Viaggio in Grecia e Turchia | Di moto, dogane, duty-free, cantine (tante) e Dioniso dappertutto

Viaggio in Grecia e Turchia | Di moto, dogane, duty-free, cantine (tante) e Dioniso dappertutto

di Leone Zot

Il viaggio inizia, mi lascio alle spalle la routine, salgo in moto e parto per la Grecia.
Imbarco ad Ancona su un cargo pieno di camionisti russi panzuti e barbuti. Dalla nave vedo una enorme scritta Leone su un cubo di marmo in uscita dal porto che mi guarda. Comprendo che i fatti che sto per raccontare siano già avvenuti, mi tocca solo ripercorrerli a ritroso…

Porto di Igoumenitsa (Fonte: Wikipedia)

Porto di Igoumenitsa (Fonte: Wikipedia)

Ad Igoumenitsa salto con la moto fuori dal vascello, mi tuffo in mare e, ricoperto di cristalli di sale, giungo a Meteora dove mi addormento negli antichi monasteri ortodossi sospesi in cielo al suono degli inni sacri. Da quassù mi precipito nella prima cantina, Kontozisis winery in piena Tessaglia, terra di Centauri e Lapiti. Lungo la strada non scorgo neanche un vigneto, solo campagna incolta e qualche villaggio. In cantina mi aspetta Aphrodite.

Ma ti chiami così davvero?
Sì!

Aphrodite ha un temperamento deciso, emette parole ad un ritmo fittissimo, mi racconta che ci troviamo in una antica zona vinicola la cui tradizione è andata perduta. Lei ed Andreas hanno ricominciato nel 1991 ma non trovano persone specializzate con cui lavorare poiché non c’è più nessuno che conosce l’arte della vinificazione, ancor meno con procedimenti naturali. Relitti vegetali di un’antica tradizione, tutto intorno si trovano viti selvatiche come la limniona a bacca rossa. Aphrodite e Andreas l’hanno raccolta, riprodotta in vivaio ed infine piantata in vigna. Non è un’uva facile e non avendo una tradizione di riferimento la stanno sperimentando in diverse vinificazioni, tra cui un rifermentato ancestrale e un’anfora.

In cantina ci sono anfore, uova di cemento italiane e vasche di acciaio con cui producono due serie di vini, gli A-Grafo più radicali e i Sun più accessibili. Mi versa una Malagousia, bianco che mi rinfresca l’anima, poi un Assyrtico, bianco realizzato in due vendemmie, fermentato e invecchiato nell’uovo di cemento. Mi colpisce la grande sapidità e Aphrodite mi spiega che è una nota caratteristica del vitigno. Poi un roditis macerato 9 mesi. In vigna hanno anche un xinomavro che nell’etimo porta le caratteristiche dei vini da esso ottenuti, nero e acido. La tempesta di parole di Aphrodite si stempera tra i sorsi ed il fresco della cantina e sul finire della giornata mi riaccompagna alla moto in una natura trasfigurata dalla sua presenza.

Riparto per il santuario di Delfi dove arrivo alla luce dorata del tramonto con il vento che agita le foglie degli ulivi disegnando scaglie d’argento ad ogni folata. L’atmosfera è magica, sospesa, silenziosa. La vallata si apre fino al mare. Non c’è nessuno. Inizio il percorso di purificazione nella fonte Castalia e ascendo per la via sacra fino al tempio di Apollo, dove la Pizia invasata dal Dio mi oracola “Segui la via dello spirito…”. Eseguo scolando la malagousia di Kontozisis e mi abbaglio estatico nel tramonto.

Santuario di Delfi (Fonte: National Geographic)

Santuario di Delfi (Fonte: National Geographic)

Indicata la via dall’oracolo pitico ondeggio sulla costa meridionale della Grecia centrale. La strada è bellissima, curve perfette, mare che scintilla e via a tutto gas verso il ponte di Patrasso che mi apre la via al Pelopponeso, dove in mezzo ad un paesaggio montuoso approdo alla cantina Tetramythos. Il nome evoca antiche narrazioni mitiche, invece mi spiega Panagiotis Papagiannopoulos, il vignaiolo, che è il nome di una pera selvatica che cresce in questa zona.

Panagiotis è un individuo lento e solido, parla il necessario e lascia ampi spazi di meditazione tra una parola e l’altra. Racconta che il Greek Wine Institute negli anni Ottanta avviò una sperimentazione piantando diverse varietà internazionali a scopo di studio. Alcune di queste sopravvivono nei suoi vigneti – tra cui sauvignon blanc, chardonnay, merlot e cabernet sauvignon – ma solo poche piante: per la maggior parte coltiva vitigni locali.

