Intervista ad Alberto Grandi | L’invenzione della tradizione del vino e del cibo

Intervista ad Alberto Grandi | L’invenzione della tradizione del vino e del cibo

di Jacopo Manni

L’idea di questa intervista è nata lo scorso novembre in quel di Verona, dove al Forum internazionale sul wine business wine2wine è andato in scena un dibattito sul giornalismo del vino. Nel panel era stato invitato anche il nostro Alessandro Morichetti (e trovate qui un copioso report della giornata). Io ero in platea in prima fila e con Jacopo Cossater e Andrea Gori ci siamo divertiti a contare il numero delle volte in cui venivano citati Mario Soldati e Luigi Veronelli: abbiamo perso il conto.

Nel mondo vino il fenomeno è davvero rilevante e mi sono chiesto spesso quali siano significato e motivazioni dietro questa dinamica così celebrativa e quasi idolatrica. Qualcosa di simile a molti meccanismi teologici capaci cioè di creare mitologia e misticismo più che critica e giudizio.

Quando ho cominciato a conoscere e studiare il lavoro di Alberto Grandi, ho capito che era la persona perfetta con cui dialogare su questo e molti altri temi collegati. La sua bio ci racconta che è professore associato all’Università di Parma, dove insegna Storia delle imprese, Storia dell’integrazione europea e ha insegnato Storia economica e Storia dell’alimentazione. Ha una pagina wikipedia solo in inglese (forse non a caso) che trovate qui.

Se non avete voglia di leggere i suoi numerosi e interessantissimi lavori sulla storia dell’alimentazione, ascoltate allora il suo podcast tratto dal suo libro Denominazione di Origine Inventata – Le bugie del marketing sui prodotti tipici italiani che trovate qui. Intervistarlo è stata una logica conseguenza.


Nel racconto del cibo e del vino, quando e come è successo che “l’identità si è impossessata delle radici e della storia e di conseguenza si è trasformata in un eterno presente senza passato e senza futuro?”
Credo che in Italia questo processo sia iniziato già in pieno boom economico, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60. Del resto, l’industrializzazione italiana fu un fenomeno talmente repentino da travolgere per forza ogni elemento identitario precedente; anzi, quello che avvenne fu proprio un rigetto di tutto ciò che in qualche modo poteva ricordare un passato fatto di povertà, emigrazione e assenza di prospettive. Ecco, in questo contesto, alcuni osservatori e alcuni critici della nuova società dei consumi iniziarono un’opera di conservazione della memoria che poteva essere meritoria, ma che molto spesso si trasformò in una vera e propria reinvenzione del passato. Penso in particolare a Pasolini, che nella sua furia anticonsumistica e anticapitalistica finì per esaltare le presunte virtù di una società rurale fatta di povertà, ignoranza e spesso anche di violenza e sopraffazione. Se volessi ribaltare un famoso modo di dire, potrei affermare che per salvare il bambino si conservò anche l’acqua sporca, dicendo che era pure pulita.
Quando negli anni ’70 il modello di sviluppo industriale cominciò a segnare il passo, la ricostruzione del passato era già pronta e confezionata, andava solo rafforzata e così, dal punto di vista identitario, l’industrializzazione italiana divenne solo una sorta di parentesi che nulla aveva a che fare con l’anima profonda del Paese. Come ci ricorda Nanni Moretti in una famosa scena di Ecce Bombo del 1978, nella quale il perfetto rappresentante dell’italiano medio, chiacchierando al bar, afferma: “Noi italiani stavamo bene a pascolare le pecore e poi abbiamo voluto fare un Paese industriale… sì… industriale… noi italiani siamo fatti così: rossi e neri tutti uguali…”. Scatenando a quel punto la reazione violenta dello stesso Moretti: “Ma dove siamo, in un film di Alberto Sordi? Te lo meriti Alberto Sordi!”. Ecco, negli anni ’70 l’Italia è finita tutta in un film di Alberto Sordi e da quel momento è stata contenta di starci.

I soggetti culturali che vengono citati come assoluti modelli e riferimenti forse in maniera sempre troppo sterile e acritica, virando verso la mistica ormai – e cito Mario Soldati e Luigi Veronelli – sono persone che come tu sostieni hanno teatralizzato e costruito modelli culturali calati dall’alto raccontando e fossilizzando una realtà alimentare che tu definisci adattata e volutamente rustica. Come lo hanno fatto? Ma soprattutto perché?
Lo hanno fatto soprattutto grazie alla televisione; quella stessa televisione che attraverso Carosello, i varietà, la programmazione di film e sceneggiati, veicolava nuovi modelli di consumo e nuovi prodotti. Così, mentre si costruiva una cucina moderna, domestica, urbana e ricca, Soldati e Veronelli ne cercavano le improbabili origini nella valle del Po o in qualche sperduto borgo dell’Italia centrale e meridionale; proprio quei borghi che si stavano inesorabilmente spopolando. Il perché è meno facile da individuare: c’era sicuramente una critica forte nei confronti del modello industriale e in particolare della grande impresa fordista; c’era anche la paura di perdere comunque un patrimonio culturale e una memoria che invece andavano giustamente preservati; c’era probabilmente anche una contrapposizione politica nei confronti di una classe dirigente che veniva percepita come incolta o pusillanime e per questo non in grado di indirizzare l’innegabile sviluppo economico verso una più equilibrata distribuzione della ricchezza. L’accusa era quella di “americanizzare” l’Italia, accogliendo passivamente i nuovi sistemi di produzione e i nuovi modelli culturali.

Perché ha funzionato e continua a funzionare così tanto questo racconto mistico e forse falso, o quantomeno alterato, delle origini?
Perché è comodo e rassicurante. Perché ci permette di credere che l’Italia avrà comunque il suo ruolo centrale nel mondo, senza fare sforzi, soltanto in virtù del suo passato e delle sue tradizioni, cucinando la carbonara senza la panna e raccontando favole sulla sua storia gastronomica. Ma il passaggio da maestri di cucina a macchiette può essere velocissimo e probabilmente è già avvenuto.

