3 giorni a ReWine Canavese 2023 e tante questioni. Son proprio forti questi vignaioli

3 giorni a ReWine Canavese 2023 e tante questioni. Son proprio forti questi vignaioli

di Marco Colabraro

Invitato a REWine Canavese 2023 da Gian Marco Viano, presidente dei Giovani Vignaioli Canavesani, raggiungo, sotto una pioggia incessante, la storica osteria Caino a Salerano Canavese: di fronte a me i giovani vignaioli pronti ad accompagnarmi in una tre giorni senza sosta tra bottiglie, salumi, masterclass, un convegno e poi parole notturne e sigarette spente.

Troppi i discorsi iniziati, troppe domande, poche risposte, non si contano invece le bottiglie assaggiate in un territorio dove negli ultimi anni la superficie vitata è aumentata del 50% raggiungendo i 470 ettari (da segnalare i 22 della Doc Carema che registra un +69%) e nel panorama produttivo si sono affacciate più di 20 nuove aziende.

Di seguito, nel bene e nel male, suggestioni, impressioni e bottiglie.

I vignaioli

È emozionante vedere dei giovani così. I canavesani li riconosci dal marcato accento piemontese, dai fisici più o meno torniti, più o meno abbronzati, tutti vivi e dinamici, vestiti di un’eleganza forse incomoda che trionfa in volti bruciati dal sole. Gentili, romantici, educati, sfrontati, schietti, protervi, sbruffoni, umili e protagonisti di un fermento che raramente incontro.

Io non lo so se è un luogo piccolo dove protagonisti sono i vigneti a far diventare questa passione comune un lavoro. Non so se l’affiatamento derivi da un’infanzia vissuta insieme, da una città dove è irrinunciabile incontrarsi e dove l’evento principe costringe a tirarsi le arance in piena faccia per goliardia, ma ho trovato un gruppo di amici, confronti schietti, mai una parola contro questo o quell’altro e poi estro, coscienza, grande cultura del lavoro e sguardo proiettato al futuro.
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Il ghiacciaio e la morena

Tra le Alpi, il Monte Bianco e il Rosa, il lago di Viverone e la Dora Baltea c’è un protagonista fantasma che, come un eroe della Marvel, ha lasciato forte la sua impronta a forma ellittica nella Morena di Ivrea: il grande ghiacciaio baltico dell’era quaternaria. Il nevaio della Valle D’Aosta infatti, nel suo ampliarsi, ha inglobato il terreno sotto il suo manto e tutte le rocce che incontravano la sua lingua gelida e li ha trascinati con sé come un rullo durante le migliaia di anni in cui si è impadronito del territorio fino al suo ritiro, quando ha rilasciato il corpo privato del ghiaccio. Un campionario enorme di sabbia, fango, ciottoli, rocce tra le più diverse: silicatiche, carbonatiche, tutte sedimentarie, metamorfiche e povere di fossili. Fino a 600 metri sul livello del mare terreni più sciolti e facili da scavare si intervallano a sabbie dure e compatte oltre la grande depressione che crea la piana al centro della morena. Tutto intorno pianure fluvioglaciali esterne, risultato dei corsi d’acqua che originavano dal ghiacciaio e sedimentavano. Eccolo, allora, il mosaico del Canavese pronto a offrire, soprattutto a erbaluce e nebbiolo, una grande originalità di terreni.

La pergola

I suoli del canavese sono poveri, di potassio soprattutto, e le condizioni della vite sono stressanti, ecco allora che la pergola allontana la vegetazione dal suolo e la rende meno attaccabile dalle malattie. Inoltre, intercetta la luce e permette di orientare al meglio la parete fogliare; non solo, protegge dalla grandine e dal vento che, specie nel territorio di Carema, soffia forte.
È vero, richiede più ore di lavoro ettaro rispetto ad altre tecniche, maggior consumo idrico, ma sembra essere il sistema di allevamento che più si addice al terroir canavesano e soprattutto ai suoi due vitigni principali.
Ora, non è che il canavese sia tutto a pergola e nemmeno che esista una pergola soltanto, ma questo è il risultato di una tradizione che continua a dare risultati evidenti (inoltre esteticamente proprio male non è).

