Il Vino e la Ristorazione #4: Arcangelo Dandini, Kotaro Noda, Alberto Faccani e Roberto Conti

Il Vino e la Ristorazione #4: Arcangelo Dandini, Kotaro Noda, Alberto Faccani e Roberto Conti

di Jacopo Manni

Eccoci al quarto appuntamento con la nostra ricerca sullo stato dell’arte che esiste e sussiste oggi tra il mondo del cibo e quello del vino. In queste scorribande nelle cucine più nobili e intellettuali del paese stiamo cercando di scoprire come e quanto la creatività culinaria sia influenzata dal vino.

Questi due mondi, cibo e vino, corrono paralleli e troppo spesso ce li immaginiamo come cristallizzati nella semplice sublimazione dell’esperienza gastronomica. In realtà il mondo della ristorazione è avanguardia e ricerca e ci sembrava doveroso quindi chiedere a chi questa arte la sta proponendo, studiando e portando avanti una domanda che sembra banale ma non lo è, perché per capire il mondo del vino oggi è necessario anche capire il mondo della ristorazione e viceversa, ma soprattutto bisogna comprendere quali sono le dinamiche che attraversano gli incontri di questi due mondi così simili ma così diversi.

Le domande come al solito sono state le stesse per tutti gli chef e sono:
1. Come interagisci con il vino, quali rapporti hai?
2. Lo consideri una chiave di lettura e un mezzo per ottenere equilibri oppure è una necessità e forse uno scomodo corpo estraneo, invasivo e disequilibrante nella ricerca del gusto e della perfezione palatale?
3. Una grande cucina ha bisogno di grandi vini?
4. Vogliamo attualizzare la polemica lanciata da Gualtiero Marchesi anni fa e vogliamo capire lo stato dell’arte oggi nel mondo dell’alta ristorazione: Cibo/Vino è necessità o contingenza?

ARCANGELO DANDINI
Nel suo ristorante Arcangelo a Roma si è affermato negli anni come il miglior filologo della enorme, popolare e papalina tradizione della cucina romana e romanesca. Un vero studioso del gusto e della ricerca culinaria, attento ma non ortodosso, che sublima e porta avanti la grande tradizione degli osti romani.

Io da anni interagisco con il vino  in modo curioso, inteso come ricerca e studio. Ho sempre fatto così, dall’inizio della mia carriera.
Non conoscendo i vini, all’epoca iniziai a frequentare corsi professionali dove poter crescere e approfondire la materia, anche dal punto di vista dell’abbinamento con il cibo.
Poi col tempo mi sono evoluto e ho iniziato a pensare al vino non più come un prodotto da associare a questo o a quella preparazione,  bensì ad un solista che suonasse la propria musica allontanandosi sempre di più dal contesto cibo.

Ho fatto bene o male ? non lo so , ma appena ho iniziato a immaginare questo percorso di “distacco” tra cibo e vino ho cominciato anche a pensare al cibo in modo diverso, più fluido, lontano dalle pure dinamiche dell’abbinamento cibo vino.
Ritengo comunque che una buona cucina non possa fare a meno di buoni vini. Per fare una grande ristorazione ci vuole una grande carta dei vini.
Questo è il mio pensiero.

KOTARO NODA
Lui è l’elogio del Melting Pot, che in inglese significa proprio mescolare nel pentolone, in questo caso culinario/culturale. Un giapponese romanissimo che si è formato con i più grandi a partire da Marchesi fino al Noma a Copenaghen. Ha mixato tutto in una meravigliosa cucina tutta sua premiata nel 2016 con la stella dei campioni nel suo Bistrot 64 a Roma o meglio “in Prati”.

Credo che il cibo ed il vino siano entrambi importanti per la cultura italiana, legati da un vincolo quasi religioso, di quelli sacri ed intoccabili. Per me, per come vivo io questo rapporto, sono una necessità. Del buon cibo chiama del buon vino.
Oggi la situazione è cambiata, c’è un altro senso nell’abbinamento tra cibo e vino. Non c’è mai nessuno obbligo nel dover abbinare il vino al cibo, è e rimane pur sempre un piacere. Deve piacere, ed il gusto rientra nell’ambito del soggettivo, della soggettività individuale. Ma sono anche convinto che l’allenamento, e la conoscenza, lo studio, possano portare a sviluppare un gusto nuovo. Un gusto, come in tutto, più consapevole anche nel rapporto vino/cibo.

ALBERTO FACCANI
Anche lui formato dai grandi, Marchesi e Adrià tra i tanti. Nel 2003 apre il suo sogno chiamato Magnolia in quel di Cesenatico. Nel 2005 prima stella, nel 2018 la seconda. Sempre avanti e sempre meglio, spinto dal sacro fuoco della ricerca e della determinazione. Ex giovane promessa, sta entrando gentilmente ma prepotentemente nel gotha della cucina italiana.