Tu sostieni che “Soldati stava cominciando a costruire una mistica delle origini completamente avulsa dalla cucina che il suo pubblico praticava ogni giorno”. Qui cerchiamo di parlare di vino anche se non è esattamente il tuo campo semantico. Vino al Vino di Soldati è un testo cult per moltissimi appassionati (quasi tutti in realtà) che lo ritengono attualissimo. Una sorta di testo sacro.
È proprio in quel testo e ancora di più in “Viaggio lungo il Po” che Soldati inizia ad esaltare tutto ciò che non faceva parte del panorama enogastronomico dei suoi lettori e dei suoi telespettatori. Basterebbe leggere l’incipit di Vino al vino: “da noi tutto ciò che ha un nome, un titolo e una pubblicità, vale in ogni caso molto meno di tutto ciò che è nascosto, ignoto e individuale”. Il che voleva dire che tutto ciò che i suoi lettori compravano nei negozi di alimentari o che bevevano nei ristoranti più rinomati era per definizione di scarsa qualità. In più c’è questa dimensione errante nel suo racconto che lo porta a ribaltare completamente il rapporto ontologico tra prodotto e area di provenienza: non è il territorio che fa il vino, ma il vino che fa il territorio.

Il suo racconto era scollato dal suo tempo ma è attuale per il nostro tempo? Cioè è riuscito a guardare avanti o siamo noi che abbiamo avuto necessità di fissare quello che ha creato con la sua retorica?
La mia analisi mi porta a dire che fino agli anni ’80 il racconto di Soldati sia stato percepito come poco più che un esercizio retorico. Ma la crisi degli anni ’70 prima e l’esplosione dell’individualismo anni ’80 poi portarono a una rivalutazione del lavoro di Soldati, in particolare da sinistra. Movimenti come Arcigola e Slow Food iniziarono a esaltare un individualismo antiamericanista e difensore delle tradizioni, quindi nostalgico e prefascista, ma buono, proprio in piena coerenza con le idee di Pasolini e di Soldati. Per questo non so rispondere alla tua domanda, non saprei dire se Soldati fosse molto avanti o se siamo noi italiani impauriti del XXI secolo che stiamo guardando troppo indietro. Io ne registro i pericoli e gli evidenti paradossi.

E dopo Soldati tu dici che “sarebbe arrivato Luigi Veronelli con la sua esaltazione di una enogastronomia rurale immaginaria e la negazione ideologica di tutto ciò che appariva moderno”. Veronelli come o forse più di Soldati per il mondo del vino viene visto come una figura religiosa. Non esiste nessun discorso enologico che affronti il tema vino dal punto di vista storico senza citare Veronelli, primo di tutti a fare tutto nella comunicazione del vino. Cosa intendi esattamente? Ma soprattutto perché non riusciamo a uccidere gli idoli – kill your idol – e andare avanti?
Che Veronelli sia stato un genio della comunicazione non devo certo essere io a ribadirlo. Veronelli era un uomo dalla cultura sconfinata perfettamente a suo agio nel mondo dei mass-media, il che ne faceva automaticamente un intellettuale del tutto sui generis nel panorama italiano. È evidente che una figura così ingombrante non possa essere tolta di mezzo tanto facilmente. Era e rimane un punto di riferimento quando si parla di storia del vino in Italia. Il problema è che Veronelli è morto da vent’anni e nel frattempo il mondo del vino è cambiato in maniera radicale. Ad esempio, se è vero che fu proprio Veronelli a sdoganare i Supertuscan, in un famoso articolo apparso su Panorama nel 1974, siamo sicuri che di fronte all’evoluzione di quei vini e di quei territori mostrerebbe oggi lo stesso atteggiamento? Io credo che gli idoli vadano uccisi per rispetto nei loro confronti, non farlo significa non averne appreso l’insegnamento e questo vale ancor di più nel caso di Veronelli che era dichiaratamente anarchico e ha sempre spronato tutti a studiare e a nutrire dubbi su ogni aspetto della vita. Oggi in Italia quando si parla di cibo, ma anche di politica e di cultura, tendiamo ad applicare la stessa logica del calcio, per cui pochi giocano e tutti gli altri si limitano a collezionare figurine…

Parliamo troppo di vino e di cibo o ne parliamo solo male?
Secondo me ne parliamo troppo e male. Sul troppo, direi che siamo in buona compagnia, perché mi sembra che anche in Francia e molti altri paesi il tema gastronomico-identitario sia diventato centrale. Come ho già detto, noi rischiamo di diventare delle macchiette, ma soprattutto rischiamo di sopravvalutare il peso dell’enogastronomia nell’economia italiana. Ad esempio, ormai viene ripetuto quasi ogni giorno che il settore agroalimentare italiano valga complessivamente 500 miliardi. Ma 500 miliardi di euro, su un Pil italiano che nel 2022 è stato di 1.900 miliardi, sono qualcosa di più del 26%. In pratica si afferma che più di un quarto della ricchezza italiana dipenderebbe dalla produzione e dalla distribuzione di cibo. A proposito di radici e di identità, io sinceramente non saprei dire dove sia nata questa leggenda statistica, anche se qualche sospetto potrei avercelo, ma sono molto più interessato a comprendere come un dato palesemente falso venga oggi ripreso e acriticamente divulgato anche da chi magari lancia sinceri e accorati appelli sulla necessità di fare ricerca seria sul cibo italiano e sulla sua storia partendo dai dati.

Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino d’industria?
Non sono un sommelier, sono un bevitore occasionale e sicuramente poco raffinato, ma direi di no. Non c’è motivo per sostenerlo, né nel settore enologico, né in qualsiasi altro settore. Anzi, io credo che la capacità di sperimentare nuove tecniche e nuovi blend che ha una cantina di medie e grandi dimensioni siano del tutto precluse al contadino. E senza la sperimentazione e l’innovazione non può esserci qualità. Funziona così da sempre, da almeno 6.000 anni. 

[Immagine fornita da Alberto Grandi]

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Jacopo Manni

Nasce a Roma ma si incastella a Frascati dove cresce a porchetta e vino sfuso. L’educazione adolescenziale scorre via in malo modo, unica nota di merito è aver visto dal vivo gli ultimi concerti romani dei Ramones e dei Nirvana. Viaggiatore seriale e campeggiatore folle, scrive un libro di ricette da campeggio e altri libri di cucina che lo portano all’apice della carriera da Licia Colo’. Laureato in storia medievale nel portafoglio ha il santino di Alessandro Barbero. Diploma Ais e Master Alma-Ais, millantando di conoscere il vino riesce ad entrare ad Intravino dalla porta sul retro.

52 Commenti

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Franca

circa 10 mesi fa - Link

Dire che la capacità di innovazione e sperimentazione sia "del tutto preclusa al contadino" mi pare proprio eccessivo

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Fabio Rizzari

circa 10 mesi fa - Link

Nei mesi scorsi ho letto frammenti giornalistici sparsi sul lavoro di questo studioso. Per formulare un giudizio critico puntuale sul valore delle sue analisi occorrerebbe ovviamente una ricognizione lunga e attenta sulla sua produzione accademica. Quindi mi astengo su quanto pertiene alla ricostruzione storica sulle nostre tradizioni gastronomiche, sebbene l’odore di un certo benaltrismo sensazionalistico (il Parmigiano “vero” viene dal Wisconsin e simili amenità) si affacci con una certa insistenza, almeno stando alle magari rozze semplificazioni della stampa. Condivido, en passant, le considerazioni sulla debolezza del pensiero pasoliniano circa la nostalgia di una civiltà contadina che lo stesso Pasolini era consapevole di idealizzare. Detto questo, è evidente che Grandi non si orienti minimamente quando si tratta di parlare di vino e di storia della critica enologica italica. Sull'argomento farebbe molto meglio a tacere, al netto delle doverose – e credo ineludibili – attestazioni di stima generica a Veronelli. Sul quale Veronelli egli fa lampeggiare, almeno stando al testo di questa intervista, una sostanziale svalutazione dell’architettura su cui poggia la sua opera pluridecennale. Non si avventuri, soprattutto, sullo scivolosissimo terreno vino industriale/vino contadino. Non ha palesemente gli strumenti interpretativi per farlo.

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Michele A. Fino

circa 10 mesi fa - Link

Caro Fabio, non entrerò qui nel merito degli inviti a non esprimersi riguardo non alla critica di veronelli e alla sua architettura, cge non è quanto fa Grandi, il quale ai singoli dedica sempre poca o nulla attenzione concentrandosi semmai sull'effetto dei singoli sui meccanismi sociali ed economici. Sarebbe oltremodo banale, osservare davanti a un uomo di cultura come te che non c'è necessaria eziologia tra la qualità del pensiero di un autore e gli effetti sociali del suo pensiero. Mi permetto invece di rappresentarti che il pregiudizio riguardo al parmigiano È una costruzione totalmente giornalistica poiché Grandi non ha mai parlato di parmigiano vero nel Wisconsin bensì della circostanza, paradossale e istruttiva allo stesso tempo, per cui chi cercasse il parmigiano "di una volta" non lo troverebbe oggi di lungo l'asta del Po, ma nel fertile stato americano, alludendo alla circostanza che là, lontano dal cuore pulsante della produzione e per via della tradizionalità dei casari italiano americani, si perpetua un modello che viceversa qui è cambiato radicalmente molti decenni orsono. Il che equivale ad anatema per tutti i fautori della ininterrotta e immutabile tradizione alimentare del Belpaese. O per molta stampa sciovinista quanto ignorante

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Fabio Rizzari

circa 10 mesi fa - Link

Non dubito che il pensiero di questo accademico sia stato scarnificato o addirittura distorto dai cronisti, e difatti l’ho scritto in premessa. Eppure, anche concedendogli il beneficio di un'onesta riconduzione alla verità storica, nessuno può togliermi l’impressione che questa ricognizione “filologica” diventi in seconda battuta, e anzi in prima, una provocazione. E che soprattutto regali un facilissimo strumento a chi – per i motivi più disparati, specie all’estero – non vede l’ora di derubricare la nostra straordinaria ricchezza culturale a fuffa, involucro vuoto e falsificazione storica. Sul Parmigiano avevo già in mente di approfondire; ma un conto è scrivere “alcuni degli elementi più significativi del Parmigiano ‘storico’, dell’ur-Parmigiano, sono sopravvissuti in forma più diretta e vitale in una plaga degli Stati Uniti, laddove la sua culla originaria, la sua cultura in senso ampio, è e rimane inequivocabilmente italica”. Un altro è scrivere press’a poco: “voi ingenui credete che il Parmigiano sia tricolore, e invece etc etc”. Che alcuni portati storici si rintraccino sotto una diversa giurisdizione non implica affatto che una data cultura non sia costitutivamente, direi fondativamente e poi continuativamente patrimonio di una data nazione (o comunque gruppo sociale). Ma su questo, ri ri ri ri ri ripeto, resto a un’impressione non documentata, che vale quello che vale. Sulle soprascritte, confuse e direi anche dubbie opinioni sul vino invece confermo: egli farà bene a studiare.