Foto da http://tetramythoswines.com

Foto da http://tetramythoswines.com

La sua cantina è nel mezzo della più grande PDO (Protected Designation of Origin, equivalente delle nostre DOC) greca, la Patras, la cui uva principale è il roditis, uva a bacca bianca geneticamente simile alla inzolia siciliana e all’ansonica toscana. Me ne versa un bicchiere dalla botte, fresco, agile di bella beva, poi un altro da un uovo di cemento sloveno con più struttura e profondità, e poi ancora un roditis orange fermentato in anfora con tre settimane di macerazione ed invecchiamento in barrique. La barrique è gestita in perpetuum, ricolmata ad ogni imbottigliamento con vino nuovo. Mi racconta che sono stati i primi ad usare l’anfora muovendo lo scherno generale. Oggi tutti lo imitano ed una evidente vena di soddisfazione gli illumina il volto. Mi versa ancora un sideritis bianco da una vigna del 1957 a piede franco. In vigna hanno anche il malagousia, il muscat e l’agrippiotis (quest’ultimo lo coltivano solo loro).

Il giro di assaggi si conclude con un Retsina da uva roditis. È un vino di tradizione antica ottenuto mediante l’aggiunta di resina di Pinus Halapensis al mosto in fermentazione. Ne risulta un vino aromatico e complesso, con forti note balsamiche di resina. Una bevanda arcaica che è stata maltrattata dall’industria che ne ha fatto un prodotto per turisti, economicamente accessibile, vinificato con uve scadenti e procedimenti seriali. Alcuni vignaioli hanno cominciato a produrlo in modo tradizionale restituendogli l’antica gloria. E’ una storia simile al lambrusco italiano mi dice Panagiotis, concludendo che sono fortunato ad assaggiare il suo come primo Retsina della mia vita. Mi godo ancora un po’ il bicchiere e le chiacchiere, ho l’impressione di trovarmi di fronte a un vignaiolo di grande esperienza e rimarrei ancora molto ad ascoltarlo ma capisco che intorno a lui si muove il lavoro di cantina al quale viene continuamente richiamato dai suoi collaboratori. Nel congedarmi mi versa un rosso finale, un mavrokalavrita il cui etimo significa nero di kalavrita, un villaggio nelle vicinanze. Non è l’unico vitigno a bacca rossa, ci sono anche il mavrodaphne la cui etimologia richiama l’alloro nero e l’agiorgitiko. Saluto Panagiotis e mi rimetto in marcia ripieno di spirito, in osservanza dell’oracolo pitico, verso l’antica Micene.

Qui, attraversando la monumentale Porta dei Leoni, vengo ricevuto da re Perseo che, tutto gasato dalle sue eroiche imprese, mi racconta di quella volta che tagliò la capoccia alla Gorgone Medusa rendendosi invisibile con l’elmo di Ade e fuggendo in volo con i sandali alati. Questi elleni antichi sono dei veri tamarri e non si sa mai quanto credito dare alle loro storie. Decido di andare a riposare in un campeggio dietro l’angolo, dove un greco moderno mi istruisce sulla Avrio Syndrome greca, cioè rimandare a domani quello che potresti fare oggi.

Mi rendo conto solo adesso che non c’è nessuno in giro, le strade che ho percorso fin qui erano vuote e nei paesi trovo solo cani randagi e qualche anziano. A fare da contraltare ai fastosi racconti di re Perseo mi trovo in una strada piena di ristoranti vuoti, in località che sembrano abbandonate da una frettolosa fuga e file intere di negozi che hanno chiuso i battenti, segno di una crisi economica che ha lasciato visibili tracce nel tessuto economico ed umano. Ma dove sono finiti tutti? Mi addormento sotto un cielo stellato avvolto dal silenzio della notte.

Il giorno dopo parto verso Kalogris Winery nel Peloponneso centrale, imposto il navigatore escludendo le autostrade nelle opzioni di percorso. Viaggio in una sonnolenta strada di campagna che attraversa piccoli villaggi e che gradualmente inizia a salire verso l’alto in un panorama mozzafiato di rocce calcaree bianche che scintillano alla luce del sole. La luce greca è unica, metafisica, radiante che trapassa la materia. Continuo a salire, la strada si inerpica e ad un certo punto l’asfalto si interrompe! Mi ritrovo su uno sterrato di montagna del tutto inadatto alla moto…
E adesso? Torno indietro o me la gioco?
Me la gioco! Magari dura poco.

