Una notizia enorme | Chiude Anchor Brewing, il primo birrificio artigianale d’America

Una notizia enorme | Chiude Anchor Brewing, il primo birrificio artigianale d’America

di Redazione

Eugenio Signoroni è uno dei massimi esperti di birra in Italia, collaboratore di diverse testate nonché co-curatore della guida Birre d’Italia e co-curatore della guida Osteria d’Italia, pubblicazioni entrambe edite da Slow Food. 

Anchor Brewing, il più vecchio tra i birrifici craft della storia americana e di fatto il capostipite della rivoluzione artigianale che negli ultimi sessant’anni ha cambiato la birra in tutto il mondo, ieri ha annunciato che smetterà di produrre e andrà in liquidazione.
Si tratta di una notizia molto grossa per il settore birrario, ma certamente non sorprendente.
Il birrificio di San Francisco era stato acquistato dal gruppo giapponese Sapporo nel 2017 per 85 milioni di dollari, una cifra tutto sommato bassa per un birrificio così importante, e ancora più modesta se confrontata con il miliardo di dollari speso nel 2015 da Constellation Brands per la disastrosa acquisizione del birrificio di San Diego, Ballast Point, o da Heineken per accaparrarsi Lagunitas, sempre nel 2017.
Quella cifra, secondo alcuni osservatori, era il sintomo di una crisi che Anchor stava già affrontando e che è peggiorata negli ultimi anni. Dal 2015 a oggi, i volumi di vendita al dettaglio hanno segnato un calo costante annuo del 15%, contrazione che si è registrata anche sul fronte produttivo (nel 2018 la produzione era di 89.000 barili, quasi 107.000 hl, mentre nel 2022 la Brewers Association stima che fosse sceso a 65.000, ovvero poco più di 77.500 hl) e che ha fatto sì che il mercato di Anchor fosse via via circoscritto alla sola California, prima nei fatti (nel 2022 il 93% delle vendite si è concentrato nel solo stato americano con l’esclusione della notissima Christmas Ale che continuava a vendere su scala nazionale e internazionale), e poi con una precisa scelta aziendale, annunciata lo scorso 9 giugno in una mail del Presidente di Sapporo Usa, Mike Minami, che comunicava che da quel momento le birre di Anchor si sarebbero trovate solo nei negozi californiani e che la birra di Natale avrebbe smesso di esistere.

Come scrive Dave Infante nella sua newsletter Fingers, la fine di Anchor Brewing è particolarmente significativa e non può essere liquidata come una delle tante chiusure che stanno avvenendo nel dopo pandemia.

I birrifici craft chiudono in continuazione, specialmente in questi tempi di crescita stagnante del settore e di invasione della quota di mercato da parte dei superalcolici. Ma Anchor non è semplicemente un birrificio craft qualsiasi. Secondo la maggior parte delle testimonianze, è il primo birrificio artigianale d’America, accreditato per essere quello che per primo ha diffuso l’intero concetto di produzione di birra locale, indipendente e artigianale a partire dal 1965, quando il magnate industriale Fritz Maytag salvò l’azienda dal fallimento. Maytag trasformò la Steam beer, fiore all’occhiello di Anchor, da “a volte bevibile” a “sempre deliziosa”, e agì come un generoso padrino per due generazioni di virtuosi birrai che sarebbero diventati nomi famosi nell’industria.

E poi ancora:

Anchor e i suoi lavoratori meritavano di meglio di questo. Non sono solito idolatrare le aziende, ma Anchor è riuscito a sopravvivere al Proibizionismo, a due guerre mondiali, a un secolo di cambiamenti dei gusti del pubblico americano nel bere, e a innumerevoli piccole calamità lungo il suo cammino, solo per essere gettata nella spazzatura da un conglomerato straniero dopo una mezza dozzina di anni di calpestio corporativo. Brutale.

Per capire perché la chiusura Anchor Brewery sia così significativa e capire davvero le già eloquenti parole di Infante forse vale la pena ricordarne brevemente la storia.
Anchor è stato fondato a San Francisco nel 1896. Nel 1965 però rischia di chiudere,  schiacciato da un mercato ormai dominato da lager industriali standardizzate prodotte da un numero limitatissimo di aziende. Una notizia tremenda per la città che arriva presto anche alle orecchie di Fritz Maytag, giovane rampollo di una famiglia di imprenditori californiani che vive a San Francisco e che è solito bere la steam beer del birrificio in un noto locale cittadino. Fritz decide che non può restare indifferente e rischiare di perdere una delle sue birre preferite.

