Il clima cambia l’agricoltura e la vite non fa eccezione

Il clima cambia l’agricoltura e la vite non fa eccezione

di Tommaso Ciuffoletti

Il numero di Marzo del National Geographic Italia dedica la copertina ad un reportage di Valerio Gualerzi dal titolo “Cambio Campo – Frutta tropicale al sud, olivi al nord, vite in alta montagna: viaggio nell’agricoltura italiana stravolta dal clima”.

È un po’ come essere presi per mano e, nonostante i lockdown di questi mesi, attraversare la penisola per visitare quelle campagne che – sempre meno abitate – stanno silenziosamente cambiando volto (anche) per effetto dei cambiamenti climatici.

È inevitabile che chi vive in città tenda ad avere una percezione attutita degli effetti dei cambiamenti climatici, mentre chi vive in contesti meno antropizzati e magari è dedito all’agricoltura (sia in modo amatoriale che professionale) ne ha un’esperienza più diretta. Non è un caso che l’editoriale di Marco Cattaneo, direttore dell’edizione italiana di NG, s’intitoli esattamente “Chiedetelo al contadino”. Ed in effetti, prima che il tema dei cambiamenti climatici si facesse strada nell’opinione pubblica – un lungo percorso che inizia idealmente dalle grandiose intuizioni di Alexander Von Humboldt e arriva fino a Greta Thunberg – è stato piuttosto oggetto delle attenzioni di agricoltori, contadini o vignaioli.

Da ormai 4 anni lavoro in una compagnia che di lavoro pianta alberi in giro per il mondo (attualmente sono 17 paesi, dall’Asia al Sudamerica, passando per Africa e pure Europa) ed una delle cose che mi convinse ai tempi, fu proprio che qua sviluppiamo progetti agroforestali, in cui gli alberi sono parte di ecosistemi agricoli con i quali si integrano. In un certo senso è fare agricoltura globale, con un approccio (solo apparentemente) innovativo. Inoltre ho appena dato vita insieme a 2 amici ad una piccola azienda agricola dandoci come punto qualificante quello di avere un impatto ambientale il più possibile positivo e lo facciamo in una zona in cui – agli antipodi rispetto ad aree come Barolo o quella del Prosecco – la vite rappresenta una presenza che convive con campi dedicati ad altre colture, un po’ d’allevamento e tanto bosco.

Quelli che oggi chiamiamo sistemi agroforestali, sono in realtà ciò che l’agricoltura è stata per secoli anche nel cosiddetto mondo occidentale. Prima dell’avvento dei grandi macchinari agricoli, dei fertilizzanti chimici, delle grandi monocolture ed in generale dell’industrializzazione dell’agricoltura – che segnò per molti versi il primo passo verso l’impennata demografica che abbiamo registrato a partire dalla metà dello scorso secolo (e che però inizia a presentare un conto salato in termini ambientali – la consociazione di specie diverse sullo stesso terreno era una regola comunemente diffusa (ed anche la vite non faceva eccezione, salvo che poi in certe zone le vigne sono diventate miniere d’oro a cielo aperto con l’inevitabile febbre dell’oro che ne è seguita). Certo va pure ricordato che in molti casi quella consociazione era la risposta di sopravvivenza di uomini condannati a lavorare fino all’ultimo metro quadro di terreno, in condizioni di sostanziale sfruttamento come quelle imposte, ad esempio, dalla mezzadria. Oggi però, questo tipo di approccio, specie in quei paesi dove proprio l’agricoltura rimane la base non solo dell’economia, ma anche della società in senso lato, rappresenta una via sostenibile su cui investire.

I cambiamenti climatici, come detto, mostrano i loro effetti con particolare evidenza proprio nei paesi in cui l’agricoltura ha ancora un ruolo centrale, ma anche in un paese (relativamente) moderno come l’Italia è possibile accorgersi di ciò che l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha così sintetizzato in un report del 2019: “Gli impatti del cambiamento climatico sull’agricoltura variano in tutta Europa; mentre l’aumento della lunghezza delle stagioni di crescita può migliorare l’idoneità alle colture nell’Europa settentrionale, gli effetti negativi del cambiamento climatico porteranno a perdite di rendimento in tutta Europa, soprattutto nell’Europa meridionale”.

Questo vale per le colture considerate tipiche del nostro paese, ma nel frattempo ciò che si registra è proprio un cambiamento di coltivazioni. Il reportage di NG Italia segnala una serie di dati interessanti che raccontano come, ad esempio, in Italia la coltivazione di piante da frutto tropicali sia passata da pochi ettari a oltre 500, con un incremento di 60 volte in soli 5 anni e nello stesso tempo il nord del paese è diventato il maggiore produttore di pomodori da industria (una cosa impensabile fino a pochi anni fa).