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Stefano Senini

circa 10 mesi fa - Link

Solo un accademico può giudicare i lavori accademici; a me pare che il divulgativo "Denominazioni di origine inventata" sia convincente anche dal punto di vista del vino, palesando quel che spesso è sotto gli occhi di tutti, ma non si vuol vedere. Per esempio parla di un territorio in Piemonte dove, facendo vino, si pu6 ricadere sotto tre doc differenti con il vigneto nella stessa porzione di terra. Noi magari è da anni che sappiamo che il sistema delle doc non funziona, ma lui lo documenta bene.

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Michele Antonio Fino

circa 10 mesi fa - Link

Il consiglio di studiare è sempre nel giusto. Peraltro, conoscendo l'attitudine di Grandi, credo sia anche inutile. Mi convince meno il divieto di esprimersi riguardo all'influenza sulla cultura di massa di ciò che si tramanda di chicchessia. Ma riconosco sia questione di sensibilità e rispettivi pantheon .

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Fabio Rizzari

circa 10 mesi fa - Link

Sono felice, caro Michele, che Grandi abbia una sana attitudine all'approfondimento, perché sulla critica enologica ha parecchio da esplorare. Quanto al "divieto di esprimersi eccetera", penso tu ti riferisca a qualche altro partecipante alla conversazione, perché in nessuno dei miei commenti mi esprimo in quei termini.

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Alberto Grandi

circa 10 mesi fa - Link

Due considerazioni: 1) se io avessi scritto che alcuni aspetti storici del Parmigiano si ritrovano nel Parmesan, non si sarebbe avviato il dibattito sulle sue origini e il formaggio del Wisconsin verrebbe costantemente indicato come classico prodotto della grande industria, creato apposta per scalzare il nostro eroico formaggio fatto da piccoli produttori... 2) di preciso, chi sarebbero quelli che fuori dai confini nazionali non vedono l'ora di screditare la nostra storia e la nostra cultura?

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Fabio Rizzari

circa 10 mesi fa - Link

"Di preciso" è piuttosto ambizioso: è come chiedere di elencare tutti i numeri di telefono d'Europa. Scrivere che la cultura cosiddetta materiale italica abbia numerosi avversari e svalutatori è scoprire l'acqua calda. Sia per bieche motivazioni economiche che per una sistematica sottovalutazione storica: non è una sindrome da accerchiamento paranoico, è un'evidenza. Bastano come dati esemplari i titoli recenti nei sito della CNN e della BBC, entusiasti nel farci abbassare le penne sulle glorie nazionali della pizza, della carbonara e del Parmigiano. Ma basta anche leggersi una voce a caso della versione francese di Wikipedia, che nel 97% dei casi è platealmente riduttiva nei confronti della nostra storia e della nostra cultura. Se poi si dà fiato a questa subcultura con intenti che non possono che apparire sensazionalistici (e magari sono soltanto seriamente accademici), si sconfina trionfalmente nell'automartellamento testicolare.

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Alberto Grandi

circa 10 mesi fa - Link

E invece io credo che la storia e la cultura italiane siano studiate e spesso ammirate con maggiore serietà all'estero che non in Italia. Basare il giudizio sui titoli di giornali o su Wikipedia è decisamente poco disciplinato dal punto di vista del metodo. Noi ormai ne facciamo una mera questione economica (e in parte anche lei cade in questo equivoco), per cui la caricatura della nostra identità seve ad attirare più turisti e a vendere qualche cacio e pepe in più, ma di interrogarsi davvero cosa sia la nostra storia, quale sia il rapporto tra la nostra attuale identità e le nostre radici, non se ne parla nemmeno. Lo dimostra la candidatura della cucina italiana a patrimonio dell'UNESCO, nella quale, dopo aver detto che una cucina italiana non esiste, si trova un comune denominatore "nel momento della preparazione e del consumo del pasto come occasione di condivisione e confronto "... Le sembra una cosa seria? Voglio dire, non è che in Olanda si sputino nel piatto a vicenda o che in Finlandia se chiedi una ricetta ti ammazzano... Ecco, io vorrei solo un po' più di serietà e un po' meno marketing. Il mio mestiere non è vendere formaggio e quindi non mi si chieda di dire che il parmigiano si fa come mille anni fa (che sarebbe anche una buona ragione per non comprarlo), ma che da quelle parti si fa formaggio da mille anni (che è tutto un altro discorso).

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Fabio Rizzari

circa 10 mesi fa - Link

Non confondo i due piani accademico e giornalistico: ho scritto a chiare lettere nel mio primo commento che non entro negli aspetti professionali della sua ricognizione scientifica. Il nucleo della mia critica riguarda la possibile - e difatti puntualmente verificatasi – strumentalizzazione del suo o di altri lavori simili. Non a caso parlo di subcultura citando Wikipedia, dal momento che per me si tratta di uno strumento ambiguo. Lei chiede disciplina e metodo, ma non può affrontare la divulgazione giornalistica con i dispositivi critici di un professore universitario, a meno che il suo campo di studio non riguardi proprio i cosiddetti mass media. Non può in altre parole aspettarsi che ci si muova qui citando in modo puntuale fonti documentali accademiche, la monografia dello specialista di Yale o il saggio del docente della Sorbona. Deve invece misurarsi con l’incendiaria materia delle deformazioni giornalistiche/scandalistiche/sensazionalistiche. Da quanto ho letto non mi pare che lei si sia premurato di mettere tra mille parentesi taluni risultati della sua ricerca; o di chiedere ai redattori di non dedurre, per carità, che non abbiamo una vera tradizione gastronomica. Mi pare invece che – mi sbaglierò – abbia un po’ cavalcato l’onda dell’eco mediatica che ne è seguita.

