Vino, clima ed emissioni di CO2, tutto quello che c’è da sapere. Un’analisi impietosa

Vino, clima ed emissioni di CO2, tutto quello che c’è da sapere. Un’analisi impietosa

di Tommaso Ciuffoletti

I paragoni con il 2003 che si vanno avanzando in questa estate di caldo record sono il termometro di una situazione che ormai quasi fatica a sorprendere. Tuttavia, a guardare i dati, il 2003 è stato, almeno nella prima parte dell’anno, molto più piovoso e meno torrido di questo 2022, che rischia di segnare record di cui è inquietante immaginare l’entità. A renderlo chiaro, con un grafico di estrema chiarezza, è Lorenzo Arcidiaco del CNR, utilizzando i dati dell’European Centre for Medium-Range Weather Forecasts, il centro di ricerca meteorologica che raccoglie dati dai satelliti del programma europeo Copernicus. Il grafico, qui riportato, viene dalla pagina Vendemmie.com e credo sia utile riprendere anche quanto, proprio lì, viene chiarito. 

Annate siccità e calore - fonte vendemmie.com

Annate siccità e calore fonte: vendemmie.com

“Come ha sottolineato il ricercatore “il posizionamento del 2022 è un elemento di riflessione (il più importante). L’altro è il graduale posizionamento nel tempo degli anni nei quadranti superiori (quelli con le anomalie di temperature positive). Nel nuovo secolo, su 23 anni solo 5 ricadono nei quadranti inferiori”.

Due anni fa ripercorrevo mentalmente le ultime 20 annate, individuandone 5 molto, molto calde e molto, molto siccitose: 2003, 2007, 2012, 2017 e 2020. A quelle si è aggiunta poi la 2021 a dimostrazione di una tendenza che ormai sono in pochissimi a negare. Perché i dati confermano che la situazione che abbiamo davanti impone una presa di coscienza radicale, soprattutto da parte di chi fa agricoltura. 

Il clima e l’agricoltura in Italia

“L’Agenzia Europea per l’Ambiente ha sintetizzato la situazione in un report del 2019: “Gli impatti del cambiamento climatico sull’agricoltura variano in tutta Europa; mentre l’aumento della lunghezza delle stagioni di crescita può migliorare l’idoneità alle colture nell’Europa settentrionale, gli effetti negativi del cambiamento climatico porteranno a perdite di rendimento in tutta Europa, soprattutto nell’Europa meridionale”.

Questo vale per le colture considerate tipiche del nostro paese, ma nel frattempo ciò che si registra è proprio un cambiamento di coltivazioni. Un reportage di National Geographic Italia segnala una serie di dati interessanti che raccontano come, ad esempio, in Italia la coltivazione di piante da frutto tropicali sia passata da pochi ettari a oltre 500, con un incremento di 60 volte in soli 5 anni e nello stesso tempo il nord del paese è diventato il maggiore produttore di pomodori da industria (una cosa impensabile fino a pochi anni fa).

Questi erano i dati che riportavo in un articolo dello scorso anno (ripresi da un report del National Geographic (marzo 2021). Rispetto ad allora sono necessari alcuni aggiornamenti. 

In Lombardia, seconda regione dopo l’Emilia Romagna per la coltivazione di pomodoro da sugo, quest’anno la raccolta è partita il 18 luglio, in anticipo di una settimana rispetto al solito e con una urgenza dettata dalla speranza di salvare il salvabile di un raccolto che comunque, a causa della siccità, si prevede in calo dell’11% [1]. 

La siccità preoccupa soprattutto per le rese delle specie tardive, mentre per quelle più precoci gli agricoltori sono riusciti a salvaguardare la crescita delle piantine garantendo le irrigazioni, in alcuni casi facendo scelte dolorose come quella di bagnare il pomodoro a scapito di altre colture come il mais. [2]

L’irrigazione, già, ma chi può permettersela ancora? Un caro amico, agronomo per una grande azienda che fa agricoltura biologica, mi segnalava come uno dei pozzi da cui solitamente attinge l’acqua in una zona tra il Monte Amiata e il mare, ad una profondità intorno ai 100 metri, fosse ormai privo d’acqua da giorni: “mai successa una cosa del genere a metà luglio”. 

Pensando alla situazione delle risorse idriche si possono rammentare due semplici dati. Il primo: poco meno del 40% dell’acqua immessa nella rete idrica italiana va dispersa [3].
Il secondo: Michael Burry, l’unico analista che si era accorto per tempo del disastro innescato dai mutui subprime, oggi investe principalmente in terreni ricchi d’acqua. Burry è uno con l’antipatica abitudine di cogliere le traiettorie del futuro e quanto sta facendo con la sua società d’investimenti racconta bene a cosa stiamo andando incontro [4]. 

Se il quadro non fosse ancora abbastanza fosco, quest’anno si abbattono sugli agricoltori anche le conseguenze della crisi della supply chain a seguito dei vari lockdown post-Covid e quelle della guerra scatenata dalla Russia con l’invasione dell’Ucraina. Secondo le stime della Coldiretti gli aumenti fronteggiati dagli agricoltori vanno dal +170% per i concimi al +129% per il gasolio. Il vetro costa oltre il 30% in più dello scorso anno, il tetrapack il 15% in più. Aumentano anche i prezzi delle etichette (+35%), del cartone (+60%), così come quelli trasporto su gomma, container e noli marittimi (tra +400 e +1000%). A queste condizioni 1 azienda agricola su 10, sempre secondo Coldiretti, rischia la chiusura

C’è poi da considerare l’impennata di rischio di grandi incendi, proprio a causa di caldo e siccità, perché se è vero che – almeno nell’emisfero nord – l’estate è storicamente stagione d’incendi, ciò che si osserva è che questi aumentano di intensità e colpiscono zone storicamente non colpite da tali fenomeni. Questo, inevitabilmente, mette a rischio anche tante aziende agricole.

Infine, credo valga la pena segnalare che la siccità induce gli animali selvatici a cercare di placare la propria sete in ogni modo possibile, non ultimo attraverso la frutta (uva compresa) e ortaggi. Quest’anno la pressione esercitata dalla fauna selvatica sull’agricoltura rischia di essere più pesante del solito (e sappiamo che già quello degli animali selvatici è un problema non trascurabile). Prepariamoci quindi a ricevere notizie dei danni causati in particolare dagli ungulati, cinghiali su tutti. [5]

National Geographic 2021 marzo Italia

National Geographic 2021 marzo Italia

E il vino? 

Questa lunga premessa su riscaldamento globale, i suoi effetti e i drammi che sta vivendo il settore agricolo, era doverosa. Non solo perché c’è una minoranza di curiosi personaggi che ancora si spende per negare pubblicamente ciò che sta avvenendo, non solo perché è utile rammentare che non siamo davanti ad una prospettiva, ma ad una trasformazione in atto qui ed ora, ma perché proprio per questo è necessario che a questa presa di coscienza segua un impegno a fare la propria parte per ridurre le emissioni climalteranti. E la cosa riguarda anche il mondo del vino.

Non è raro infatti che di fronte alle sfide cruciali che il riscaldamento globale sta ponendo al mondo intero, le riflessioni più ricorrenti intorno al vino riguardino cosa succederà ad alcuni cru, quanto in alto ci si dovrà spostare per piantare nuove vigne o che tipo di vitigni sarà più opportuno impiantare.

Va bene e va benissimo, tuttavia questo tipo di riflessioni fanno venire in mente i versi della poetessa contemporanea Raffaella Maria Roberta Pelloni: “Se per caso cadesse il mondo / io mi sposto un po’ più in là. Versi certo immortali, ma che van bene per raccontare le avventure di un cuore vagabondo che di regole non ne ha, non per immaginare risposte a ciò che invece, una giovane ragazza svedese ha raccontato dicendo “la nostra casa è in fiamme“.

Perché spostare più in alto le vigne, cambiare i portainnesti o i cloni, ridefinire le mappe dei cru o altro di simile, sono riflessioni legittime, ma valgono nell’immaginare di continuare a fare business as usual e suggeriscono l’idea di un modo che cede all’istinto di guardarsi l’ombelico scambiandolo per il centro del mondo. Il business as usual è ciò che ci ha portato dove siamo e anche se si ritiene che il proprio settore abbia meno responsabilità di altri nell’aver determinato la situazione attuale (e vedremo se poi è così vero), cionondimeno a tutti è richiesto uno sforzo per cambiare. In meglio.

Del resto, se la nostra casa è in fiamme va pure bene stare a pensare al destino dei vari cru aziendali, ma forse c’è spazio anche per cose più opportune. 

Siccità

Vino ed emissioni di CO2: una premessa

Fare vino, come ogni attività umana, comporta una serie di emissioni di gas climalteranti, ma quali sono le voci che impattano di più? Su quali è possibile intervenire? Lo vedremo in dettaglio, ma prima un’ulteriore premessa.