La vite non fa eccezione. Nell’articolo del NG si riporta che “entro fine secolo, in base alle proiezioni due anni fa in occasione di un convegno di Confcooperative, è possibile stimare per viticoltura mondiale un aumento di quota di circa 800 metri”. Quando leggo previsioni di così lungo periodo rimango sempre un po’ perplesso e tendo a rammentarmi la frase attribuita a John Maynard Keynes secondo cui “nel lungo periodo saremo tutti morti”.

Tuttavia al netto di previsioni la cui affidabilità è messa in discussione dallo stesso orizzonte temporale che intendono considerare (in questo caso troppo lontano), è tuttavia un dato di fatto che alcune aziende stanno realizzando nuovi impianti in provincia di Trento ad altitudini intorno ai 750 metri, laddove di norma non si saliva oltre i 500. Lo stesso report dell’Agenzia Europea per l’Ambiente prevede per il 2050 un incremento della produzione vitivinicola nelle aree dell’Europa continentale (in particolare orientale), mentre prevede una riduzione della produzione nel sud del continente, dovuta principalmente all’aumento delle temperature.

A nord qualche viticoltore potrebbe pure pensare che ci sia motivo di sorridere. “Si prevede che le aree di coltivazione della vite si espandano verso nord fino a 55 °N entro il 2050 (Fraga et al., 2015). Inoltre, lo spostamento verso nord delle zone climatiche ottimali per le varietà precoci, intermedie e tardive suggerisce che altre regioni in Europa possano beneficiare di futuri climi più caldi”. Con buona pace di quelle pagine dedicate ai Riesling tedeschi che si studiano al WSET o ai corsi per sommelier.

Ma l’Italia, che non si trova esattamente a nord e non esattamente nel cuore dell’Europa continentale, dovrebbe essere in prima linea per porre la questione dei cambiamenti climatici (per il niente che vale ne ho già scritto su queste pagine e immagino che ancora varrà la pena scriverne e ho pure trovato un vecchio post che vale la pena rileggere, proprio perché il 22 aprile è di nuovo l’Earth Day), non per fare un favore a Greta Thunberg, ma perché il nostro paese è quello più esposto ad un rischio che sta in queste parole: “Le proiezioni che utilizzano entrambi gli scenari climatici (RCP 4.5 e 8.5) indicano, entro la metà del secolo, impatti deleteri sullo sviluppo dell’uva e sulla qualità del vino nell’Europa meridionale, portando alla necessità di misure aggiuntive per sostenere il futuro del settore vitivinicolo”. I due scenari indicati sono quelli che indicano il caso in cui si attuino poche misure di contenimento dell’aumento delle temperature (RCP 4.5) e quello in cui si continui con il “business as usual” (RCP 8.5).

Questi semplici dati raccontano bene quanto radicali possano essere i cambiamenti indotti da quelli climatici. Ed anche se non è sempre facile avvertirli, è opportuno farci più sensibili, per poterne cogliere la reale portata prima che risultino irreversibili.

Se invece vogliamo fare business as usual … beh … in bocca al lupo.

N.b.: una prima versione di questo articolo è stata pubblicata su Treedom

 

[Sponsored Link: Acquista in cordata su Vinix per salvaguardare l’ambiente!]

avatar

Tommaso Ciuffoletti

Ha fatto la sua prima vendemmia a 8 anni nella vigna di famiglia, ha scritto di mercato agricolo per un quotidiano economico nazionale, fatto l'editorialista per la spalla toscana del Corriere della Sera, curato per anni la comunicazione di un importante gruppo vinicolo, superato il terzo livello del Wset e scritto qualcos'altro qua e là. Oggi è content manager di una società che pianta alberi in giro per il mondo, scrive per alcune riviste, insegna alla Syracuse University e produce vino in una zona bellissima e sperduta della Toscana.

42 Commenti

avatar

Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Chissà se nel medio- lungo periodo, ci vedremo costretti a rivedere il concetto di Cru, e a valorizzare esposizioni a Nord o più fresche. È vero che i tempi della Terra non sono quelli dell'uomo, ma è pur vero che il modo di produzione capitalistico, ha dato un accelerata tale allo sviluppo delle forze produttive, che oggi una tale affermazione non ha lo stesso senso di 100 anni fa.

Rispondi
avatar

Lanegano

circa 3 anni fa - Link

Entro maggio apro il Selvapiana 1980 e poi ti so dire......