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Alberto Grandi

circa 10 mesi fa - Link

Al contrario; è il sistema mediatico che insegue e cavalca il mio lavoro e non viceversa. Io racconto queste cose da una quindicina d'anni, nessuno, nemmeno dentro l'accademia ha mai avuto problemi a confrontarsi con me, ma dopo l'intervista al FT (che nessun giornalista italiano, tra quelli che ne hanno scritto, ha dimostrato di avere letto) è partita la corsa a chi la sparava più grossa. Io non mi sento minimamente responsabile di questo circo mediatico, che ha motivazioni commerciali (clickbait) e motivazioni gastronazionalistiche (dimostrare che il mondo complotta contro la nostra cucina...). A me basta avere qualche spazio, come questa intervista, per mettere a fuoco alcune tematiche che, lo ammetto, devono essere ancora molto approfondite. Credo sia il destino di chi rompe i paradigmi: avere molti detrattori (ma anche molti sostenitori) e incorrere in qualche imprecisione.

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Fabio Rizzari

circa 10 mesi fa - Link

Suona molto come una facile autoassoluzione, trincerandosi nel fortino inviolabile dell’accademia. Fortino, en passant, che inviolabile non è: non starò a confondermi con i negazionisti di ogni taglia e colore, ma è indubitabile che dire castronerie ex cathedra non le rende meno castronerie. Non dico che le sue lo siano, beninteso: è soltanto rimarcare l’ovvio. Anche l’immagine dell’intrepido smontatore di stereotipi, scomodo per l’establishment e per chi alimenta ammuffiti luoghi comuni sulla grandezza italica, non suona per niente convincente. Il sentore di protagonismo è al contrario piuttosto insistente. Resto comunque alle mie impressioni e non pretendo di dimostrarle in un’aula di tribunale, fornendo prove e controprove. Per quanto mi riguarda la chiudo qui. Buon lavoro, veda di leggersi qualche buona pagina sul vino di Veronelli, Soldati, Monelli: li troverà autori non così banali e inattendibili.

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Michele Antonio Fino

circa 10 mesi fa - Link

Beh, caro Fabio, grazie di questo scambio. Certo che ognuno resta delle proprie convinzioni. Ma ai lettori di intravino almeno si offre così un modo trasparente per approfondirle ed eventualmente approvarle o respingerle.

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Michele Antonio Fino

circa 10 mesi fa - Link

E dimenticavo di scusarmi per l'interpretazione errata di "sull'argomento farebbe meglio a tacere", inteso frettolosamente come un implicito, e per me poco motivato, divieto di espressione. Tutto a posto.

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popi

circa 10 mesi fa - Link

condivido Fabio sul "benealtrismo sensazionalistico", stessa impressione...

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marcow

circa 10 mesi fa - Link

Penso che il "mito" di Veronelli nasca dall'insoddisfazione verso la Critica Eno-gastronomica italiana degli ultimi 30 anni. I critici che sono venuti dopo Veronelli non li ricorda nessuno. Veronelli è ancora vivo. Anche se sarebbe meglio non "strumentalizzarlo" come spesso si fa: "Se ci fosse Veronelli direbbe..." Nessuno sa cosa direbbe veramente Veronelli su una realtà molto diversa da quella da lui conosciuta. Gli uomini hanno bisogno di MITI. Siamo pieni di pseudo-miti, di miti di pasta frolla. Di miti da ... consumare ... anche in una stagione. Teniamoci stretto un mito come quello di Veronelli.

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Michele A. Fino

circa 10 mesi fa - Link

Mi sembra che Grandi sia perfettamente d'accordo con te sul fatto che gli uomini non possano fare a meno di miti.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 mesi fa - Link

Articolo interessante, e privo delle cadute di stile che si usa attribuire al prof. Grandi. Vero, l'origine della comunicazione del vino ha un vizio genetico; è nata da grandi intellettuali che erano anche geniali comunicatori, che purtroppo erano più interessati alle loro convinzioni che ad una ricerca puntuale del dato. Ma va detto che probabilmente un lavoro puntuale di ricerca avrebbe annoiato, mentre la prosa di Soldati o di Veronelli ha stregato il lettore. Il vino non era un argomento e grazie a quei grandi lo è diventato. Io c'ero, li ho frequentati tutti e ricordo bene il prima e il dopo. Detto questo, e costruito ogni monumento possibile ai Padri Fondatori, la prassi della favola è andata fuori controllo e ha annoiato l'utente. Anche l'ultima versione 4.0 del vino del contadino, ovvero il vino naturale, mostra non poche falle. E i francesi stanno peggio di noi, in tempi di climate change si dimostra evidente che la fola della parcella vitata che genera bottiglie straordinarie fin dai tempi di Berta dai lunghi piedi...... Il problema però è anche una opportunità, come dicono i cinesi. Perché il vino, molto più della cucina, ha anche un po' di storia e non pochi personaggi, e soprattutto li ha avuti. Ce n'é da raccontare, così come avremmo molto da dire sulle nostre zone vitate e sulla loro straordinaria bellezza. Se usassimo un po' meno ChatGPT e un po' tanto in più di ricerca sul quel che abbiamo e quel che abbiamo avuto, tutto questo potrebbe diventare una miniera d'oro per il vino italiano. Forse più che per chiunque. Forse.

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Alessandro Morichetti

circa 10 mesi fa - Link

Stefano, le cadute di stile attribuite a Grandi sono nella stragrande maggioranza dei casi figlie di un titolista - da una parte - e di qualcuno che non va oltre il titolo dall'altra. Il prof. Grandi ha un modo di argomentare pacato e che non trasmette alcuna necessità di essere contro a prescindere, chi lo dice o dice il falso o è in malafede.

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marcow

circa 10 mesi fa - Link

Su Pasolini. Non si può presentare il pensiero di Pasolini in questo modo riduttivo dimenticando la critica al consumismo che è la parte centrale e profetica degli articoli famosi su cui ancora oggi si discute perché sono di una grande attualità. Fu tra i primi a valutare l'impatto del consumismo su diversi aspetti della società contemporanea. Presentarlo come un nostalgico della vecchia civiltà contadina non è corretto.