La produzione di vino inizia ad avere il proprio impatto sull’ambiente al momento stesso in cui viene impiantata una vigna per la cui realizzazione si procede prima a disboscare [6] e scassare un terreno. In alcuni casi questo impatto è estremo e ci sono interi paesaggi che la monocoltura della vite ha mutato in modo talmente profondo da apparire quasi irreversibile (almeno fino a quando il business giustificherà ogni cosa, compresi riconoscimenti Unesco di dubbio tempismo).

Rimane tuttavia da considerare questo dato di premessa nel fare un bilancio dell’impatto del wine business in termini di emissioni di CO2, dato che nell’analisi che vedremo questo dato non è conteggiato. E invece un bosco, qualunque esso fosse, assorbiva certamente più CO2 della vigna che è stata impiantata al suo posto ed anche un semplice scasso ha un impatto, dato che la biodiversità di un terreno boschivo è normalmente maggiore di quella di un terreno agricolo anche gestito in modo sostenibile.

Vino ed emissioni di CO2: la fonte dei dati

Lo studio commissionato da Argiano

Lo studio commissionato da Argiano

Per procedere in questa analisi si farà in particolare riferimento ai dati di una valutazione dell’impatto ambientale per la produzione di vino che la storica tenuta ilcinese di Argiano (una di quelle che davvero ha segnato la storia di Montalcino) ha fatto realizzare da Marco Alloppo, esperto di pianificazione e gestione forestale, e Stefano Crosetto, anch’egli esperto in gestione ambientale, in collaborazione con Emanuele Pettenella, architetto del paesaggio.
Utilizzerò i dati di questa relazione per due motivi che vanno a merito di chi l’ha realizzata e di chi l’ha commissionata. L’analisi infatti è molto seria e dettagliata – anche laddove personalmente non condivido la metodologia applicata per valutare i sistemi di compensazione, questa risulta aderente agli standard internazionali – ed è priva di abbellimenti da storytelling; Argiano non solo l’ha commissionata, ma ha anche provveduto a promuoverla attraverso i propri canali social, investendo dei soldi per farla conoscere [7]. Merito quindi a loro.

[Chi volesse scaricare il lavoro può trovarlo qui].

Quanto emette l’industria del vino?

L’analisi ci rammenta nelle prime pagine che la letteratura più recente stima che la produzione di una bottiglia di vino generi tra 0.9 e 1.9 kg di CO2-equivalente. Certo questa stima va usata con cautela, dato che è molto difficile stabilire già cosa si intenda con bottiglia di vino (di che vino? fermo? mosso? prodotto dove? con che tipo di lavorazione in vigna? e in cantina? l’elettricità usata da che mix energetico proviene? etc..) ed inoltre la metodologia applicata, al mutare di alcuni valori di riferimento può dare risultati sensibilmente diversi.

Se tuttavia vogliamo fare un gioco per capire l’impatto dell’industria del vino sull’ambiente in termini emissioni di CO2 equivalente, prendiamo come valore 1 Kg di CO2 per bottiglia. Si tratta di una stima estremamente bassa e lo è ancora di più se la utilizziamo come riferimento per il vino spumante, dato che che sappiamo che il vino spumante richiede mediamente un extra di lavorazione e bottiglie mediamente più pesanti che incidono sia sulle emissioni per la produzione di vetro che sul trasporto. Stiamo quindi usando una stima enormemente conservativa.
Tuttavia prendiamo per buono questo valore, dato che semplifica i calcoli, e moltiplichiamo quel chilogrammo per il miliardo di bottiglie che la spumantistica italiana intende arrivare a produrre nel 2024. Si tratta di una prospettiva da 1 milione di tonnellate di CO2 prodotte dalla sola industria spumantistica italiana (valore da moltiplicare per X se considerassimo emissioni più alte per la singola bottiglia, come sarebbe probabilmente opportuno). Per dare una proporzione, uno studio di qualche anno fa condotto da ricercatori della facoltà di ingegneria dell’Università canadese McMaster, stimava che nel 2015 la Bayer, colosso tedesco della farmaceutica, avesse prodotto 9,6 milioni di tonnellate di CO2.

Ok, è solo un gioco, ma serve a dare l’idea che l’industria del vino ha un impatto non irrilevante in termini di emissioni di CO2.

Vino ed emissione di CO2: la struttura

LCA produzione di vino - fonte Argiano.net

LCA produzione di vino – fonte Argiano.net

Nel valutare l’impatto ambientale della produzione di vino si considerano 3 fasi: upstream, core e downstream. Per farla semplice, s’intende con upstream tutto ciò che è a monte della produzione di vino e che va dalle emissioni per produrre energia elettrica, all’impatto generato dalla realizzazione dei materiali di imballaggio, fino a ciò che riguarda la coltivazione dell’uva. La fase core è quella che riguarda la produzione di vino in senso stretto ed è quindi il calcolo delle emissioni legate ad ogni fase delle trasformazioni e lavorazioni necessarie alla realizzazione del prodotto-vino. La fase downstream è quella che riguarda tutto ciò che avviene dopo l’uscita del prodotto dall’azienda in vista del suo utilizzo finale, compreso il fine vita degli imballaggi.

Per la quasi totalità dei casi e per ciascun prodotto, la fase upstream, che include principalmente i processi agricoli e i processi di produzione e trasporto in azienda delle materie prime e dei materiali da imballaggio, rappresenta quella più impattante (generalmente con valori ben al di sopra del 50%; in alcuni casi – vedasi il consumo di risorse e di suoli agricoli – fino a più del 70%).

Abbiamo dunque un primo dato rilevante: la fase upstream è quella più impattante e quindi la più rilevante per la nostra analisi, per quanto non vadano trascurate le altre.

Vino ed emissioni di CO2: i punti critici

Dall’analisi del ciclo di vita dei prodotti di Argiano si evince che i processi di combustione di gasolio durante le fasi agricole, quelli di produzione a monte dei materiali da imballaggio primario (generato in particolar modo dalla produzione di vetro che incide per circa il 24%) e il consumo di elettricità in azienda rappresentano i punti critici del sistema, a cui segue in maniera largamente minoritaria, ma sempre sostanziale, il contributo dato dai processi di trasporto del prodotto imbottigliato (pronto al consumo) che esce da Argiano e raggiunge i centri di smistamento in varie parti del mondo.

I punti critici nella produzione di vino e olio - fonte argiano.net

I punti critici nella produzione di vino e olio – fonte argiano.net

La singola voce che impatta di più in termini di emissioni è dunque la produzione di vetro per bottiglie, che incide da sola per il 24% delle emissioni totali. Questo valore è riferito al caso di Argiano, ma offre un’indicazione chiara di dove si trova un punto cruciale della questione.

A ben vedere i dati sono in linea con quelli forniti da Carlo Macchi su Winesurf grazie alla collaborazione con Indaco, azienda spin off dell’Università di Siena che sta sviluppando studi sulla sostenibilità ambientale in campo agricolo. Secondo tali dati per produrre una bordolese da 360 grammi disperdiamo nell’atmosfera 320 grammi di CO2eq, mentre per produrne una da 600 g le emissioni arrivano a 540 grammi.
È questa l’occasione per rendere pubblicamente  merito ad una battaglia che Carlo Macchi sta conducendo da anni, per la sostenibilità nel settore vinicolo. E tornerò in chiusura su questo punto, perché ritengo che sia decisivo.

Un’altra voce importante è il consumo di elettricità nei processi di produzione e questo è dovuto in buona parte al fatto che il mix italiano per la generazione di energia elettrica, vede ancora un ruolo rilevante dei combustibili fossili.
La fase di trasporto del prodotto, meno impattante delle due già viste, ma pur sempre rilevante, è come ovvio più inquinante se avviene su gomma che via nave.

Vino ed emissioni di CO2: i criteri di compensazione

Da anni ormai, la parola compensazione si è ritagliata spazi sempre più centrali nella comunicazione, soprattutto quella fatta da aziende e governi per raccontare il proprio impegno ambientale. Purtroppo, essendo una parola che attira tanto interesse, dietro di essa si nascondono non poche insidie. Per farla breve, il criterio della compensazione è quello secondo cui posso continuare ad emettere a patto di mettere in essere azioni che teoricamente sequestrino dall’atmosfera un quantitativo equivalente di CO2. È il criterio alla base del commercio globale di crediti di carbonio, un sistema che ha numerosi aspetti grigi (e non proprio oscuri) e che nel tempo non ha dato i risultati attesi. Il tema meriterebbe un approfondimento assai più di dettaglio (per chi fosse interessato ad approfondire ho inserito una serie di link utili, ma non sufficienti, in calce a questo articolo al punto 8). [8]

Nell’analisi fatta per Argiano viene stimata correttamente la quantità di boschi che ricadono all’interno dei terreni delle proprietà e sulla base del tipo di bosco e dell’età media degli alberi, si stima un 2% di accrescimento rispetto al totale del volume del legno ivi presente. Il calcolo è corretto e rispetta gli standard internazionali, tuttavia, come detto, ritengo il sistema delle compensazioni fallace da un punto di vista logico e rischioso se usato per giustificare il già citato business as usual. Quel bosco, infatti, già esisteva e non è stato creato per compensare le emissioni generate dalle attività di Argiano, che anzi, molto probabilmente, ha provveduto all’abbattimento di parte del bosco che era, per sostituirlo con vigne (come si diceva in premessa).