Rispondi
avatar

AG

circa 3 anni fa - Link

1980 vendemmia calda (per i tempi)

Rispondi
avatar

Federico

circa 3 anni fa - Link

Che ansia e tristezza pazzesca!

Rispondi
avatar

marcow

circa 3 anni fa - Link

Ottimo commento di Sancho P. Sinceramente anch'io ho collegato, leggendo l'articolo, gli argomenti trattati al concetto di Terroir e Cru. Ne abbiamo discusso, in altri dibattiti. E, in quei dibattiti, avevo messo in risalto i fattori microclimatici sulle caratteristiche del suolo. _____ Sul tema penso che c'è una presa di coscienza del cambiamento climatico in vasti strati della popolazione ma non è sentita, secondo me, ancors come preoccupante. La vera presa di coscienza si avrà quando saranno più tangibili, più visibili gli effetti negativi del cambiamento climatico. Le previsiono... lunghe... contenute nell'articolo perché dovrebbero impensierire SUBITO la gran maggioranza dell'umanità? Anche perché l'uomo contemporaneo ha una grandissima fiducia(quasi una Fede) nelle capacità della TECNICA e della SCIENZA. E, per questo, che non è ancora estremamente preoccupato delle conseguenze del cambiamento climatico. ____ Come ho già detto, mentre si parla, e giustamente, del cambiamento climatico si sottovaluta, secondo me, il problema della bomba demografica che esploderà prima di quella climatica. Su questo c'è una più bassa presa di coscienza nella società. L'esplosione demografica porterà a dei grandi cambiamenti in tutti i settori e in tutto il modo. Anche in questo caso l'uomo contemporaneo ha una grande FEDE nella Tecnica. ... E pensa che colonizzerà l'universo.

Rispondi
avatar

Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Ciao Marcow, Questa era la tesi di Malthus. La popolazione cresce a ritmo geometrico, mentre le risorse a ritmo aritmetico. E qui la discussione sarebbe interessante, ma bisognerebbe trovarci in altro sito. Da marxista, ti lascio immaginare come la penso. Mi fermo.

Rispondi
avatar

Lanegano

circa 3 anni fa - Link

Purtroppo la lungimiranza non è certo qualità di coloro che ci amministrano da decenni, di qualunque colore politico si ammantino. Se poi parliamo di strategie realmente sostenibili siamo davvero un fanalino di coda dell'UE, se si esclude la lungimiranza individuale di pochi. Dalle mie parti (colline parmensi) un ristoratore possiede un vecchio mulino con tanto di corso d'acqua in forte pendenza adiacente all'esercizio. Una volta mi ha raccontato il delirio burocratico e le tempistiche per poter utilizzare esclusivamente l'energia idroelettrica prodotta da sè. Dopo 15 minuti di descrizioni veramente kafkiane ho abbassato gli occhi sconsolato..... Ci ha messo anni e non ha ancora risolto del tutto....

Rispondi
avatar

Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

Numerose rovine testimoniano che nell’alto medioevo il clima era così caldo che si poteva fare agricoltura fino a mille metri., dove oggi è impossibile. In epoca romana c’erano vigne a Eburacum, che oggi si chiama York, e il Sahara era ancora verde. Il clima cambia molto e a volte velocemente, ma la vite è sempre tra noi. È una piantaccia robusta, non si stermina facilmente.

Rispondi
avatar

Lanegano

circa 3 anni fa - Link

Per fortuna....

Rispondi
avatar

Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Il discorso e l'ottimismo di fondo lo condivido e mi piace. Dopodiché, non posso che prendere atto del fatto che le forze produttive, e la loro capacità distruttiva, testata giá in guerre mondiali e locali, hanno capovolto l'assunto su cui si basa il rapporto tra tempi geologi e tempi della specie. Sintetizzando volgarmente, questa formazione economico sociale, consente a chi ha il potere di farlo, di mettere a repentaglio la vita della specie e dell'ambiente che la circonda. Fino a cento anni fa, non sarebbe stato possibile. Ciò dipende dallo sviluppo delle forze produttive e dalla formazione economico sociale nelle quale tecnica, scienza e produttività del lavoro si sviluppano. Tornando al rapporto clima/vino, da appassionato dilettante, la cosa che vorrei sapere è quanto i cambiamenti climatici o il susseguirsi di annate calde, vadano ad incidere sui Sud pieni, sui cru storici, e se vi sarà la possibilità di valutare diversamente zone più fresche e meno vocate. Su questo, il parere di Stefano Cinelli Colombini, Paolo Cianferoni e Mattia Grazioli, che spesso intervengono su intravino, mi interesserebbe molto.

