , di annate , di aritigani del vino ...di passione .....e ovviamente di Francia.....maledetti cuggini d'oltralpe....bravi bravi ....

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Alessandro

circa 2 settimane fa - Link

Il miglior articolo del 2024; un articolo che è informativo, didattico e mai noioso. Complimenti! Mi avete fatto riavvicinare al vostro portale!

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Sauro

circa 2 settimane fa - Link

Bell’articolo, ben scritto, con una vena sia poetica sia scientifica per il vino. Mo me lo segno il prossimo evento di questo tipo…

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Orion

circa 2 settimane fa - Link

Bellissimo report. Bravi!

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