Questo discorso vale per Argiano, come per qualunque azienda e governo mettano a bilancio l’assorbimento di emissioni per il quale non possono vantare alcun merito (se non in questo caso la gestione del bosco, che per quanto importante, non può valere quel cumulo di crediti di carbonio).
Ribadisco: è la mia posizione, ma è la posizione di chi è convinto che non si possa puntare solo su compensazioni (e conseguente commercio di crediti) per invertire il corso delle cose. 

Nota extra: la valutazione dei terreni [9]

Vino ed emissioni di CO2: dove intervenire?

Se però diciamo che la compensazione non basta, cosa si può ragionevolmente fare? Al termine di questa analisi sommaria, i dati suggeriscono quali sono i punti critici, in termini di emissioni, sui quali si può provare a suggerire delle pratiche di intervento, dalle più semplici alle più radicali. Tenendo presente che, come nel cambiamento degli stili di vita personali, al fine di ridurre il proprio impatto sull’ambiente, non esistono scelte risolutrici, ma un’insieme di pratiche da adottare con coscienza e costanza.

3845DC13-4D87-41E3-85C9-51EBDD9A6E2F

Come detto, nel caso dell’Italia, la produzione di energia elettrica genera una quantità non trascurabile di emissioni, pertanto ogni metodo applicato in azienda per ridurre i consumi ed introdurre sistemi di generazione di energia rinnovabile possono dare un contributo importante, la stessa architettura dell’azienda può contribuire alla riduzione dei consumi (ad esempio zone interrate ed isolate che evitino la necessità di modificare artificialmente la temperatura e l’umidità, così come altre più luminose, sì da ridurre l’utilizzo di energia elettrica per l’illuminazione). Gli accorgimenti sono vari, nessuno risolutivo in sé, ma se impiegati con criterio possono dare un contributo rilevante.
In questo senso credo che – tra quelle che conosco – l’azienda che può veramente vantare un pedigree di assoluto livello e storicità di azioni sostenibili sia senza dubbio Salcheto. Michele Manelli ha il merito di aver costruito un vero gioiello di sostenibilità che da oltre 10 anni lavora in un modo che ritengo giusto citare ad esempio (so che ci sono altre esperienze mirabili, potete segnalarle nei commenti).

Altra voce rilevante è quella della combustione di gasolio per attività agricole. Anche in questo caso non c’è una ricetta magica, ma certo ridurre le lavorazioni in vigna e utilizzare il più possibile mezzi non alimentati a gasolio (anche se qua torniamo alla necessità di evitare il paradosso dell’elettrico che consuma idrocarburi) sono due vie percorribili.

Abbiamo però visto come la voce relativa alle bottiglie di vetro sia senza dubbio una delle principali, che incide sia a monte (in larga parte) che a valle (in piccola parte quando su considerano i consumi associati al trasporto del prodotto-vino-imbottigliato).

Ho già citato la battaglia di Carlo Macchi e Winesurf per bottiglie più leggere. Ma voglio tornarci, perché si tratta di una battaglia giusta.

Tuttavia io credo che si possa ambire anche ad altro: il riuso. L’ho già scritto su Intravino, ma ci tengo a tornarci oggi alla luce di quanto visto visto fin qui.
A partire da un punto logico, per me dirimente: viviamo in un sistema economico che ha reso più conveniente acquistare bottiglie nuove, rispetto al semplice riuso di quelle esistenti. Tutto ciò è perfettamente coerente con l’epoca in cui viviamo, il wasteocene o l’era degli scarti. Credo che anche solo per questo sia necessario pensare ad un modello radicalmente diverso ed il semplice riciclo, per quanto sia già qualcosa, non è tuttavia quel cambio di prospettiva da auspicare. Perché una bottiglia è già lì, non serve distruggerla per ricrearne una identica, sprecando energia, trasporto, producendo emissioni … la si può sterilizzare, sigillare, riusare.

Io l’ho fatto, nel mio piccolo, ma confesso di non essere riuscito a convincere i miei soci della necessità di insistere su questa strada, se non per una piccola percentuale delle bottiglie che adesso produciamo ufficialmente (ma sono un testone e su questa cosa non mollo). È la dimostrazione di quanto sia faticoso far passare un’idea che va contro il dato per ovvio, anche quando è quest’ovvio a non avere senso, se per senso s’intende qualcosa che risponde ad una logica che mira ad un bene che non sia solo quello personale ed inteso in senso economico.

Mi chiedo se tra i tanti che pure hanno voglia di essere alternativa vera e radicale al mondo in cui produciamo e sprechiamo, ci sia qualcuno che ha voglia di arrischiarsi a fare a meno di bottiglie nuove.

Chiudevo così quel pezzo di 2 anni fa in cui facevo presenti le ragioni del riuso delle bottiglie di vetro. Beh… da allora qualcuno ci ha pensato, sicuramente non per merito di quell’articolo, ma quel che conta è che c’è un progetto in campo. Lo raccontava Antonio Boco sulle pagine di Tipicamente.

In Alto Adige, chiacchierando con alcuni kellermeister, ho capito che il vuoto a rendere non è solo un’ipotesi fumosa e che in futuro potrebbe esserci qualcosa di molto simile a quello che succede nella birra tedesca.
Andrea Moser, a capo della produzione della Cantina di Caldaro, una delle più importanti cooperative altoatesine, sembra tra i più convinti ma anche altri vignaioli “privati” spingono in questa direzione. Certo non è un percorso facile e non tutte le bottiglie potranno seguire questo processo, ma vale la pena tentare.

In conclusione

Ha certamente senso interrogarsi ancora su altitudini delle vigne, portainnesti e altro, ma forse è l’ora di dare maggiore centralità alle possibilità che anche la produzione di vino diventi più sostenibile rispetto alle emissioni di CO2. Ci sono riflessioni belle su questo tema (e credo sia da segnalare il Corrado Dottori di Come vignaioli alla fine dell’estate), qualche proposta in giro si trova, qualche esempio c’è, qualche prospettiva pure.
Intanto, un ulteriore contributo abbiamo provato a darlo.

  • [1] Pomodori, caldo e siccità riducono la produzione. Già partita la raccolta di Micaela Cappellini su Il Sole 24 Ore di martedì 19 luglio
  • [2] ibidem
  • [3] panorama.it
  • [4] Per approfondire: killik.com e una frase di Luigi Einaudi a corollario C’è solo una cosa che mi spaventa più di un monopolio pubblico: un monopolio privato
  • [5] E per gli appassionati di passeggiate nei boschi, il consiglio è quello di fare particolare attenzione alle zecche, dato che il caldo, oltre a favorirne la proliferazione, secca le pozze di fango dove tipicamente i cinghiali sono usi “lavarsi” per liberarsi dei fastidiosi e potenzialmente pericolosi parassiti.
  • [6] Certo quando si parla di boschi in Italia si devono tenere presenti due dati: il primo è che storicamente i boschi italiani sono, con rarissime eccezioni, la creazione di attività umane che vanno avanti da millenni (di recente ho visitato una delle castagnete più antiche d’Europa, in una zona sperduta della Toscana e chi cura quel bosco oggi, mi ha ben illustrato come quel che a me sembrava un bosco selvaggio, altro non fossero che le vestigia di un’antica coltivazione di castagni per la produzione di farina); la seconda è che la  superficie boschiva italiana è in aumento per via dello spopolamento delle campagne, ma si tratta, appunto, di terreni riconquistati in modo disordinato dalla boscaglia con i limiti che questo comporta.
  • [7] Ne sono infatti venuto a conoscenza proprio grazie ad un post Facebook sponsorizzato di Argiano e non ho alcuna relazione o interesse nel fare queste valutazioni, se non il semplice apprezzamento per un lavoro ben fatto.
  • [8] Yale 360 – 1
    Yale 360 -2
    BBC
    Phys.org
    Treedom – 1
    Treedom – 2
  • [9] Un altro dato molto interessante che emerge dall’analisi commissionata da Argiano è quella relativa alla biodiversità dei terreni. Anche in questo caso ci sarebbe margine per un’analisi più approfondita, ma riporto brevemente solo alcune valutazioni (sulle quali poi tornare magari in un prossimo articolo).