Rispondi
avatar

Paolo Cianferoni

circa 3 anni fa - Link

Da ragazzo le vigne che producevano i migliori vini, qui a Radda, erano quelle esposte a sud, raggiungevano 12,5% di alcool ed erano davvero fini e eleganti. Oggi, mediamente, le stesse prestazioni si ottengono, sempre più frequentemente in vigne esposte non propriamente a sud. Certo c'è da considerare il miglioramento clonale, del portainnesto, delle sistemazioni idrauliche e della cura del vigneto, aspetto quest'ultimo molto rilevante nelle produzioni di qualità. L'anticipo vegetativo e di conseguenza l'anticipo vendemmiale comparato a diversi anni fà è dunque un aspetto importante da considerare (quest'anno mi sembra però tutto il contrario) a causa del cambiamento. Però a mio avviso sono altre le situazioni di rischio: l'umidità relativa spesso più alta, i fenomeni atmosferici più estremi (d'altronde ad aumento della temperatura corrisponde maggior energia che da qualche parte si deve scaricare), i nuovi insetti o batteri o funghi che oggi trovano spazi più idonei nell'ecologia del cambiamento climatico, comporta un'attenzione e una prontezza di intervento poco pensabile alcuni anni fa. La "tradizione", parola spesso abusata nel nostro mondo, potrebbe essere soppiantata dalla parola "abilità" di reazione del vignaiolo ai rapidi cambiamenti. Giustamente come sotolinea Ciuffoletti l'azione causata dal cambiamento climatico la notiamo particolarmente noi agricoltori che viviamo quotidianamente nella Natura, e allo stesso tempo facciamo parte della Natura. Posso assicurare e rassicurare che è la Natura la padrona di ogni situazione e l'uomo, che abita questo pianeta solo nell'ultimo secondo del calendario cosmico, può solo tentare di migliorare l'ambiente in cui vive per sopravvivere meglio e il più a lungo possibile.

Rispondi
avatar

Tommaso Ciuffoletti

circa 3 anni fa - Link

Grazie Sancho e grazie Paolo.

Rispondi
avatar

Lanegano

circa 3 anni fa - Link

Per fortuna...

Rispondi
avatar

Giacomo

circa 3 anni fa - Link

Per lò an bità i nebieu landi chi jera i armugnan.

Rispondi
avatar

Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

Ti suggerisco un classico, "armi, acciaio e malattie" di Diamond per documentarti sulle catastrofi ecologiche causate da società di ogni tipo e ogni epoca. È l'essere umano che è distruttivo, non uno specifico modello sociale. Detto questo, la natura ha davvero tante risorse e non è facile ucciderla, anche se noi ce la mettiamo tutta. Siamo dei pazzi suicidi. Nel prossimo futuro non vedo carenze di cibo, anche perché l'inflazione degli esseri umani si sta fermando. Non andremo verso il bio, perché con otto miliardi di persone da sfamare è tecnicamente impossibile. Avremo una agricoltura che cerca di evitare i conflitti con l'ambiente, perché non c'è altra via. E lo farà in modo sempre più tecnologico. Così come nella vite combattiamo i marciumi con batteri e non più con antimuffa, gli insetti con larve di insetti che mangiano i nocivi e le malerbe con l'inerbimento controllato. Tutta roba tecnologica. Siamo imparando ad assecondare l'ambiente per fargli produrre quello che ci serve, senza seghe mentali da regressisti. Convivenza con la natura, non puro sfruttamento ma neppure idolatria di un passato ideale che esiste solo nella fantasia di chi non conosce la storia. Il mondo è troppo affollato per potersi permettere luddisti, invasati che mettono l'ideologia oltre l'evidenza dei fatti o fanatici anti qualcosa.

Rispondi
avatar

Tommaso Ciuffoletti

circa 3 anni fa - Link

Letto e riletto. E lette anche alcune critiche alla sua impostazione (ma è inevitabile quando si scrive un classico come quello). Io consiglio anche il suo Collasso e, ancora di più, Il mondo fino a ieri (per quanto mi riguarda il suo libro migliore). Tuttavia, per avere idea di quanto il nostro mondo attuale sta bruciando risorse occorre leggere "Qualcosa di nuovo sotto il sole"di John McNeill. Perché al netto di un'attitudine di specie a modificare l'ambiente e sfruttarne le risorse, quello che è cambiato nell'ultimo secolo è stato il moltiplicarsi geometrico del potere di farlo. E questo cambia radicalmente lo scenario rispetto a qualsiasi precedente storico. Il punto è proprio qui.