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Intercettazioni: di Consorzio, disciplinare e altro ancora

Come nel processo delle plusvalenze Juventus riporto le mie “intercettazioni” da conversazioni intraprese, ascoltate, da domande invadenti e ironie intorno alla tavola:
“E anche basta menzionare l’erbaluce soltanto nella DOCG Caluso, bisogna liberalizzare; tutti i territori vocati dovrebbero avere il diritto, se coltivano erbaluce, di poterlo citare in etichetta. Solo così si può tornare a dare dignità a un vitigno nobile, altrimenti all’estero come lo presenti?”.
“Bisogna inserire nel disciplinare le MGA (Menzioni Geografiche Aggiuntive) perché è vero che i vitigni parlano del territorio e i suoli, anche se vicini, sono diversi. L’avete capito in questi giorni, no?”.
“Dovreste organizzare una degustazione di vini della morena e vini di pianura per far capire le differenze, potrebbe essere un’idea, no?”.
“Perché non prevediamo almeno un anno di affinamento per il Caluso DOCG?”.
“Dovete continuare così, affiatati e compatti, verso una direzione comune, solo così si può cambiare davvero (pure il Consorzio)”
“I ristoranti qui non dovrebbero avere solo Langa, Toscana e Valpolicella, ma i vini del territorio”.
“Le macerazioni lunghe fanno bene al nebbiolo, ma anche alle uve bianche”.
“Ora che il Carema sta avendo il suo giusto riconoscimento è il momento dell’erbaluce”.

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L’erbaluce

Bistrattato, emarginato, imbrigliato, troppe volte trafitto da pratiche di cantina invadenti, l’erbaluce è un autoctono vigoroso e dalla buccia spessa che può dare risultati sorprendenti. L’ho sentito paragonato allo chenin blanc per versatilità, perché si fa spumantizzato, fermo e dolce (venitemi a dire, a me che il vino dolce proprio no, che l’erbaluce di Caluso per equilibrio non è uno dei più grandi vini dolci d’Italia e che un calicino con degli erborinati non fa volare).
Devo dire che nei tre giorni ho potuto apprezzarne più versioni, alcune ancora troppo ingessate e monocordi, magari giovani, altre più che convincenti.

Fratelli Marco – Canavese Doc Albedo Spumante 2020
Acidità e spinta salina in una bolla pimpante. Dopo il frutto, giusto accennato, salgono al naso le sensazioni erbacee del tarassaco, del fieno, con quelle agrumate del cedro. Non in equilibrio perfetto, ma è proprio quello che mi intriga. Bel finale.

Cantine Crosio – Caluso Docg Incanto Spumante Brut Nature 2017
Per aprire un pranzo una non basta. Beva facile, non scontata, e finezza. Al naso, sulle prime austero, la mela è prevaricata dall’idrocarburo, plastichetta su sfondo di frutta secca e miele, salvia e menta, lungo. Ancora meglio l’Incanto Brut Nature 2018 che fa di acidità e raffinatezza i suoi tratti dominanti.

Tappero Merlo – Caluso Docg Cuvèe De Paladins Spumante 2017
Bolla di struttura, che rivela complessità dal primo sguardo visto il colore dorato. C’è la menta che mi conquista, poi la salvia, un ricordo di alga fa da scrigno a cannoncino alla crema e confetti. L’acidità prova a bilanciare, ma la grassezza ha la meglio, per questo non mi convince in pieno.

Kalamass – Caluso Docg 2020
Erbaluce fermo che sposa il vegetale, poi menta, piacevolissimo l’idrocarburo che si mischia a grafite. Prima scostante, alla lunga viene fuori una nota legnosa che non disturba. Mi ricorda certi bianchi di Loira. Di media lunghezza, mi diverte la lingua che torna sulle labbra cercando il sale.

San Martin – Caluso Docg 2018 e Caluso Docg Memento 2020
Gran bella mano! Anche qui note vegetali, finocchio, timo e salvia rincorrono menta, agrumi e idrocarburi. Il mio preferito è però il Memento, erbaluce che, a differenza del fratello figlio dell’acciaio, affina in cemento, riprende le note del precedente con più precisione, forse un poco meno sapidità, ma regala un finale di bocca che è una vera goduria: l’anice si mischia ai fiori di camomilla lasciando una sensazione amarognola davvero unica.

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Fratelli Marco Vignaioli Cantinieri – Àura 2021
Colore non particolarmente intrigante anche se di bella lucentezza, è in bocca che l’Àura regala il meglio. Il naso si direbbe “coerente al varietale”, preciso, forse troppo: mela, fieno e camomilla su un prato d’erbe selvatiche, al palato trova compiutezza perché l’acidità sostiene una beva scorrevole e gustosa.

Eporedia – Erbaluce Docg 2022
Parliamo di una bottiglia non ancora sul mercato ma in assaggio all’evento. La cantina è appena nata, e tra qualche mese farà uscire la prima annata. Qui l’erbaluce è allevato in filari sul terreno complesso della morena frontale. L’assaggio regala finezza e sale, si farà!

Gnavi Carlo – Vigna Crava 2020
Da una sola vigna di sessant’anni un erbaluce che riflette esattamente quello che auspichi: mela ed erbe aromatiche, fresco, sapido e lungo. Che dire di più? Fa scuola.