    È stato prelevato un singolo campione di suolo per ognuna delle sei aree individuate […] i risultati mostrano che il valore massimo di Qualità Biologica del Suolo (QBS) si è ottenuto per il campione F (QBS-ar = 142) ovvero il terreno prelevato nel bosco, quindi non interessato da pratiche agricole. Seguono i campioni provenienti da due vigneti biologici (campione B QBS-ar = 102), (campione C QBS-ar = 92). Il campione D (QBS-ar = 77) è stato prelevato nell’uliveto. Un valore più basso si è registrato per il campione A proveniente da vigneto tradizionale (non biologico) (QBS-ar = 62) in zona assimilabile ma esterna alle proprietà di Argiano

 

avatar

Tommaso Ciuffoletti

Ha fatto la sua prima vendemmia a 8 anni nella vigna di famiglia, ha scritto di mercato agricolo per un quotidiano economico nazionale, fatto l'editorialista per la spalla toscana del Corriere della Sera, curato per anni la comunicazione di un importante gruppo vinicolo, superato il terzo livello del Wset e scritto qualcos'altro qua e là. Oggi è content manager di una società che pianta alberi in giro per il mondo, scrive per alcune riviste, insegna alla Syracuse University e produce vino in una zona bellissima e sperduta della Toscana.

61 Commenti

avatar

marcow

circa 2 anni fa - Link

Quanto inquina un aereo? Dal WEB 20 luglio 2021: "Un aereo di linea inquina come circa 600 auto Euro 0. La lunghezza delle tratte del volo inciderebbe sui consumi. Si prevede che, nel 2025, il traffico aereo produrrà 1,4 miliardi di tonnellate di anidride carbonica ogni anno, tra le emissioni a terra e quelle in cielo.20 lug 2021 https://energit.it › Energit time Quanto inquina un aereo? - Energit" (Dal Web) __ L'Uomo Contemporaneo è poco disponibile a "rivedere" il proprio STILE di VITA (che è legato essenzialmente ai CONSUMI)

Rispondi
avatar

Roberto S P

circa 2 anni fa - Link

Il commento ha un suo valore ma richiama un po' troppo la linea promossa da Exon e da altre co,pagnie petrolifere come ben descritto qui: https://www.scientificamerican.com/article/exxon-mobils-messaging-shifted-blame-for-warming-to-consumers/#:~:text=Exxon%20Mobil's%20Messaging%20Shifted%20Blame%20for%20Warming%20to%20Consumers,-An%20analysis%20of&text=Exxon%20Mobil%20Corp.%20has%20used,paper%20by%20Harvard%20University%20researchers. questo non per dire che tutti dobbiamo fare la nostra parte, anzi! però evitiamo di usare la propaganda delle industrie petrolifere nelle discussioni, o almeno citiamo correttamnete le fonti!

Rispondi
avatar

marcow

circa 2 anni fa - Link

È interessante l'articolo che analizza le argomentazioni della retorica della Exxon mettendone in evidenza le contraddizioni. E giustamente aggiungo. Ma, secondo me, il mio commento è profondamente diverso da quello che dice la Exxon che è un ragionamento subdolo come dimostra l'articolo. (infatti viene paragonato a quello delle multinazionali del tabacco di qualche decennio fa) __ Ti ringrazio perché posso chiarire meglio la mia opinione. 1 Ci sono, nel Web, degli articoli e delle tabelle che sintetizzano quali sono le attività umane che contribuiscono maggiormente al riscaldamento ambientale. 2 L'automobile indice, per esempio, quasi per un 20 % Ho riportato anche il dato relativo al traffico aereo che incide per un 5 %. Mi soffermo soltanto su queste attività e, grossolanamente, cerco di arrivare a delle conclusioni. Per ridurre le emissioni delle auto si dice che il passaggio alle auto elettriche sarebbe la soluzione del problema. Rientriamo nella logica della riduzione senza mettere in discussione lo stile di vita: basta cambiare le auto inquinanti con quelle elettriche. Ora se si fanno delle veloci ricerche sul web si può constatare che la RETORICA... della Propaganda delle auto elettriche... è simile...a quella della Exxon. Il dato sul traffico aereo è ancora più interessante: Il 5 % delle emissione totali è dovuto al 3% della popolazione mondiale. Ciò significa che se, ad esempio, nei prossimi 2 anni, un altro 3% di popolazione incrementerà i traffici aerei avremo un raddoppio delle emissioni. Anche se si costruissero degli aerei con un gran risparmio energetico l'aumento prevedibile del traffico vanificherebbe gli sforzi della tecnologia. E l'auto elettrica, benché riduca le emissioni, non è vero che non inquina. 3 Insomma per concludere. Le tabelle sul web illustrano in modo semplice quali sono le attività maggiormente responsabili del riscaldamento globale. 3a C'è che pensa che, ad esempio, basta usare le auto elettriche o costruire aerei sempre più efficienti. SENZA METTERE IN DISCUSSIONE lo stile di vita. 3b C'è chi dice che non è sufficiente e dobbiamo cambiare anche qualcosa dello stile di vita. E non per nostalgia di un'epoca del passato in cui i consumi erano bassi. Ma perché sono le cifre, sono i fatti che portano a ragionare in un certo modo. Saluti

Rispondi
avatar

franco

circa 2 anni fa - Link

D'accordo con te Marcow, che ciò che dovremmo mettere in discussione è il nostro stile di vita. Focalizziamo anche la nostra attenzione sui maggiori produttori di CO2 (filiera della carne). Mi permetto inoltre però, non sono gli esseri umani come me e te a dover mettere in discussione il proprio stile di vita, o a far la propria parte nel proprio piccolo... per me sono i giganti dell'impresa che, instillando nuovi bisogni accessori negli esseri umani, sono responsabili dell'irresponsabilità dell'essere umano e devono(dovrebbero) quindi pagarne il costo sociale delle loro scelte: ovvero concorrere sul mercato globale per profitto, senza calcolare le conseguenze di ciò che fanno e scontarne gli effetti negativi nella stessa misura di quanto invece godano dei loro lauti guadagni. Cosa sta facendo amazon contro le emissioni? Studia i robottini elettrici per consegnarti la roba al posto del furgone? ma fatemi il piacere...

Rispondi
avatar

franco

circa 2 anni fa - Link

quanto inquina invece una bistecca di manzo? So che qui c'è chi si spaventerà... ma almeno consapevolizzate il fatto che la produzione di carne rossa è responsabile di almeno 1/3 delle emissioni globali di CO2.

Rispondi
avatar

marcow

circa 2 anni fa - Link

Dal Web "Circa il 2,4% delle emissioni globali di CO2 arriva dal traffico aereo, secondo i dati dell’International Council on Clean Transportation (ICCT). Tutto quello che facciamo, dal cibo che mangiamo al modo in cui viaggiamo, ha come conseguenza il rilascio di emissioni nell’atmosfera con un impatto sull’ambiente. Ma ci sono alcune attività che impattano più di altre: circa il 2,4% delle emissioni globali di CO2 arriva dal traffico aereo, secondo i dati dell’International Council on Clean Transportation (ICCT). Insieme agli altri gas e al vapore acqueo prodotto dai velivoli, l’intero settore aereo è responsabile di circa il 5% del riscaldamento globale" Dal Web Attenzione l'articolo prosegue con un dato che fa riflettere: "A prima vista, potrebbe sembrare un contributo minimo, se si pensa all’impatto delle auto o dell’industria. Ma va considerato che solo una piccolissima parte della popolazione mondiale vola frequentemente: secondo l’ICCT, solo il 3% prende voli regolarmente. E anche nei Paesi più ricchi del mondo, solo il 12-15% della popolazione prende spesso un aereo. Eppure, spiegano dall’ICCT, se....tutta la popolazione mondiale.... prendesse ....un solo volo a lungo raggio all’anno.... le sole emissioni del traffico aereo supererebbero quelle totali degli Stati Uniti" Dal Web

Rispondi
avatar

vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...veramente bell'articolo , chapeau ... solo un poco lunghetto, bisogna averci tanto tempo per leggerlo con attenzione...

Rispondi
avatar

vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...mica facile , però , in una situazione globale così compromessa , generare attività individuali virtuose che impattino significativamente sul riscaldamento globale ( o sull'inquinamento ambientale) salvo poche regole di educazione civica , a cui aggiungo alcune scelte di comodo da scoraggiare ... boh ...