Rispondi
avatar

Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

Vedo che condividiamo molte letture, magari anche Noah Harari. Occhio sull'idea delle "accelerazioni antropiche" come unicum, anche la natura a volte cambia in tempi rapidissimi per cui questo di per sé non crea nulla di nuovo. Aggiungo una riflessione: un cambiamento repentino può fare danni ma non è detto, perché le fasce climatiche coltivabili non si annullano, si spostano. E questo può ridurle, ma anche ampliarle.

Rispondi
avatar

Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Letto e usato per tante conferenze. L'uomo agisce all'interno di determinati rapporti sociali di produzione, che cambiano con lo sviluppo delle forze produttive. Nelle società schiavistiche o in quella feudale, l'uomo per quanto cattivo potesse mai essere, non aveva la possibilità di incidere molto sul clima, o su una Natura spesso considerata matrigna, perché il tempo sociale della sua esistenza, aveva ben altri ritmo che quello della geologia. L'impulso gigantesco dato dalla formazione economico sociale capitalistica allo sviluppo delle forze produttive(fatto straordinario e positivo), ha mutato radicalmente questa prospettiva. Oggi premendo un bottone si può fare saltare in aria una nazione. Il disastro di Cernobil, ha reso inabitabile una piccola porzione del nostro pianeta per sempre . Io non credo ai discorsi da prete sulla cattiveria dell'uomo e sul peccato originale. Il discorso è più complesso e capisco che la sede adatta per affrontarlo non è Intravino. Mi fermo su questo e consiglio la lettura del La Dialettica della Natura di F. Engels.

Rispondi
avatar

Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

L'uomo e le sue pecore hanno desertificato una parte del medio e centrale oriente superiore a tre o quattro volte l'intera superficie d'Europa, senza nessuna tecnologia. L'Islanda era coperta da boschi, e una manciata di vichinghi dell'età del ferro l'anno totalmente deforestata: ora non c'è più un bosco, manco piccolo. Erosione a go go. Gli antichi amerindi hanno mangiato l'intera macro-fauna delle Americhe, un disastro ecologico fatto da poche persone dell'età della pietra. L'uomo pre capitalista era capace di fare danni immani al pianeta come quello attuale. Solo, ci metteva qualche secolo in più. Ma come mai i marxisti vogliono sempre mescolare le loro teorie (oggi assai datate, ma un filino rozze già alle loro origini) con tutto? Nè Marx né Engels sono il prezzemolo, in molti piatti stonano.

Rispondi
avatar

Rostrum

circa 3 anni fa - Link

In effetti l'inizio del deterioramento dell'ambiente umano non risalgono al capitalismo ma alla scoperta dell'agricoltura, che, come forse lei non ha riscontrato nella sua superficiale lettura del marxismo, magari filtrata da interpretazioni di seconda mano, è all'origine delle forme più sviluppate di scambio mercantile, di proprietà privata e di divisione in classi. Su una cosa lei ha ragione: prima del capitalismo ci volevano secoli per impoverire il suolo di enormi aree geografiche (anche se sarebbe più corretto parlare di millenni), solo 35 anni fa una esplosione nucleare di pochi minuti in un regime di falso socialismo ma di vero capitalismo di stato ha reso invivibile un'area geografica per millenni. E non mi venga a dire che è il prodotto del socialismo, se non ha mai sentito parlare di Three mile island, di Bophal o di Fukushima. Per inciso, ogni specie, non solo quella umana, modifica l'ambiente circostante alterando le proprie condizioni di sopravvivenza. Se respiriamo e abbiamo la possibilità di apprezzare i profumi del vino lo dobbiamo al prodotto di scarto delle piante primitive: l'ossigeno. La differenza tra noi e una felce è che possiamo renderci conto del nostro operare e agire di conseguenza... certamente non continuando con questo sistema sociale che lei sembra giustificare e apprezzare moltissimo.

Rispondi
avatar

Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

Il tema del post sono i mutamenti climatici e il loro effetto sulla vite, che ritengo qui in Italia poco a rischio nel prossimo futuro, mentre a nord delle Alpi non sarei così ottimista. Quanto a Marx e Engels, ne ho letto alcuni libri. Tra i circa quindicimila che mi hanno accompagnato nella vita. Non sono tra i testi che ho trovato più interessanti.

Rispondi
avatar

Rostrum

circa 3 anni fa - Link

Non è confortante, i libri vanno anche capiti, oltre che letti. Ma si sa, vi è anche un modo di leggere libri che è simile a quello con cui il rentier sfoglia i pacchi di biglietti da mille. Qualora volesse approfondire il rapporto tra specie e ambiente dal punto di vista delle scienze biologiche rimango a sua cortese disposizione. La superficialità di giudizio su un argomento è sempre segno o di scarsa conoscenza o di interessata e preconcetta ostilità, può chiamarlo disinteresse, ma il risultato non cambia: meglio evitare di parlare con degnazione di ciò che non si conosce, si rischia di fare delle figure barbine.