Cantine della Serra – Erbaluce di Caluso Docg Sessanta 2014
Nove anni di erbaluce, al naso l’ossidazione si fa noce e fico secco su cedro candito e mandorla amara. Il corpo è morbido, sinuoso. L’acidità viene un po’ a mancare, ma c’è un bel sale. Qui tocca abbinarlo bene perché si possa esaltare in pieno, altrimenti corre il rischio di stancare.

Tappero Merlo – Caluso Docg Kin 2016
Il colore, vivo e presente, rivela un sorso pieno, fatto di agrume candito, salvia, menta ed erbe di campo. Non si sbilancia grazie a sapidità e acidità. Regala sul finale il rosmarino tra ritorni di frutto. Bell’assaggio, il più meditativo.

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Il nebbiolo

Per molti, io tra questi, è il vitigno più capace di interpretare il terroir, e il canavese, anche se non sulle bocche di tutti, rappresenta uno degli aerali più vocati.
Un orizzonte unico è quello di Carema dove grandi pilun monolitici, di pietra o cemento, sostengono la pergola e accumulano calore durante il giorno per restituirlo la notte al vitigno che qui, con bucce più dure ed elastiche, dà espressioni eleganti; meno conosciuti, invece, forse meno fini, ma parecchio interessanti e sfaccettati, sono i nebbioli della morena canavese.

DecimoFilare – Clara 2020
Non solo nebbiolo (che comunque è in netta maggioranza), ma una vecchia vigna vendemmiata in toto, quindi uve rosse autoctone delle più diverse. Espressione schietta, nota salina, bella complessità, beva compulsiva. Se ti dicono che non è preciso, tu fai spallucce e bevi, perché qui ogni cosa è illuminata.

Kalamass – Canavese Doc Nebbiolo Broglina 2020
Kalamass è un’espressione di nebbiolo che marca una differenza. Sarà il 30% di raspi, saranno le barrique esauste, sarà la macerazione lunga, vince il vegetale in un sorso speziato, agile e raffinato. Il marchietto del legno è davvero leggero, piaciuto!

Cantina 366 – Canavese Doc Nebbiolo Scelte di Vite 2020
Mi sono fatto conquistare. E dire che il loro erbaluce mi era sembrato fin troppo rigido e preciso; invece, questo rosso, mi ha sorpreso. È complesso su spezie selvatiche, vira sul polveroso, ritorna il vegetale, sale e freschezza in un balletto, più contemporaneo che classico, che non cerca la grazia pura, ma l’armonia. E la trova, eccome!

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Ferrando – Carema Doc Etichetta Bianca 2019
Ho una venerazione particolare per l’etichetta bianca di Ferrando che non si smentisce nemmeno questa volta. Il più agrumato, d’arancia e tannino, di grazia e montagna, in grande forma, già disponibile e godibilissimo, complessità raffinata, finale lunghissimo. Non c’è altro da chiedere.

Sorpasso – Carema Doc 2020
Vivo fin dal colore, al naso si esprime subito con toni vegetali: pepe nero, timo, erbe, poi viene il ribes, la cannella. Continua a mutare, gran bel segno. Attraente il finale sapido con ritorni speziati. Dinamico e slanciato nella beva: “Raffinatezza, Ventola” (Cit. Antonio Cassano).

Monte Maletto – Carema Doc Sole e Roccia 2020
Solo un difetto trovo a Monte Maletto (ma forse sono stato sfortunato io): non tutte le bottiglie sono perfette. Quando apri quella giusta però è una meraviglia: complesso che ci continui a trovare materia, balsamicità che conquista, sale e roccia a profusione. Nel bicchiere continua a cambiare, il finale lungo conquista. Se non costasse quel che costa (e che merita) lo vorrei solo in magnum!

Di certo dietro la DOCG Erbaluce Caluso e la DOC Carema c’è un mondo in ebollizione, fatto delle IGT e di quella che ora è la DOC Caluso e che forse prenderà un altro nome, indicatore di una direzione nuova. Immaginare un futuro ora è improbabile, quello che è certo è che torneranno i ghiacciai, forse i consorzi non esisteranno più, si formeranno nuove morene, ci sarà ancora il vino e, soprattutto, che la gioventù canavesana ha una forza propulsiva potente e farà di certo parlare.

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Marco Colabraro

Nato a Milano, sangue misto polenta e peperoncino. Di ritorno da un viaggio in Eritrea si iscrive all’Accademia d’Arte Drammatica e fa l’attore per un po’, poi fugge nella Parigi dei bistrot, a Roma corregge romanzi in qualche casa editrice e cambia lavoro ogni tre mesi circa. Torna a Milano, beve per amore dell'ebrezza e della conoscenza, il suo piatto preferito è la pastasciutta al pomodoro.

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