Rispondi
avatar

paolo

circa 2 anni fa - Link

Di questi tempi mi capita di oscillare tra il catastrofismo più cupo (del tipo: moriremo tutti dopodomani, non c'è più niente da fare se non prepararci al peggio) e un cauto, instabile possibilismo (ottimismo sembra ancora un termine esagerato). Anche il pendolo di questo pezzo batteva da entrambe le parti, ma ha deciso di fermarsi sul lato stabile del burrone. Sarà pure un palliativo, ma ho trovato interessante la riflessione sulle bottiglie. Giusto ieri infilavo pesanti bottiglie di Metodo Classico in una campana di vetro. E' un'operazione che mi diverte, è come giocare a sasso-carta-forbice: lanci la bottiglia, e quelle spacca tutto, niente resiste a un proiettile di Metodo Classico. Crash, e i vetri dentro la campana vanno in mille pezzi. Forse dovremmo smettere di raccogliere cocci di vetro, e iniziare a raccogliere bottiglie.

Rispondi
avatar

Tommaso

circa 2 anni fa - Link

Grazie per questo commento Paolo. Hai detto davvero bene.

Rispondi
avatar

marcow

circa 2 anni fa - Link

Vi invito a farvi un giro sul Web sulle AUTO ELETTRICHE. Quanto inquinano?

Rispondi
avatar

Stefano Lorenzi

circa 2 anni fa - Link

Tommaso Ino Ciuffoletti intanto complimenti e grazie per l' articolo che è utile per focalizzare il problema in senso generale, globale e circolare nel mondo vino. Quando leggo di disamine kilometriche che parlano solo di portainnesti e scelta dei vitigni, mi cadono le braccia. Parte importante per carità, ma il problema ormai ha valicato il confine settoriale ed è diventato interdisciplinare tanto è vero che da anni, insieme a molti colleghi sostengo che la progettazione in agricoltura e quella in ambito urbano devono andare di pari passo, consultarsi e aiutarsi perchè quello che fa uno ricade ormai sull' altro, anzi più interazione ci sarà in futuro meglio sarà. Winesurf - giornale online di enogastronomia ha sempre messo un accento importantissimo sulla questione logistica e di conseguenza energetica e questo era già stato un bel passo, ma ora si può e si deve andare oltre. Lo studio commissionato da Argiano è pregevolissimo, primo perchè è esterno secondo perchè è fatto molto bene. A mio avviso ha solo un difetto di forma pratica, ovvero se è vero che servono tot ha di bosco per compensare la mia attività non posso considerare quelli che già ho, secondo me, perchè in qualche modo compensano quello che produco....non quello che ho tolto e modificato per produrre. Detto questo le soluzioni a tutti i punti analizzati molto bene da Intravino ci sono tutte e sono tutte applicabili, basta volerlo e credere globalmente in investimenti importanti e integrati tra loro che tra diversi anni possano dare i loro frutti. In ogni caso serve riequilibrare molti sbilanci.

Rispondi
avatar

Luca C

circa 2 anni fa - Link

Grazie Argiano e Tommaso per questo bel articolo. Con l'associazione Albeisa ci stiamo già muovendo per rendere il riutilizzo una alternativa applicabile nei prossimi anni anche se non è semplice e bisogna anche vedere i costi (in termini idrici e di emissioni) per lavarle queste bottiglie senza che ci siano contaminazioni pericolose per il vino e soprattutto per il consumatore. I monopoli ci "aiuteranno" molto in questa direzione, se domani mettono il recupero per legge o come "veicolo di punteggio" per essere inseriti in lista corriamo tutti a recuperare per non perdere/entrare in quei mercati Ad ogni modo questo articolo mi fa riflettere su molte cose ad esempio che le cooperative possono essere un grande punto di forza, un' altra volta, per ridurre drasticamente l'impatto. Certo, coop piccole e che vinificano solo uve dei soci e dei territori non dico limitrofi ma proprio adiacenti. Così come le associazioni/consorzi, vedi l'Albeisa (scusate la doppia citazione ma ne vado orgogliosissimo). Poi la mente di alcuni produttori andrebbe studiata a fondo: ho bevuto qualche settimana fa un vino triple a in una bottiglia che passa gli 800 grammi. Mi sono preso a schiaffi da solo. Oppure continuo a vedere bt personalizzate (con costi energetici folli) per produzioni bio o dinamiche o altro. Senza contare i bio che irrigano. Oppure produttori che vendono il 90% export lasciando totalmente scoperto il mercato italiano. Così come dovrebbero smetterla in alcune regioni di produrre oltre 200q.li ettaro e fertirrigare come pazzi per farli sti quintali per poi arricchire i mosti perchè quelle uve non maturano nemmeno in due stagioni. In tutti i livelli si puo' migliorare e di tanto. Abbiamo ancora troppe sovrastrutture mentali da distruggere, purtroppo.

Rispondi
avatar

Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Commento splendido. Graxie Luca!

Rispondi
avatar

Invernomuto

circa 2 anni fa - Link

Molto interessante, soprattutto sapere (come si immaginava) che l'impatto maggiore sull'impronta al carbonio di un vino sia proprio il vetro. Il Systembolaget svedese è da un po' che non cerca più neanche i BIB perchè non completamente riciclabili, ma i vini nelle "pouch bags", ossia i contenitori che troviamo al supermercato per le ricariche dei detersivi o bagnoschiuma. Poca poesia? Non è un problema, la generazione di mia figlia non credo avrà problemi ad un consumo molto diverso del vino. Ah poi se qualcuno vuole rimanere attaccato alla "forma bottiglia" ci sono sempre le btl dei tipi di Frugalpac (https://frugalpac.com/). Per carità, scordiamoci grandi invecchiamenti in bottiglia, o , almeno per ora le bollicine di qualsiasi tipo, però meglio questo che un'agricoltura che impatta così come ora (e non parlo ovviamente del solo vino)

Rispondi
avatar

Tommaso

circa 2 anni fa - Link

Condivido pienamente questa riflessione su come berranno i nostri figli. E anche io, come te, credo che non sarà 100% in vetro.

Rispondi
avatar

Lanegano

circa 2 anni fa - Link

Molto interessante ed istruttivo. Un caro amico lavora come responsabile logistica in un'importante azienda conserviera della mia città (Parma) e mi raccontava come i milioni (alla settimana) di recipienti in vetro arrivino in nave dalla Turchia e poi in centinaia di camion dalla Puglia. Le capsule arrivano dalla Germania... L'impronta carbonica di queste produzioni è enorme. Mi è chiaro che è legato ad un'abbattimento dei costi nonostante sia paradossale che pur venendo da così lontano e facendo tanti trasporti costi meno ma tant'è.... Leggendo il commento di Paolo mi sono ritrovato nelle enormi preoccupazioni per il futuro non tanto del Pianeta (lui sopravviverà...) quanto di noi umani, urge ripensare radicalmente la sostenibilità del nostro modo di fare le cose, di produrre, di consumare. Purtroppo mi pare evidente che chi dirige le baracche in giro per il mondo non abbia la più pallida idea nè l'intenzione di porre rimedio. In Italia men che meno, visto che stiamo ripensando di utilizzare il carbone senza aver mai progettato un'alternativa lungimirante negli scorsi anni. La vedo male, purtroppo.

Rispondi
avatar

Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Da sottoscrivere.

Rispondi
avatar

Lanegano

circa 2 anni fa - Link

Un ristoratore delle colline parmensi aveva ristrutturato un mulino, ovviamente di fianco ad un corso d'acqua 'perenne' in forte pendenza. Dopo nove anni, dico nove, di tregenda burocratica per essere autonomo in termini energetici, non ne è venuto a capo e ha deciso di chiudere e se ne è andato in Irlanda. Il nostro paese è davvero indietro come la coda del maiale, per usare un detto delle mie zone, nella 'visione' di un futuro più lungimirante. Così, come aneddoto....

Rispondi
avatar

marcow

circa 2 anni fa - Link

Il dibattito fino a questo momento ha confermato quello che, nei discorsi sul cambiamento climatico, già si sapeva da molti anni. Che l'uomo contemporaneo vuole contrastare il cambiamento climatico...non mettendo assolutamente in discussione lo stile di vita dominante.

Rispondi
avatar

Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

l'uomo contemporaneo vuole contrastare il cambiamento climatico...non mettendo assolutamente in discussione lo stile di vita dominante. Perfetto

Rispondi
avatar

Luca R

circa 2 anni fa - Link

Abbiamo sbagliato gli indicatori per misurare il benessere: abbiamo messo di fronte a tutto la crescita economica (PIL, fatturati, conti in banca, ecc.) pensando di avere infinite risorse. Perseguire in modo green questi obiettivi? La transizione richiede tanto tempo (generazioni) e ora la cosa da fare sarebbe tutti quanti un passo indietro (- consumi, fatturati e ricchezza) per poter fare questo gioco anche in futuro.