Rispondi
avatar

Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Ovviamente sottoscrivo in pieno. Per ogni delucidazione su Marx ed Engels, a disposizione.

Rispondi
avatar

Rostrum

circa 3 anni fa - Link

Poi, detto così en passant, il tema sono i cambiamenti climatici e il loro rapporto con l'uomo e la sua organizzazione sociale. Alcuni interventi che ci hanno preceduto hanno, legittimamente a mio avviso, evidenziato il punto di vista marxista in merito. Il fatto che lei fraintenda o non comprenda questo punto di vista ha occasionato la mia risposta. Che l'argomento non le interessi, a questo punto, cessa di essere un argomento.

Rispondi
avatar

Rostrum

circa 3 anni fa - Link

Ciò che stona oltre ogni dire è la pretesa di sentenziare su ciò che non si conosce, e in forma alquanto "rozza" per giunta.

Rispondi
avatar

Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

Gentili signori Rostrum e signor Sancho P,, sono grato della vostra gentile disponibilità e intendo fruirne. Voglio approfondire il rapporto tra specie e ambiente dal punto di vista delle scienze biologiche, e vi aspetto qui alla Fattoria dei Barbi per essere erudito. Sono anche disposto a offrire di che bere e mangiare, perché occorrerà molta energia per infondere un minimo di sapienza in una dura cervice come la mia che i libri li sfoglia, ma non li capisce. Datemi una data, causa Covid sono sempre qui e vi aspetto. Sono impaziente.

Rispondi
avatar

Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Grazie per l'invito.

Rispondi
avatar

Rostrum

circa 3 anni fa - Link

Naturalmente la ringrazio per il cortese invito. Mi permetto di suggerire che una mini verticale del Vigna del Fiore sarebbe l'accompagnamento ideale per il dibattito.

Rispondi
avatar

Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

Non è un po' troppo capitalistica una verticale del vigna del Fiore? Proporrei un'assaggio in assoluta anteprima dei nuovi pecorini che stiamo sperimentando, affinato nel vino, al pepe nero, coi tartufi e affinati nei fondi di olio e cenere et alteri, provando gli abbinamenti coi vari nostri vini. Una vera ricerca scientifica, inappuntabile dal punto di vista etico.

Rispondi
avatar

Rostrum

circa 3 anni fa - Link

Si rassereni, per chi conosce un marxismo non adulterato, è noto che il socialismo non è condivisione di scarsità ma godimento di quanto di meglio prodotto dalla specie. Ovviamente al netto di funzioni sociali oggi ritenute indispensabili ma che tali non sono realmente, se non nelle costruzioni ideologiche autogiustificanti proprie di chi oggi le ricopre. È più che naturale supporre che continueremo a produrre e bere ottimi vini anche, se non soprattutto, in un diverso sistema sociale. Anche nell'antichità classica non si riteneva concepibile il mantenimento dei frutti della civiltà prescindendo dal lavoro servile, eppure, eccoci qui, sempre padroni e schiavi, ma almeno schiavi salariati. Questo per dire che non c'è nulla di capitalistico nell'indulgere nei piaceri della vita, a maggior ragione se così squisitamente offerti. Nondimeno, accolgo il suo controsuggerimento. Dopotutto, anche se beneficiario di una stimolante discussione, l'anfitrione è lei.

Rispondi
avatar

Sancho P

circa 3 anni fa - Link

"La proletaria" Etichetta blu va più che bene

Rispondi
avatar

Francesco Romanazzi

circa 3 anni fa - Link

Al netto di tutto e delle idee personali, grazie per questi commenti e soprattutto grazie a Tommaso per aver pubblicato un altro post interessante che ha suscitato un dibattito a sua volta interessante. Ce ne vorrebbero sempre di più, sia di post interessanti sia di dibattiti, e ci vorrebbero sempre meno reportage - spesso inutili, noiosi e autoreferenziali - sulla bevuta del giorno prima, ordinaria o eccezionale che essa sia.

Rispondi
avatar

Blablawine

circa 3 anni fa - Link

Quoto in pieno.

Rispondi
avatar

Tommaso

circa 3 anni fa - Link

Grazie di cuore Francesco!