Così, un pomeriggio va a visitare la storica fabbrica del quartiere di Portrero Hill e ne esce qualche ora dopo con il 51% delle quote societarie. Da quel momento, la storia di Anchor e della birra mondiale cambierà per sempre. Maytag scommette, infatti, sugli stili tradizionali e ai tempi demodé che ostinatamente venivano prodotti, migliorandone però la qualità e rendendoli – diremmo oggi – di nuovo hype. L’esempio di Maytag verrà successivamente seguito da tanti altri giovani – tra i quali Ken Grossman di Sierra Nevada per il quale, come mi ha raccontato per la puntata dedicata alla birra artigianale del podcast Lievito Madre, quell’esempio sarà decisivo – che ricominceranno a produrre su piccola scala pale ale, Ipa, porter, barley wine conquistando palati totalmente disabituati all’idea che la birra potesse avere complessità aromatica e diversità espressiva. Nel 2010 Maytag decide di vendere alla compagnia di consulenze e investimenti Griffin la quale, a sua volta, sette anni più tardi venderà a Sapporo.

La notizia della chiusura di Anchor, però, non è solo triste, ma anche preoccupante per altri nomi storici della scena craft americana, Stone Brewing su tutti, anch’esso acquisito da Sapporo lo scorso settembre per 165 milioni di dollari.

La situazione complessiva del mercato della birra, come descritto in modo estremamente approfondito nel lungo articolo uscito la scorsa settimana su Slate, è molto complicata. Le vendite sul mercato statunitense, da tempo stagnanti, hanno subito nel settore dei birrifici regionali (la Brewers Association definisce così quelli che producono tra i 15.000 e i 6 milioni di barili) un piccolo, ma significativo calo (2%) a fronte della crescita degli hard seltzer e delle bevande alcoliche di gradazione paragonabile alla birra ma a base superalcolici. A reggere sembrano essere oggi solo i birrifici molto grandi, capaci di diversificare molto la propria produzione introducendo birre analcoliche (in grande ascesa), hard seltzer e acque aromatizzate, e quelli molto piccoli che vendono quasi esclusivamente in forma diretta presso il birrificio, hanno pochissimi dipendenti e non si sono esposti economicamente negli ultimi anni con investimenti per aumentare i volumi o per la costruzione di nuove linee di inlattinamento o imbottigliamento.

La vicenda di Anchor Brewing è interessante per diversi aspetti. Certifica innanzitutto, a qualche anno di distanza, che le acquisizioni avvenute in modo massiccio tra il 2015 e il 2018, nella maggior parte dei casi, non hanno funzionato o sono state veri e propri fallimenti (si veda anche cosa è successo da noi con Birra del Borgo, Hibu o Na Birretta…).
Fa emergere come il movimento craft, che ha certamente avuto enormi meriti, non sia riuscito però a trasmettere i propri valori alle nuove generazioni con la stessa forza con cui aveva fatto con quelle precedenti, mettendo, di fatto, a rischio la propria esistenza futura.

Evidenzia, infine, come la crescita velocissima di alcuni degli attori principali, avvenuta nel corso degli anni Dieci – con azioni che sembravano voler replicare dinamiche e scelte tipiche dei grandi gruppi industriali, senza però riuscirci, dopo aver portato alle acquisizioni sopra citate (unica soluzioni per potersi assicurare una sopravvivenza) – presenti oggi un conto molto più salato, fatto di chiusure e di contrazione del mercato. Con un birrificio come Anchor, che dopo 58 anni dopo esserci andato vicino, stavolta, chiude davvero, schiacciato non più dall’omologazione ma forse da un’eccessiva diversificazione e crescita mal gestita.

Eugenio Signoroni

[Foto cover: Brewbound]

1 Commento

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Ale

circa 10 mesi fa - Link

E" la morte di un simbolo. Da birraiolo fan dell'artigianale mi sento come Manzoni quando scriveva il 5 Maggio. Ma non sono Manzoni, non so scrivere poesie: posso solo bere birra e annegarvi il magone.

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