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Michele A. Fino

circa 10 mesi fa - Link

Non credo che si possa dire che grandi ha qui presentato il pensiero di Pasolini. Grandi, in questa intervista, ha illustrato l'effetto sulla cultura di massa di ciò che del pensiero di Pasolini viene sempre presentato, ripetuto, strombazzato. Il che purtroppo non è la critica al consumismo ma l'esaltazione della vita contadina e la celeberrima lettera sugli scontri studenteschi.

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Lanegano

circa 10 mesi fa - Link

"Io credo che gli idoli vadano uccisi per rispetto nei loro confronti, non farlo significa non averne appreso l’insegnamento e questo vale ancor di più nel caso di Veronelli che era dichiaratamente anarchico e ha sempre spronato tutti a studiare e a nutrire dubbi su ogni aspetto della vita". Non posso che applaudire.......

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marcow

circa 10 mesi fa - Link

In questo articolo Massimo Montanari spiega la sua posizione sulla candidatura della cucina italiana all'Unesco. Sulla quale Alberto Grandi aveva espresso un'opinione critica. Infatti nell'articolo si accenna ad Alberto Grandi. Massimo Montanari esprime un'opinione contraria a quella di Alberto Grandi. Due docenti universitari di discipline simili. Massimo Montanari lo conoscevo da molto tempo. Quindi due ESPERTI con opinioni diverse. E questo lo trovo interessante. Link: "Il professor Montanari e la candidatura della cucina italiana all'Unesco: «Non è solo una questione di ricette» | La Cucina Italiana https://www.lacucinaitaliana.it/article/massimo-montanari-candidatura-cucina-italiana-unesco/

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 mesi fa - Link

Leggo l’articolo di Montanari, che ho più volte avuto occasione di incontrare a Montalcino, e non vedo contraddizione con Grandi. I due articoli parlano di cose diverse. Casomai farei notare a Montanari che la cucina italiana nasce dall’affascinante diversità che lui rammenta, ma continua ad evolversi e ai piatti locali sta aggiungendo cibi che ormai è difficile non definire come nazionali. Non sono più locali la pizza, la pastasciutta al ragù e vari altri piatti, ormai “identitari” come italiani sia qui che nel mondo. La cucina, come il vino, evolve.

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marcow

circa 10 mesi fa - Link

Alberto Grandi poche ore fa, in replica a Fabio Rizzari, scrive: "Lo dimostra la candidatura della cucina italiana a patrimonio dell’UNESCO, nella quale, dopo aver detto che una cucina italiana non esiste, si trova un comune denominatore “nel momento della preparazione e del consumo del pasto come occasione di condivisione e confronto “… Le sembra una cosa seria? Voglio dire, non è che in Olanda si sputino nel piatto a vicenda o che in Finlandia se chiedi una ricetta ti ammazzano… Ecco, io vorrei solo un po’ più di serietà e un po’ meno marketing" (Dal commento di Grandi) ___ Ora se andiamo a leggere l'intervista di Cucina Italiana a Massimo Montanari possiamo vedere che Montanari ribadisce quello che Grandi, in questo interessante dibattito, ha criticato(v brano del commento di Grandi da me riportato qui). Sono due posizioni diverse. PS I dibattiti "veri" sono quelli in cui si "confrontano" ... civilmente... opinioni "diverse". Mi sembra che le "critiche" ... intelligenti e civili ... di Rizzari abbiano stimolato delle ottime risposte che stanno chiarendo meglio il pensiero del prof. Alberto Grandi. Già questo è un buon motivo per "costruire" ---Dibattiti Veri--- cosa sempre più rara nel Web e nei Social. Saluti

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Vinogodi

circa 10 mesi fa - Link

...interessante...

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Nuovo corso Friulano

circa 10 mesi fa - Link

Come Rocky 5....

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Nuovo corso Friulano

circa 10 mesi fa - Link

Perché?

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marcow

circa 10 mesi fa - Link

Sulla carbonara e sul panettone Grandi dice delle cose che già si conoscevano. Basta digitare su un motore di ricerca e si trovano molti articoli che fanno risalire alla 2ª guerra mondiale l'invenzione di questo piatto famoso. Sul panettone si trovano molti articoli che dicono che il panettone come lo conosciamo oggi fu inventato intorno agli anni 20 del secolo scorso da due artigiani di Milano Motta e Alemagna che poi fondarono le due importanti industrie. Su questi 2 prodotti famosi, carbonara e panettone, Grandi ha ... scoperto... l'acqua calda. Nel senso che non ha scoperto nulla ma ha semplicemente riportato quello che già si sapeva. La novità è, forse, l'INTERPRETAZIONE che lui fa di fatti già noti. Sulla PIZZA è stato smentito da un esperto. Trovate gli articoli sul web.

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marcow

circa 10 mesi fa - Link

Condivido alcuni concetti espressi da Rizzari. Sull'effetto "negativo" che le dichiarazioni di Grandi, specialmente nelle interviste che si trovano sul web, hanno avuto sulla percezione della cultura gastronomica italiana.e della sua storia. Condivido anche le critiche di Rizzari allo stile di comunicazione che Grandi ha utilizzato per diffondere le sue opinioni. ________ Detto questo, e vi sembrerà strano, penso che Grandi, con i limiti che ho cercato in più commenti di evidenziare, dice delle cose importanti che, diciamoci la verità, nessuno ha mai osato espeimere(parlo degli ESPERTI, dei Critici, dei Comunicatori italiani più importanti e famosi) Ha sgonfiato la RETORICA sul cibo e la gastronomia italiana che ha raggiunto livelli siderali. Riassumendo questo è il grande merito di Grandi. Ed è un grande merito.

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IWDP

circa 10 mesi fa - Link

"Sulla pizza è già stato smentito da un esperto". E niente, ci fermiamo qui per carità di patria.