Rispondi
avatar

Stefano

circa 3 anni fa - Link

Articolo interessante con 2 inesattezze di base: non e' vero che chi vive in citta' ha meno percezione dei cambiamenti climatici, anzi in citta' sono piu' evidenti.. 2 pensare l ' agricoltura come disgiunta dalla citta'. Vero verissimo che bisogna ricreare i sistemi agroforestali...e per fortuna che alcuni cominciano ad accorgersi di questa cosa, altrettanto vero pero' che i danni avuti in agricoltura negli ultimi 10 anni spesso derivano da fenomeni che si sviluppano sulle citta' poco verdi e poco forestate e poi si spostano in campagna. Esempio classico sono le bolle di calore che si formano sopra i grandi centri urbani perche' poco mitigate da vere aree verdi e poi incontrano sopra le campagne le masse fredde e danno origine a fenomeni estremi. Spostare i vigneti non serve a nulla nel lungo periodo ...servono veri progetti strutturati di riforestazione agricola e urbana integrati con il sistema produttivo. Ci sono oggi le conoscenze e le esperienze di Arboricoltori e agronomi specializzati in Urban Forestry...certo bisogna andare oltre i guru ammuffiti che dicono che il Sangiovese non soffre i cambiamenti climatici o che piantare alberi non serve....

Rispondi
avatar

Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

Mio caro Stefano, la ringrazio per avermi attribuito tanta gloria, sia pur ammuffita. Però non ho mia scritto che il Sangiovese non soffre i cambiamenti climatici. Ho scritto che la vite è una pianta molto adattabile, che è cosa molto diversa e oltretutto oggettiva, dato che ci sono viti in ogni clima. Trova contestabile anche questo?

Rispondi
avatar

Lanegano

circa 3 anni fa - Link

La lettura (e la comprensione, senza pregiudizi) dei testi di Marx ed Engels è assolutamente fondamentale per la comprensione oggettiva e realmente critica dei fenomeni economici e sociali del passato ma anche del presente e del futuro. Al netto ovviamente delle grandi differenze con il contesto in cui sono stati redatti. Ovvio che se qualcuno ritiene a monte che il valore di quei testi sia scarso, si tratta di approcci e forma mentis diametralmente opposti (ed ovviamente legittimi) che difficilmente avranno modo di dialogare più di tanto. Purtroppo, aggiungo come chiosa, visto che continuo a pensare che la divisione Guelfi/Ghibellini sia il grande male dell'Italia e che un pizzico di socialismo in più non possa che fare bene all'umanità tutta.

Rispondi
avatar

marcow

circa 3 anni fa - Link

1 Il commento di Francesco Romanazzi lo condivido. Parla di "dibattiti interessanti" che attraggono il lettore. 2 Cos'è un dibattito interessante? Quando un dibattito diventa interessante? La penso come Francesco Romanazzi ma, secondo me, c'è una principio che dice che non a tutti può piacere lo stesso dibattito. Infatti, in altri dibattiti, sono state espresse opinioni diverse da quella di Francesco Romanazzi, che io, invece, condivido. Uno dei punti che stimola il lettore(un certo tipo di lettore) è che il dibattito sia espressione di OPINIONI DIVERSE che si Confrontano, anche appassionatamente. 3 Ebbene, senza il commento di Sancho P sul libro di Engels non avremmo avuto altri commenti interessanti che hanno vivacizzato il dibattito. 4 Il libro di Engels, "La Dialettica della Natura", che non conoscevo, è perfettamente in tema: leggendo qualcosa sul web lo si capisce e si apprende che viene addirittura studiato anche in prestigiose università. È altrettanto legittima, e non fuori luogo, la replica di chi non condivide il punto di vista di Sancho P. Secondo me, tutto si è svolto entro i limiti della buona educazione, pur con quache piccola stilettata. 5 In questo senso condivido il commento di Lanegano ma non nella parte finale. Non dobbiamo silenziare le opinioni diverse e contrastanti. Altrimenti, rischiamo di far diventare i dibattii degli stagni, dove prevale la cultura del LIKE, che invece di stimolare il lettore lo può annoiare (v commento Francesco Romanazzi) 6 Penso che gli scambi vivaci non si debbano cronicizzare in guerra tra guelfi e ghibellini. Li si debba superare. Non è facile ma non è impossibile. Soltanto così continueremo ad appassionarci ai dibatti "pubblici" di Intravino, uno dei pochi blog dove ancora si discute(se ce ne sono altri fatecelo sapere)