Rispondi
avatar

franco

circa 2 anni fa - Link

Che lo stile di vita debba cambiare d'accordo ma non troppo ... intanto e a titolo di esempio (sottolineo, prima che qualche mentecatto mi attacchi dicendo " non comprare lo smartphone ") bisognerebbe chiedere a chi produce smartphone se sia disposto a smettere di venderli ( non tanto chiedere a noi se siamo disposti a smettere di utilizzarli ) oppure, se "deve" continuare a venderli, che ne sconti il costo sociale e le conseguenze a livello globale. Ovvero, le compagnie produttrici di smartphone dovranno ad esempio, pagarmi perchè sottraggono del tempo alle mie relazioni personali, dovranno ad esempio sostenere il deficit di attenzione dei ragazzi perchè distratti dai loro apparecchi "intelligenti" con un programma scolastico apposito, in toto e da loro finanziato.... dovranno piantare e curare tot alberi a causa dell'aumento di CO2 che genereranno nella fase logistica... insomma, si può andare avanti molto e anche bene...

Rispondi
avatar

Mattia Grazioli

circa 2 anni fa - Link

Fantastico articolo, che aprirebbe gli occhi ad un cieco! Di vino ne serve molto molto meno di quello attualmente prodotto; serve fare consumare prodotti sani ed etici e oggi, tolte poche zone, in Italia non è etico fare vino. Concordo su tutto, soprattutto sul cambio necessario di stile di vita. Unico aspetto che esplorerei è il numero di occupati in agricoltura. Poco più di 100 anni fa erano dieci volte tanto gli operatori rispetto a quelli di oggi. Tornare alle campagne e ad un po’ di fatica abbatterebbe i consumi di carburante, porterebbe a produrre contenitori e materiali per la filiera in Italia, aumenterebbe il Pil… Ma noi facciamo gli accordi europei e prendiamo sovvenzioni a non produrre per far affinare prodotti in autostrada o nave.

Rispondi
avatar

Oreste G.

circa 2 anni fa - Link

Con Silvio si fanno affari d'oro, se va al governo ha promesso di piantare un milione di alberi all'anno... Fatti nominare Ministro Plenipotenziario al Ripopolamento Boschivo e il gioco è fatto! Amazing powerful future...

Rispondi
avatar

Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

... la società per cui lavoro e di cui sono partner, che di lavoro pianta alberi in 4 continenti, è stata l'unica, che io sappia, a contestare proprio quell'annuncio ridicolo. Perché piantare alberi è una cosa seria, non una roba da annunci elettorali

Rispondi
avatar

Lanegano

circa 2 anni fa - Link

Ti pongo una domanda che in questi giorni mi tormenta: ma le zone che sono state funestate dai soliti incendi boschivi estivi, è previsto che vengano ripiantumate dallo Stato o dalle Regioni oppure restano lì belle brulle e spoglie...?!?

Rispondi
avatar

Tommaso

circa 2 anni fa - Link

Ciao, su questo permettimi di segnalare un mio pezzo che è stato molto ripreso lp scorso anno. Basta che cerchi su Google: nuovi alberi in zone incendiate? Non è così facile come sembra.

Rispondi
avatar

Lanegano

circa 2 anni fa - Link

thanks

Rispondi
avatar

vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...con l'età sto affinando il concetto di "etica ecologica" , soprattutto conoscendo la gente . Già parlare di sostenibilità "è etico" : sulle ricette e le sue conseguenze , sono molto più cauto . Sdoganiamo che il "si stava meglio una volta" sia una baggianata , basta avere un nonno in casa che ti spiega come stavano davvero le cose pre boom economico e smetteremmo di ragliare al vento ... PS: qualcuno degli estensori ha davvero mai lavorato in campagna , dico non sui trattori condizionati oppure manovrando da sinottici e quadri cablati sistemi di distribuzione automatica di cibo agli animali ? Così , per curiosità ...

Rispondi
avatar

Lanegano

circa 2 anni fa - Link

Tre estati, da ragazzo durante la pausa scolastica estiva, nei campi per fare raccolta di cipolle e pomodori per comprare un Vespino e andare in vacanza. Una fatica disumana e un caldo atroce. Ed ero giovane, magro e sportivo.... Adesso potrei collassare dopo un paio d'ore....

Rispondi
avatar

vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...appunto ... da noi (Parma) la raccolta di pomodori era un must ...

Rispondi
avatar

Giuseppe

circa 2 anni fa - Link

sicuramente sui "bei tempi andati" c'e' parecchia (falsa) retorica pero' c'erano sicuramente anche tante pratiche virtuose andate perdute in nome della modernita`. Basti pensare al packaging ad esempio, 40 anni fa si comprava quasi tutto l'alimentare "sfuso": verdura, frutta, pane e simili a me li davano direttamente nella busta che portavo da casa al piu` nel sacchetto di carta del negoziante. Vaschette varie che ora imperano dovunque erano sconosciute.
Attenzione non sono in grado di valutare quanto (ecologicamente parlando) fosse meglio o peggio pero' e' un dato di fatto che "l’industrializzazione di tutta la filiera" (passatemi il termine) un certo impatto l'ha avuto.
Altra cosa l'origine del cibo che allora era molto piu` locale di adesso (della serie il salmone lo vedevi solo a Natale etc... etc...)

Rispondi
avatar

stefano.cap.1

circa 2 anni fa - Link

C'è del Giornalismo finalmente..... e come tale crea interesse e spunti di riflessione. Bravo bravo bravo. Nella fattispecie dell'argomento trattato viene fuori una giusta complessità e una stratificazione di tematiche che sono impossibili da discutere qui e che non capisco come diversamente vengono trattate in un post di instagram....mah!.. qui si va controcorrente eh?! Prendo però un passaggio dell'articolo, uno spunto di riflessione, e lo rendo una esortazione: se nell'approccio ai cambiamenti in atto nel nostro pianeta togliessimo la lente d'ingrandimento che ognuno tiene fissa davanti a se per tutelare il proprio affare, sia esso commerciale o personale, potremmo renderci conto che forse i nostri nipoti il vino non lo berranno, almeno come lo intendiamo noi oggi forse.... e non tanto per mancanza delle viti. Quindi potremmo impegnare un po del nostro tempo........senza troppo tralasciare il business mio dio!! .... a capire come aiutare a darci un po più di tempo in cerca di soluzioni un po più importanti del destino di un cru. Solo un suggerimento. Da uno che nel campo dell'ambiente ci lavoricchia diciamo.

Rispondi
avatar

roberto bordignon

circa 2 anni fa - Link

Complimenti per l'articolo. Seguo da tempo il discoroso " regenerative farming" . Questo link e un articolo dal sito Jancis Robinson:
https://www.jancisrobinson.com/articles/wwc22-marvena-manners

So che la vigneronne debutante Philine Dienger e Pascoli di Amaltea stanno seguendo questo precorso.

Rispondi
avatar

Capex

circa 2 anni fa - Link

Sinceri complimenti per l’articolo, è ormai un po’ che Tommaso Ciuffoletti ci regala giornalismo vero.

Mi permetto di ricordare che pochi giorni addietro avevo fatto un commento calzante con l’argomento, ricevendo due risposte….di un certo tipo. Cheers

https://www.intravino.com/primo-piano/paolo-cianferoni-sul-cambiamento-climatico/

Rispondi
avatar

Giuseppe

circa 2 anni fa - Link

mi unisco ai complimenti diffusi per l'articolo, speriamo non sia l'ultimo del genere, aspetto con curiosita' quello promesso alla nota numero 9
Saluti a tutti

PS per il recupero/riutilizzo del vetro, se davvero si vuole che sia un opzione seria temo serva (ahime`) un intervento politico, incentivazione economica a chi riporta il vuoto (come succedeva un tempo - ricordo che da ragazzini lo facevamo per raggranellare qualche soldino) o imposizione di legge (che pero' e` sempre brutta come cosa...)