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marcow

circa 10 mesi fa - Link

IWDP non è molto chiaro il senso del tuo commento. Ma tento lo stesso di rispondere interpretando le tue parole come il voler mettere in evidenza una CONTRADDIZIONE tra l'elogio del prof Grandi e le critiche che gli ho espresso su alcuni punti: Veronelli, Pasolini, Carbonara, Panettone e Pizza Napoletana. ____ LA PIZZA NAPOLETANA Proprio sulla Pizza che tu riprendi nel commento chiarisco meglio. Grandi dice che prima dell'aggiunta del pomodoro la pizza "faceva schifo" e che questa innovazione è dovuta agli emigranti italiani negli USA. L'ESPERTO Angelo Forgione replica con questo articolo in cui si può leggere che tra Grandi e Forgione c'è stato un cordiale confronto che vi invito a leggere. Link: il Blog di ANGELO FORGIONE https://angeloforgione.com/2022/04/04/alberto-grandi-sulla-pizza-ho-detto-delle-sciocchezze/ ____ PS Gli argomenti, i temi che il prof. Grandi ha espresso nel suo libro e in diverse interviste sono MOLTEPLICI ed è probabile che ci possano essere opinioni diverse sulle singole questioni, sulle singole dichiarazioni, sulle singole opinioni ecc ... Tra i Denigratori e gli Estimatori del prof Grandi ci sono anche quelli che vedono aspetti positivi e aspetti negativi del suo complesso e articolato discorso. E ribadisco che, per me, gli aspetti positivi sono decisamente superiori: anche se il mio ragionamento potrebbe sembrare .. contraddittorio. Saluti, IWDP

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Vinologismo

circa 10 mesi fa - Link

Appena su parla di vino e cibo sono tutti miti, geni, inventori....mah....

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Vinogodi

circa 10 mesi fa - Link

...vinologismo...quando si parla di vino,c'hai ragione, qui non ne capisce un beep nessuno, io soprattutto, quindi dovremmo parlare d'altro...di contro, sul cibo posso dire la mia, non foss'altro che mangio tutti i giorni da parecchie decine d'anni...

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VINOLOGISMO

circa 9 mesi fa - Link

Vinogodi...tipica ironia del genio ...ah no scusa del mito....forse un po' permaloso....rilassati dai stiamo parlando solo di vino e parmigiano non del rilevatore Unruh deWitt....

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Alvaro pavan

circa 10 mesi fa - Link

Vorrei fare notare che affermare il peggiore vino contadino è migliore del miglior vino industriale non significa che sia anche più buono. Aveva e ha, per quanto mi riguarda , ragione Veronelli. Sdogano' i Supertuscan ma si era anche avveduto del vuoto , o distorsione di natura che celavano.

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Mattia Grazioli

circa 10 mesi fa - Link

Trovo questo articolo di una modernità abbagliante. In troppi si vantano di lavorare come il nonno, nonno che spesso poteva avere sensibilità produttiva ma zero basi tecniche. Oggi abbiamo strumenti e abbiamo il dovere di utilizzarli per fornire al consumatore il prodotto migliore possibili. L’articolo, in sintesi estrema, da fastidio perché è scomodo e parla di verità.

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valentino

circa 10 mesi fa - Link

E infine il grandi è arrivato anche qua. Ricordo che anni fa Bressanini e Moio vennero aspramente criticati su intravino e affini, nonostante fornissero a supporto decine di referenze scientifiche per le loro argomentazioni. Ora questo professore che ha un libro da vendere, che ha già individuato il suo pubblico negli italo americani che sono convinti che la cucina italoamericana sia non solo migliore ma anche più autentica (basta vedere il successo che ha su reddit), invece senza prove, con affermazioni ridicole,cito "la pizza a Napoli faceva schifo", viene accolto a braccia aperte, manco mezza domanda scomoda. Come si cambia nel tempo...

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Jacopo Manni

circa 10 mesi fa - Link

ciao Valentino, suggerisci qualche domanda scomoda da fare che integro volentieri

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valentino

circa 10 mesi fa - Link

Bhe, il suggerimento era nel mio primo commento. Visto che Grandi afferma delle cose senza fonti, già chiedere da dove vengono le informazioni che sbobina sarebbe un bell'esercizio critico. Infatti quando poi si approfondisce Grandi deve fare dietrofront. https://angeloforgione.com/2022/04/04/alberto-grandi-sulla-pizza-ho-detto-delle-sciocchezze/ Siete voi i giornalisti. Prendete un argomento che tratta e cercate di capire quanto di quello che dove è vero, quanto mezza verità, quanto menzogna. Parmigiano, vino, pasta. Capisco anche che si applica la famosa legge di Brandolini e che è difficile da fare.

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Andrea

circa 10 mesi fa - Link

Ceterum censeo. Veronelli. Soldati. Intravino è una mente collettiva che permette anche al pensiero diverso di influenzare quello dominante, fondersi, rivoluzionare, reazionare.

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franco

circa 10 mesi fa - Link

Ho letto l'intervista interessante... quel che mi sembra: giusto il discorso che al marketing deve seguire anche sostanza... invece sulle sparata alla "il vero parmigiano di fa in wisconsin" trovo che siano appunto sparate per acquisire notorietà. Adesso leggo i commenti degli altri

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Ale

circa 10 mesi fa - Link

Fate scrivere Grandi su Intravino, vi prego. Qualche articolo, ma ben documentato, e poi ci sarà da divertirsi (o da soffrirne)