Rispondi
avatar

Angelo Belisario

circa 3 anni fa - Link

Perché Marx non si può lasciare in pace? Intanto perché la diminuzione della fertilità naturale dei sistemi biofisici sta creando le condizioni per una violenta frattura tra capitale economico e risorse naturali che può portare a crisi estreme. Tale diminuzione coinvolge i servizi sia eco-sistemici (il ciclo dei nutrienti, la formazione del suolo, la produzione di cibo) sia geo-sistemici (l’acqua potabile, le materie prime e i combustibili fossili), come certificano molti studi, tra cui lo Special Report on Climate Change and Land dell’IPCC o l’OECD Environmental Outlook to 2050. L’attuale sistema porta a produrre sempre più energia, prodotta per la maggior parte da fonti fossili, per mobilitare sempre meno forza lavoro, e di conseguenza meno valore, visto che esso dipende dal lavoro umano. Questo sta portando a una profonda crisi della dialettica capitalismo/natura. L’utilizzazione delle risorse naturali nel sistema capitalistico non prevede il ripristino delle stesse, in quanto ciò rientrerebbe nel calcolo di un costo da evitare, così come non è prevista l’eliminazione o la riduzione nell’uso di sostanze differentemente inquinanti – in aria, acqua, terreni – se queste risultano funzionali al processo produttivo meno caro. La ricerca insaziabile del massimo guadagno a breve termine è la causa della corsa verso l’abisso, in cui gli standard ambientali e il tenore di vita delle masse sono anch’essi spinti sempre più in basso. Le multinazionali puntano al massimo risparmio e aggirerano le regolamentazioni ovunque sia necessario per ridurre i costi, battere i concorrenti, conquistare nuovi mercati e massimizzare i profitti. Rostrum, ha ricordato la strage perpetrata a Bhopal, in India, il 3.12.1984 ad opera della Union Carbide, colosso del mercato chimico mondiale, i cui dirigenti non entrarono mai in nessun tribunale. Lo stoccaggio della fornitura dei pesticidi fu sottoposto a un abbassamento del livello di sicurezza – come da risparmio di costi di capitale – e “tragicamente” fuoriuscirono nell’ambiente 40 tonnellate di isocianato di metile (MIC) altamente tossico, sì da causare 3700 morti immediatamente e 16.000 nelle settimane successive. L’antiparassitario sparse mercurio, piombo, diclorobenzene sul suolo e nelle falde acquifere, determinando danni permanenti anche ai nati nelle generazioni successive, dovuti a contaminazioni, oltre che dell’acqua potabile, di madri che ebbero così i propri figli rovinati da labioschisi, paralisi cerebrali infantili, problemi respiratori, ecc. In Italia, possiamo ricordare le incalcolabili vittime da mesotelioma pleurico e il relativo inquinamento ambientale presente e futuro dovuto all’amianto, determinate sin dal 1907 dalla ditta Eternit di Casale Monferrato in Piemonte. I dirigenti di questa azienda pur sapendo della pericolosità del materiale, lo nascosero ai lavoratori che poi ne morirono. È urgentemente necessario stabilire una relazione completamente diversa tra l’essere umano e la natura, basata sul “prendersi cura” di entrambi. Questa nuova relazione non nascerà semplicemente da azioni individuali dirette a cambiare i comportamenti; richiede una trasformazione strutturale nella relazione tra gli esseri umani stessi: il superamento di questo modo di produzione è una necessità storica. L’alternativa è quella indicata da Marx. La barbarie.

Rispondi
avatar

Lanegano

circa 3 anni fa - Link

Mille minuti di applausi.

Rispondi
avatar

Vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...eh si...

Rispondi
avatar

Mario Petrini

circa 3 anni fa - Link

Dibattito alto. Complimeti, però sarebbe interessante tornare su alcuni questioni poste nell'articolo, e negli i nterventi di Sancho P, Marcow e Paolo Cianferoni. 1)Il costante incremento delle temperature medie fa sì che per trovare le stesse condizioni di cent’anni fa, la vite debba salire in altitudine e, a seconda delle zone, in latitudine, spostando la produzione dei vini più pregiati in zone che qualche decennio fa, erano considerate "poco adatte" 2) E' corretta l'affermazione che i vigneti e il vino siano tra le prime vittime delle conseguenze dei cambiamenti climatici? Secondo alcuni studi, il 50% delle regioni vitivinicole nel mondo potrebbe scomparire se si confermasse uno scenario di aumento delle temperatura di 2 gradi centigradi entro il 2050. E' vero o è allarmismo? 3) La nozione di cru , avrà ancora un senso? Se molti champagnisti, stanno valutando investimenti nel Sud dell'Inghilterra, il prezzo che dovremo pagare per produrre buoni vini, sarà quello di piantare la vite anche a mille metri, dove prima c’erano solo boschi e noccioleti? Grazie

Rispondi

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.