Rispondi
avatar

Tommaso

circa 2 anni fa - Link

Cato Giuseppe, grazie! E dici u a cosa molto giusta e che condivido in pieno! Oggi stesso scriverò all'assessore all'agricoltura della mia regione per parlare proprio di questa opportunità

Rispondi
avatar

Stefano Cinelli Colombini

circa 2 anni fa - Link

Articolo interessante, che nelle conclusioni condivido pienamente ma a cui credo sia utile fare qualche osservazione. Non capisco il punto della sostituzione del bosco con il vigneto, per la mia esperienza di lavoro Legge Galasso lo rende impossibile, e i controlli della Forestale ci sono. Il riuso delle bottiglie potrebbe essere interessante, ma vanno valutate le modalità per renderlo fattibile. Credo sia impossibile da realizzare se non si adotta una bottiglia standard uguale per tutti, e va considerato che una standard uguale per tutti abbatterebbe i costi senza recare alcun danno al consumatore o al produttore. Va valutato il consumo energetico nel recupero, lavaggio, scollamento delle etichette (dettaglio non da poco con le colle attuali) e riconsegna, e su questo non conosco studi o valutazioni. In mancanza, è difficile valutare se abbia meno impatto l’acquisto di vetro che è comunque in buona parte riciclato. All’articolo aggiungerei una osservazione, che magari può generare altri articoli. Ieri e ierlaltro a Montalcino è arrivata una pioggia, in molte zone 30 o più millimetri d’acqua. In altre parole, 300 metri cubi di acqua per ettaro e questo è l’equivalente a quanto si considera normalmente necessario per un’irrigazione di soccorso. Che, praticata ove serva e in questo periodo, normalmente salva il raccolto. Personalmente sarei molto favorevole al recupero di questa pratica agronomica antica e oggi poco praticata. Una volta in caso di siccità si prelevava l’acqua dalle decine di migliaia di fontoni che costellavano la Toscana, e si imbeveva pesantemente il terreno intorno alle singole piante che si voleva salvare. Una volta sola, e bastava. Pratica antica, lo fanno da sempre nei Paesi semi-aridi e forse in Italia l’hanno portata i romani o gli arabi, chissà. Funzionava, e funziona. L’irrigazione a goccia porta in superfice le radici, e questo non va bene perché così non si rendono più resistenti alla carenza d’acqua e non pescano sui suoli più profondi e meno sfruttati. Forse è opportuno tornale alla talpatura delle radici per approfondirle, e alla irrigazione a pieno campo (se serve, e quando serve) una tantum con grosse quantità di acqua a ruscellamento, fatta dopo aver erpicato con un monodente il suolo in modo da farla penetrare. Così si rimpolpa la falda, e si fanno sopravvivere i micro e macro organismi del suolo. Non ho notizia di studi comparativi su questo metodo e quello a goccia, però sarebbe interessante. E, con ambo i sistemi, credo che sarebbe utile ricreare una rete la più vasta possibile di piccoli bacini, o fontoni. Questo permetterebbe un uso dell’acqua piovana nel periodo di siccità, senza prelevarla dalla falda ma, anzi, arricchendo la falda nei periodi di maggior bisogno. Io nella mi azienda ho attivati l’esageratamente complesso iter burocratico per riattivare tutti i fontoni e aggiungerne di nuovo, meglio tante vasche piccole e medie come c’erano piuttosto che enormi invasi che non si faranno mai. Forse una viticoltura compatibile con il clima più arido che sta arrivando è possibile, e forse può essere anche di aiuto per l’ambiente perché l’immissione di significativi quantitativi di acqua meteorica (dunque non sottratta alle falde) nei periodi secchi può essere un vantaggio. E anche il ritorno di tanti piccoli invasi, utili per i selvatici, in caso di incendi e anche per noi umani. Meglio ridurre il consumo di acqua dell’acquedotto.

Rispondi
avatar

Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Questa cosa delle etichette lo sai, mi tocca su un altro punto al quale sono molto sensibile e condivido le tue parole.

Rispondi
avatar

Roberto S P

circa 2 anni fa - Link

Stefano, concordo in pieno e apprezzo un pensiero un po' diverso dai troppi che ora di colpo vogliono irrigare a goccia tutto!

Rispondi
avatar

Paolo Cianferoni

circa 2 anni fa - Link

Mi permetto di ricordare due piccole cose: Carlo Macchi ha ripreso un mio vecchio post che invitava all’uso di bottiglie leggere per diminuire i costi ambientali: Chapeau, perché ne ha fatto una battaglia con risonanze importanti.
Ricordo inoltre che l’uso della bottiglia di vetro da gettare è recente: fino agli anni settanta/ottanta il consumo di vino in Italia si basava su vendita in damigiane che veniva imbottigliato con le solite bottiglie, comportamento virtuoso. Ritornare oggi, anche parzialmente, a quel sistema virtuoso, significa che anche il consumatore dovrebbe essere disposto a pagare molto di più il vino sfuso per avere la stessa qualità dell’imbottigliato e per l’azienda ricevere gli stessi profitti delle vendite in bottiglia (il famoso valore aggiunto), ma anche essere disposti a “lavorare” per imbottigliare in casa.

Rispondi
avatar

Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Grande Paolo, non sapevo di questo precedente, ma non mi sorprende e prometto che al prossimo articolo non mancherà una giusta citazione. Intanto devo dire che questo articolo, nel suo piccolo sta facendo un po' di rumore e ne son molto felice

Rispondi
avatar

Roberto S P

circa 2 anni fa - Link

Davvero un ottimo articolo! Tutti dobbiamo fare la nostra parte e ognuno di noi come consumatore può contribuire nel suo piccolo ed è bene che tutti lo facciamo. Come imprenditori ancora di più, per esempio usando bottiglie leggere, adottando pratiche bio avanzate e rigenerative, (che risparmiano trattamenti e gasolio rispetto al convenzionale). lavorare sulla salute del terreno con inerbimenti e compostaggio oltre che migliorare la resistenza alla siccità e la qualità delle uve, contribuisce a d aumentare il sequestro di carbonio nel terreno (ma serve il contributo fondamentale dei miceli ragione per cui molti viticoltori biologici, biodinamici, naturali,e rigenerativi sono all'avanguardia nella riduzione del rame!). detto e fatto tutto questo stiamo attenti a non usare le argomentazioni dei PR della Exxon, della Bayer, della Syngenta et al. Da decenni dagli USA sta diffondendosi una "cultura" che incolpa i consumatori per l'inquinamento, i tossicodipendenti per l'abuso di farmaci legalmente prescritti (Sackler ha fatto scuola!), e i poveri e i lavoratori sottopagati per l'inflazione. La controparte sono gli Oligopoli delle grandi concentrazioni nei settori centrali per la questione climatica: i semi-monopoli dell'informazione, dell'agroindustria, le industrie petrolifere, le assicurazioni e i grandi gruppi farmaceutici e ospedalieri. E soprattutto una finanza deregolata che saccheggia da decenni il pianeta. Uniamoci e organizziamoci per riprenderci il pianeta, pacificamente ed un po' alla volta. Impariamo dai giovani e sosteniamoli nelle comuni battaglie politiche. https://www.sunrisemovement.org/

Rispondi
avatar

Roberto S P

circa 2 anni fa - Link

P.S. Per non essere frainteso: non ce l'ho con nessuna di queste industrie, molte del quali utilizzo volentieri come tutti; penso però che in primis bisogna smettere di sovvenzionarle a scapito delle parti più sane dell'economia, e poi occorre un equilibrio diverso tra pubblico, beni comuni e privato se vogliamo salvare il salvabile! Il caso degli USA è il più estremo perchè da decenni governi di minoranza fanno e disfano contro la volontà della maggior parte della cittadinanza., (vedi la sanità che la grande maggioranza dei cittadini USA vorrebbero pubblica e universale!) https://www.pewresearch.org/fact-tank/2020/09/29/increasing-share-of-americans-favor-a-single-government-program-to-provide-health-care-coverage/

Rispondi
avatar

Paolo Cianferoni

circa 2 anni fa - Link

Ti segnalo un film/documentario USA: “Kiss the ground”, che dimostra come in USA questi argomenti cominciano a farsi largo. Su Netflix.

Rispondi
avatar

franco

circa 2 anni fa - Link

Finalmente... grazie Roberto. Mi ritrovo, purtroppo, molto nella parte in cui si incolpa il consumatore. Leggo la narrativa dominante come favorevole a dividere gli oneri ma contraria invece a condividere i profitti. Questo è un modo di "narrare" la realtà che trovo scorretto e offensivo. Va bene che le persone, le bestie soprattutto, debbano essere responsabilizzate per non sprecare. Ma questo dovrebbe valere anche per chi spreca e guadagna, senza scontare le conseguenze, o appunto, facendole scontare a tutti gli esseri umani.

Rispondi
avatar

Lanegano

circa 2 anni fa - Link

120 minuti di applausi.

