Roberto Abbate e le sue 3 annate di Etna Rosso mettono voglia di <i>a Muntagna</i>

Roberto Abbate e le sue 3 annate di Etna Rosso mettono voglia di a Muntagna

di Simone Di Vito

Una “chiacchierata” su Messenger, il Volnay di Voillot e «Come caxxo si fa ad utilizzare un DIAM 5 per un 1er Cru 2017?!». Così ho conosciuto Roberto Abbate.

Gli chiedo «Tu che fai?» e lui risponde «Produco arance e un po’ di vino, sull’Etna». Mi racconta le etichette e come produce, tutto artigianalità e rispetto per l’ambiente (“sono maniacale in vigna e per l’utilizzo di sostanze assolutamente non invasive”), tanti indizi che di solito lasciano presagire un “faccio vino naturale” di default. In realtà, ed è una cosa che ho apprezzato, Roberto il termine naturale non lo ha mai utilizzato e anzi, quando provo ad incalzarlo sull’argomento, mi ha detto: «Sinceramente non mi piace la moda di oggi… Si può assecondare la natura questo sì, ma il vino deve essere il più salubre possibile, e soprattutto deve piacere prima al sottoscritto».

Le vigne di Roberto si trovano a Passopisciaro, nella contrada Feudo di Mezzo, in un Etna Nord fatto di alberelli di 80/100 anni e controspalliere a 650 metri, solo vitigni autoctoni come nerello mascalese (in prevalenza), carricante e minnella, che danno vita dal 2019 a sole 3.500 bottiglie: per metà Etna Rosso mentre l’altra metà è divisa tra Etna Rosato ed Etna Bianco. Barrique stra-usate e praticamente neutre, fermentazioni spontanee e poca solforosa ma soprattutto un uso imprescindibile del sughero per la tappatura.

Avevo a disposizione le tre annate di Etna Rosso e ho pensato che il modo migliore per capire il vino fosse metterle una accanto all’altra in verticale.

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La scala cromatica vede nel 2020 (al centro) un colore più chiaro per via delle continue precipitazioni nelle ultime settimane prima della vendemmia (rischiando tra l’altro di non vedere la luce), un rubino scarico che potrebbe far pensare al nebbiolo e che quindi già dall’aspetto mette tanta acquolina in bocca. Un colore leggermente più scuro e tipico degli Etna Rosso quello della 2019 (la sua prima annata di sole 1.000 bottiglie, a sinistra), ancor più profonda è la tonalità del 2021 (a destra), che tra l’altro ha beneficiato di un 15% di grappolo intero. In quest’ultima, un naso a metà strada tra il fresco floreale e l’agrumato, concentrazione e corpo superiori alle precedenti e giustificate dall’annata più calda delle tre, bellissima è però la tensione acida di fondo, citrina, vispa, che traina e allunga il sorso, che sfumando fa emergere un tannino sottile ma ben appuntito. Ancora un po’ di attesa e ci siamo.

Nella 2020 trovo la mia preferenza, un naso tanto espressivo quanto sfaccettato diviso tra spezie e affumicature, grafite e frutti rossi, snello, succoso di freschezza e con un equilibrio da paura, c’è ogni cosa che vorrei in un grande rosso: agilità, definizione e un tannino dolce, croccante, avvolgente ma mai prevaricante. Un vino appagante e completo che esprime con forza la talentuosità dell’Etna viticolo.

Chiudo con la 2019, dove metto il naso e penso tra me e me: Pommard? Ah no, Feudo di Mezzo, ma il sound, qui ben più terroso, alla cieca, potrebbe ingannare. Bocca che sembra la sintesi dei due vini precedenti: un corpo soffice che richiama la 2021, l’agilità liquida e scattante della 2020, ha però una beva più seriosa rispetto alle altre due annate (e fa pensare ad una maggior prospettiva) ma è quello che più di tutti fa emergere il lato vulcanico grazie ad una sapidità veemente, che ben si accoppia con un tannino di cui ti accorgi solo grazie alla patina sulla lingua dopo la deglutizione.

Tre bottiglie e tre belle sfumature della stessa vigna. Tanta classe e un invito a bere Etna più spesso.

Monte Etna

Un territorio sempre più sulla cresta dell’onda, da dove negli ultimi anni saltano fuori sempre più realtà, piccole o grandi, moderne o tradizionali che siano, ma molto spesso buone notizie come questa.

Non sono mai stato su a Muntagna ma ho il sentore che, una volta messo piede lì, dovrete chiamare il carroattrezzi o i carabinieri per portarmi via.

[Prezzi in cantina: Etna Rosso € 39, Etna Rosato e Bianco € 25]

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Simone Di Vito

Cresciuto a pane e corse automobilistiche (per via del papà pilota), sceglie la sostenibilità di bacchette, tamburi e corde grosse, tra batteria e basso elettrico. Si approccia al vino grazie a una breve carriera da scaffalista al supermercato, decidendo dopo anni di iscriversi ad un corso AIS. Enostrippato a tempo pieno, operaio a tempo perso. Entra in Intravino dalla porta di servizio ma si ritrova quasi per sbaglio nella stanza dei bottoni. Coltiva il sogno di parcellizzare tutto quel che lo circonda, quartieri di Roma compresi.

2 Commenti

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Matteo

circa 3 mesi fa - Link

Ormai troppo famosa e con prezzi alle stelle pure per i vini della Montagna. Poveri noi bevitori appassionati 🤣

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marcow

circa 3 mesi fa - Link

Se un viticoltore dice: "Faccio agricoltura"sostenibile" esprime lo stesso concetto del viticoltore dell'Etna senza la sua enfasi, la sua retorica. È interessante poi leggere cosa pensa dei vini naturali: una MODA. C'è un altro passaggio che mi ha colpito: "... soprattutto deve piacere prima al sottoscritto" Anche qui c'è una stilettata verso altri produttori che si muovono con altre logiche. E su questo punto concordo. Aggiungo. Se come consumatori, come bevitori seguiamo la stessa logica(bere ciò che ci piace, esaltare il proprio gusto personale) rischiamo, invece, di passare per qualunquisti. In conclusione riprendo il commento di Matteo: ma 'sta muntagna quanto mi costa? I prezzi dei vini dell'Etna viaggiano a velocità folle spinti anche da una "propaganda" che non conosce limiti.

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