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Giuseppe

circa 10 mesi fa - Link

Ecco un altro di quegli articoli per cui vale la pena leggere Intravino, bravi! E bravi anche i commentatori quasi sempre arguti e ben posti. Lessi Denominazione di Origine Inventata anni fa trovandoci conferme a molti miei dubbi e perplessita', in sostanza il volere a tutti i costi ammantare di lunga tradizione e precisa composizione/procedura ogni prodotto e piatto che cuciniamo in Italia dimenticandoci che da 50-60 indietro il 99% della popolazione viveva moooolto modestamente faticando a mettere insieme pranzo con cena figuriamoci se si faceva gli schizzinosi sugli ingredienti. D'altra parte basta interrogare genitori e nonni per conoscere veramente cosa e come mangiavano e bevevano una volta... E se leggete per intero articolo di Molinari e altri suoi interventi vedete che sono piu` i punti di contatto che di divergenza. Cio` detto va bene non fare (troppi) autogol ma peggio fingere di non sapere per paura che "certe verita`" vengano stravolte o manipolate a nostro svantaggio. Se siamo sicuri del valore della nostra ottima cucina (+vino) come giustamente dobbiamo esserlo non dobbiamo temere l'analisi e la smitizzazione di alcuni suoi aspetti, ci sara' un motivo se sempre piu` stranieri vengono per tursimo eno-gastronomico e se i ristoranti italiani all'estero sono i primi per numero e gradimento rispetto gli altri europei? Buona giornata a tutti

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Veritas

circa 9 mesi fa - Link

Chiunque abbia girato il mondo sa bene che non esiste una nazione con una ricchezza gastronomica paragonabile a quella del nostro Paese. Basta questo per screditare l’atteggiamento di questo ‘Professore’ che è andato alla ricerca di storielle per farsi pubblicità. Vada pure a vivere negli USA e si renderà conto, con i nostri detrattori anglosassoni di turno sempre pronti alla critica, come mangia bene la gente normale di quel Paese. Non avevamo proprio bisogno di questo personaggio e credo che meno se ne parla meglio è

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Alessandro Morichetti

circa 9 mesi fa - Link

Cosa che sa benissimo anche il professor Grandi, senza virgolette. E questo è proprio il commento del cavolo di cui non avevamo bisogno: approfondire la storia rende tutti più consapevoli e chi ci vede storielle per farsi pubblicità è fuori strada.

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Veritas

circa 9 mesi fa - Link

Grandi non è professore ordinario ma di seconda fascia, che su Wikipedia viene definito accademico ‘marxista’ il quale ha dichiarato: ‘Italian cuisine is assuming an identity dimension beyond all reason…’. Mi basta questo. Non penso di aver fatto un commento ‘del cavolo’ ma di aver fatto una considerazione in merito a inutili polemiche fatte solo per acquisire notorietà. Ognuno poi la pensi come vuole

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Paolo

circa 9 mesi fa - Link

La libertà di pensiero è sacra, vivaddio. Ma anche lei che basa il suo giudizio su un aggettivo trovato su wikipedia. La ricerca accademica non va bene se non piace agli influencer del webbe, ma le qualifiche politiche di wikipedia si, quelle fanno cassazione. verrebbe da ridere, se non fosse pietoso!

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marcow

circa 9 mesi fa - Link

Condivido la replica di Paolo. _____ Veritas ha espresso nel primo commento un'opinione sulla Cucina Italiana molto diffusa e direi prevalente nella società italiana. __ Ma, poi, ha indebolito la sua tesi cercando di "screditare" il prof Grandi con una serie di fallacie argomentative e lasciandosi guidare da STEREOTIPI e PREGIUDIZI che offuscano una 1-Comprensione e una 2-Valutazione delle dichiarazioni di Grandi il più obiettiva possibile.

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Veritas

circa 9 mesi fa - Link

Io mi sono limitato a citare dei fatti. Consiglio di leggere le interviste che ha rilasciato. Tra le tante su Repubblica: domanda giornalista: C'è chi sostiene che il riconoscimento Unesco sarà una tutela contro l'italian sounding. Risposta di Grandi: "La verità è che l'italian sounding è una certificazione di qualità". Giornalista: Ma è un reato... risposta: ‘Vero, ma è uno dei rischi che corre chi ha successo… Se non ci fosse il Parmesan e quella fetta di mercato Usa fosse coperta dalle vendite del Parmigiano, che accadrebbe? Che moriremmo tutti! Perché non c’è più spazio per le vacche qui da noi. I reati vanno perseguiti, ma questo non giustifica chi racconta storie false". Non dico altro

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Sisto

circa 9 mesi fa - Link

Articolo e dibattito notevoli. Biasimo solo la stecca iniziale, tipica del mondo degli iniziati a-tecnici del vino , sul fatto che Grandi, siccome ne sa poco, dovrebbe studiare prima di parlarne (attacco all'uomo, classico). Comunque, siccome si parla di eno-gastronomia e territori, mi si lasci confermare (in sede non scientifica) un mio noto cavallo di battaglia: il mito delle caratteristiche distintive del vino in forza della sua provenienza (l'areale, non uso l'altro bolso se non insulso termine in voga). Qui il marketing impera e di pubblicazioni (ovviamente con relativa revisione ed IF accettabile) che dimostrino codesti fantomatici legami (in primis quelli dovuti al suolo), confermati poi con sessioni di vera analisi sensoriale, ce ne sono tra le poche e le nulle. Ovviamente, se invece ve ne fossero, attendo le citazioni. Nel 2022 ho fatto un piccolo esperimentino di cui ho parlato qui (senza nessuna pretesa scientifica, chiaramente). 8 giudici super esperti, 10 merlot e 10 chardonnay, N zone (le più disparate). Rigoroso triplo cieco. Risultati? Vitigno, metodo produttivo di cantina, annata, scelte agronomiche, contenitori di maturazione ed evoluzione impattano grandemente sul profilo del prodotto, soverchiando il presunto e fantomatico apporto della zona che non viene identificata neppure con la flebo. Al resto ci pensa la sig. na del marketing, gli influencer e i sommelier. Fatelo anche con pezzi di Parmesan e Parmigiano.

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