Rispondi
avatar

Lanegano

circa 2 anni fa - Link

A Roberto SP

Rispondi
avatar

vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...qualche secondo di applauso l'ho fatto pure io , ma non di più . Il problema non è la relazione causa - effetto di quel che si è fatto , ma le macrosoluzioni per risolvere una situazione ormai compromessa . E i tempi . E lo sforzo economico . E la volontà politica di applicarle . Ribadisco che il singolo non può nulla , ma nulla , se non il tentativo di lavarsi un poco la coscienza e destinare i propri sforzi su azioni che non impattano sulle grandi scelte personali . Perchè lavoro a 30 chilometri di distanza e l'automobile la uso . E l'elettrico una baggianata . Non vanno , non hanno autonomia , tempi di carica eterni , costi proibitivi e ... l'elettricità non cresce sugli alberi, quando tutte le auto saranno elettriche , quante centrali dovranno essere costruite? E le Centrali , per avere efficienza e costi sostenibili , con cosa producono? E gli accumulatori ( batterie - fra gli oggetti più inquinanti dell'universo conosciuto) ) come le smaltiamo quando ci saranno 3 miliardi e mezzo ( stima in difetto attuale) di mezzi circolanti sul pianeta? E i trasporti aerei , che un solo aereo inquina come centinaia di migliaia di auto? E i trasporti pesanti? .. .. . eppoi perchè i prodotti costano meno se realizzati in aree a basso costo e nell'economia famigliare pesano , salvo rinunce ... apparentemente irrinunciabili . Perchè ho dato due euro ( volentieri) a chi chiedeva l'elemosina all'entrata del supermercato sabato e mentre gliele davo gli è suonato il cellulare da 600 Euro e bellamente l'ha tirato fuori rispondendo senza pudore. Ma così 95.000.000 di cellulari circolanti nel belpaese ...Ma potrei star qui mezza giornata a fare elenco interminabile delle piccole contraddizioni di cui siamo protagonisti o delle scelte di comodo sottaciute pur sbandierando la sacrosanta verità del mondo pulito , dell'inquinamento inaccettabile , dell'impatto ambientale dell'industrializzazione insostenibile . Ribadisco , viva le buone intenzioni ...

Rispondi
avatar

Giuseppe

circa 2 anni fa - Link

io penso invece che le "micro-azioni" dei singoli possano avere un impatto ben piu' che simbolico sul totale.
E soprattutto una cosa che viene dal basso e` sicuramente piu` gradita (in quanto si suppone scelta) che una imposta dall'alto.
Buona giornata a tutti

Rispondi
avatar

vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...io no , per nulla . Le grandi scelte sono imposte dall'alto .

Rispondi
avatar

franco

circa 2 anni fa - Link

assolutamente no Giuseppe... ti stai facendo insultare gratuitamente... posso essere responsabile dell'imballaggio scelto da Barilla? Posso essere responsabile della catena logistica di amazon? Posso decidere di chiudere gli allevamenti di bestiame e dimezzare la filiera della carne? No, noi non contiamo una ceppa. Valido invito però il tuo, per migliorare se stessi e le proprie relazioni. Queste si, son cose in cui i responsabili del loro andamento, positivo o negativo, siamo solo noi.

Rispondi
avatar

Giuseppe

circa 2 anni fa - Link

Probabilmente mi sono espresso male io. Certo che non sei responsabile dell'imballaggio della ditta X ma acquistando in alternativa dalla ditta Y fai la tua scelta e quando a fare questo ragionamento sono milioni di persone l'impatto c'e` eccome. Poi ci sono cose, gradite o meno, che ci vengono "calate dall'alto" tipo la raccolta differenziata ed altre che invece sono scelte che partono dal basso cioe` dai singoli mossi dai piu` disparati motivi. Per inciso i primi 2 gli esempi che porti riguardano proprio aziende che si vantano di essere andate verso packaging e logistica sostenibili con tanto di dati a supporto. Greenwashing? Certo ma intanto quello che hanno fatto l'hanno fatto per non perdere appeal verso consumatori attenti a questo aspetto non certo mossi da genuino sentimento (credo)

Rispondi
avatar

marcow

circa 2 anni fa - Link

Il dibattito interessante è in maggioranza con la logica della riduzione delle emissioni cambiando poco lo stile di vita. Secondo me soltanto 2 commenti contengono delle prospettive diverse dalla maggioranza: quello di stefano.cap.1 e quelli di Roberto SP (del quale non condivido l'opinione sulla relazione tra la Exxon e la mia opinione)

Rispondi
avatar

marcow

circa 2 anni fa - Link

I commenti di Franco che apprezzo mi stimolano a chiarire ulteriormente la mia opinione. ---- Il fatto che abbia puntato il dito sullo stile di vita dominante, cioè quello consumistico, sembra 1- voler colpevolizzare i singoli cittadini e 2- assolvere le imprese e, in particolare, le multinazionali. Allora cerco di spiegarmi meglio ---- 1 L'economia attuale è basata sui consumi: e bisogna consumare sempre di più per aumentare il PIL. Ogni passo che faccio nel WEB sono distratto da mille spot pubblicitari. 2 Ma ragionando sulle cifre, sui fatti, sulle attività maggiormente responsabili dell'aumento della temperatura non è possibile eludere il discorso sulla riduzione dei consumi: per contrastare l'aumento vanno ridotti anche alcuni consumi.(ho fatto l'esempio delle auto) Questo non significa voler colpevolizzare il singolo cittadino consumatore. È una semplice constatazione analizzando i dati. 3 Ma questo non significa che non vadano presi degli interventi nei confronti delle grandi multinazionali che dominano il mercato...e, attenzione, anche la politica. ____ Conclusione. Questa tesi(e io la condivido) è avanzata da alcuni Esperti ma ci sono anche Esperti che propongono degli interventi che non mettono in discussione il consumismo e il relativo sistema economico che spinge ossessivamente verso sempre più consumi. Per il momento sembra che la seconda tesi sia quella che ha prevalso nel dibattito pubblico sul che fare. E penso che continuerà a prevalere. Fino a quando saranno ancora più evidenti le conseguenze dell'innalzamento delle temperature. La Marlolada ha contribuito a far prendere coscienza del problema ma non ha cambiato il modo di pensare.

Rispondi
avatar

stefano.cap.1

circa 2 anni fa - Link

Caro marcow, come hai analizzato è una questione di prospettive. In una situazione in cui c'è un malato terminale davanti a noi c'è chi pensa a curargli il raffreddore (vedi la questione delle bottiglie leggere) anche perchè fà l'otorino, e chi pensa che nulla si possa fare ed allora è meglio rassegnarsi. Nessuna di queste prospettive è da condannare, però potremmo approfittare, anche con piccoli gesti ognuno nel suo campo, di alleviare le sofferenze del degente e facendo questo regalargli qualche ora in più di vita e facendo questo creare un valore condiviso: quello del rispetto dell'ambiente come luogo nel quale tutti viviamo e grazie al quale viviamo, pur continuando ad occuparci dei nostri affari sia chiaro. Trasmettere questo valore ai figli ad esempio. Agli amici. Ai passanti. ALmeno potremmo lasciarci con la coscienza più leggera. E vedi mai che con un po di tempo in più la tecnologia ci regala qualche soluzione! Cambiando ancora prospettiva possiamo anche immaginare questo nuovo approccio come atto egoistico, dato l'imminente perdita del malato, che è un nostro parente di primo grado. Cambiando prospettiva il malato non è il pianeta..... ma noi. Eh si! Anche se siamo abituati a pensare che l'universo siamo noi c'è una rivelazione da fare: è l'uomo che si sta estinguendo non il pianeta e anzi, per tornare in tema, è molto probabile che le viti sopravvivranno.

Rispondi
avatar

marcow

circa 2 anni fa - Link

Vorrei aggiungere. L'uso delle auto elettriche sta spingendo in modo massiccio verso la produzione di elettricità con le tecnologie alternative a quella del gas e degli altri combustibili. Lo sta facendo Amazon e, se non ricordo male, anche altri colossi multinazionali. Ora questo incremento delle energie alternative, è stato dimostrato da ESPERTI, ha dei risvolti POCO ETICI. Perché sottrae suoli alla PRODUZIONE ALIMENTARE. E, infatti, c'è allarme per questo. E su questo vi invito a riflettere. La VITA del Pianeta e degli Uomini la dobbiamo lasciare nelle mani di Bezos e Musk?

Rispondi
avatar

vinogodi

circa 2 anni fa - Link

..perchè no? Se l'alternativa sono Di Maio , Salvini , Renzi & C ...

Rispondi
avatar

franco

circa 2 anni fa - Link

è vero anche quello che dice Vinogodi... se l'alternativa sono quei soggetti (o me medesimo), allora meglio una delle tante "elite" (i cui Bezos e Musk sono solo estensioni funzionali) che decidono le sorti del mondo... pensiero confortevole per chi è stanco di lottare, atroce sofferenza per chi ancora ci crede.

Rispondi
avatar

Giuseppe

circa 2 anni fa - Link

che poi Bezos e Musk (e ci metto anche il signor Facebook e i 2 di Google) 10 anni fa li conoscevano solo pochi addetti ai lavori, adesso sono diventati nemici pubblici #1 prendendo il posto di B.Gates e qualche squalo di Wall street e prima ancora c'erano i Buffet e i Soros e i petrolieri e i banchieri (che comunque sono ancora quasi tt in pista...). Questo per dire che, pur con tutti i difetti che ha, il capitalismo US e' sempre capace di rinnovarsi e portare alla ribalta nuovi "guru" e nuove aziende e forse per questo per me rimane al momento un modello "meno peggio di tutti gli altri" secondo solo, per me, alle socialdemocrazie del Nord Europa

Rispondi

Commenta

Rispondi a paolo or Cancella Risposta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.