Nel mio ristorante al momento sto proponendo ai nostri ospiti due menù degustazione ( I Classici e Magnolia 2021) ai quali il nostro sommelier abbina altrettanti menù degustazione vini, questo vi può già far capire quanto io reputi importante il vino nella continua ricerca dell’esperienza a tavola; devo inoltre riferire che ai nostri ospiti piace molto questa proposta, in quanto circa 7 clienti su 10 scelgono un menù degustazione con vini abbinati.

Con il vino è possibile ottenere equilibri migliori a livello palatale, se scelto con cura e gusto può esaltare delle caratteristiche precise del piatto e portare l’esperienza ad un livello superiore; oltre al wine pairing abbiamo una carta vini che comprende circa 500 referenze tra le quali i nostri ospiti possono scegliere, credo  che la nostra cucina non abbia strettamente bisogno di grandi vini per realizzarsi ma che ,con un grande vino vicino, l’esperienza possa essere più completa ed indimenticabile.

ROBERTO CONTI RC RESORT
Se lo incontrate chiedetegli la Lepre a la Royale e capirete la sua cucina. Eclettico ma tremendamente ancorato alla materia e alla sostanza. Stella Michelin al ristorante Trussardi alla Scala ha lasciato Milano per un progetto eclettico e innovativo con venti coperti nel nuovo Rc Resort dove anche le stelle presto arriveranno, speriamo.

Secondo me la risposta è molto soggettiva, la domanda è molto bella ma avrà milioni di variabili. È forse corretto dire che è il rapporto cibo-vino è un po’ come il rapporto che esiste tra un uomo e una donna, due cose legate fortemente dalla natura e due cose che viaggiano di pari passo, con litigi e legami enormi.
Mio padre grande frequentatore di ristoranti mi diceva sempre: “Robi ricordati che quando mangi bene e bevi male hai sempre mangiato male” e questa frase me la ricorderò sempre.

Io sono un grandissimo appassionato di vino, sono uno che se può beve pinot nero in Francia e nebbiolo in Italia, ma mi piacciono tantissimo i vini di ricerca, come ad esempio lambrusco, timorasso e molti altri autoctoni italiani. Nella ristorazione ci sono due tipi di vini, quelli utilizzati nel back in cucina e quelli nel servizio. Il vino della cucina non deve essere vino scadente che rovinerebbe i piatti, io ad esempio uso buone bonarde e buoni barbera dell’Oltrepò Pavese, il nostro territorio.

Ovvio che non metto vini da 80€ in un brasato perché altrimenti chiuderei l’azienda dopo due giorni però la scelta nel back va fatta bene perché in alcune preparazioni io voglio che il vino mi dia nel piatto tannini, oppure aromaticità, o acidità o anche fruttuosità. Ogni vino ha il suo perché e io a monte seleziono i vini in base a queste assonanze.

Con il cliente invece io ho un menu di 15 portate chiamato “iperrealismo contemporaneo” e in ognuna delle portate ho un abbinamento che non è per forza vino. Il vino non è importante ma fondamentale però. Perché la percezione che noi diamo in un piatto in termini gustativi e olfattivi assolutamente si deve confrontare con la bevuta, anche in opposizione.

Io faccio una cucina acida e spesso creo piatti che hanno un cerchio dolce-acidulo e adoro abbinarli con vini minerali, salmastri, vini come un bel pigato ligure ad esempio. Oppure io uso pesci di fondale bianco con carni grasse che adoro abbinare ad esempio con un Etna rosso. Secondo me oggi i due mondi cibo-vino viaggiano assieme sia in cucina che in sala. Per noi cuochi ogni volta che creiamo un piatto è fondamentale sapere quello che beve il cliente e per questo la figura del sommelier in un ristorante gourmet è di massimo spessore perché con le sue alte conoscenze sa consigliare il cliente senza farti spendere tanto ma offrendo un prodotto di ricerca che accompagni la piacevolezza della cena.

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Jacopo Manni

Nasce a Roma ma si incastella a Frascati dove cresce a porchetta e vino sfuso. L’educazione adolescenziale scorre via in malo modo, unica nota di merito è aver visto dal vivo gli ultimi concerti romani dei Ramones e dei Nirvana. Viaggiatore seriale e campeggiatore folle, scrive un libro di ricette da campeggio e altri libri di cucina che lo portano all’apice della carriera da Licia Colo’. Laureato in storia medievale nel portafoglio ha il santino di Alessandro Barbero. Diploma Ais e Master Alma-Ais, millantando di conoscere il vino riesce ad entrare ad Intravino dalla porta sul retro.

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