Seguono otto chilometri di paranoia a 2 km/h in mezzo a pastori e greggi che mi guardano come fossi un alieno. Infine l’asfalto riappare (grazie navigatore per i tuoi scherzi). Scendo dalla montagna e giungo infine nel giardino di Kalogris, dove mi siedo con una coppia di Bordeaux. Socializziamo subito con chiacchiere di viaggi e di vino mentre le due sorelle vignaiole ci preparano qualche spuntino e attrezzano la degustazione facendo scintille tra di loro ad ogni contatto ravvicinato. La loro simpatia si diffonde con i racconti e i bicchieri.

Sono a conduzione familiare e vivono in una casa rustica piena di storia. Mi mostrano il luogo in cui il nonno si nascondeva dai nazisti e i cimeli di una vita contadina antica che attraversa le generazioni. Hanno una vigna di pochi ettari su cui ha iniziato a lavorare il padre nel 1980. Non trovano enologi esperti in tecniche di vinificazione naturale e stanno imparando tutto con l’esperienza in vigna e in cantina. I loro vini sono stati espulsi dalla PDO Mantinia perchè escono dallo standard imposto dal disciplinare. Testardi continuano nella loro ricerca con fermentazioni spontanee, nessuna chiarifica e bassissimi solfiti. Il loro vitigno principale è il moschofilero a bacca bianca che assaggio in diverse versioni, tra cui una macerazione di otto giorni ed una macerazione con passaggio in botte usata. È un vitigno dall’acidità molto elevata e dalle forti sensazioni agrumate. Assaggio anche una vinificazione semi-dolce a vendemmia tardiva. Come tutte le cantine che ho visitato, esportano la maggior parte della loro produzione. Raccontano che in Grecia il linguaggio dei vini naturali è sconosciuto e che i greci non bevono vino. La censura imposta dalla dominazione ottomana ha disperso la tradizione e con essa una produzione enologica antica che non ha più riacquistato la sua identità. Rimango quasi incredulo dinanzi a queste affermazioni, in Italia tutti pensano alla Grecia come luogo di origine del vino e ai greci come grandi bevitori di vino. Gli abbracci finali avvengono con un un bicchiere di tsipouro che mi incendia l’anima.

Riparto a bomba aggirando la montagna verso il Santuario di Nemea attorno al quale si sviluppano le vigne della PDO Nemea. Mi infilo a casaccio in qualche cantina a ridosso dell’unica strada e assaggio quel che capita fino ad arrivare alla cantina Bairaktaris, una grande realtà che organizza tour guidati. 37 ettari in cui coltivano agiorgitiko, assyrtiko, moschofilero, malagousia, muscat di alexandria e roditis a bacca rosa. Stanno iniziando a sperimentare anche con le anfore ma i vini non sono ancora in produzione. Il Nemea, vino principale della PDO, è prodotto con uve agiorgitiko. Rimango sorpreso dalla concentrazione e dall’impetuosità di questo vitigno che azzera le mie papille gustative con uno strato pastoso di materia.

Infine giungo ad Atene, travolto da una vitalità dionisiaca con le baccanti che mi strappano le carni trascinandomi nei bassifondi di una umanità infuocata dalla bestia. Ecco dove erano finiti tutti… Ad Atene a cercare fortuna.

Inizio a pianificare il mio passaggio in Turchia via mare. Prima di lasciare la Grecia, faccio un’ultima visita alla cantina Georgas Family a Spata poco fuori Atene, regione storica del Retsina e del vitigno savatiano. Dimitris arriva con un sorriso gigante carico di torte salate, feta, olive e assaggi che dispone su un tagliere. La cantina gli è arrivata da quattro generazioni familiari e nel 1998 l’ha convertita alle leggi cosmiche attraverso gli insegnamenti di Enzo Nastati. Il suo approccio è omeo-biodinamico, conosce ogni singola pianta delle 13 parcelle, ne indaga lo stato di salute mutando il suo cuore in vegetale. Interviene trasferendo informazioni alla vigna che organizzano la materia in azioni curative. Per questo non può andare oltre i 5 ettari, una vigna più grande non permetterebbe questa intimità vegetale. In lui colgo un senso di compimento, come se la vita che incarna fosse arrivata al suo apice, pronto a lasciare il suo lavoro ai figli.

Tutto questo mentre sorseggio un savatiano con 7 giorni di macerazione, un rosè da mandilari e savatiano vinificati assieme, un pet-nat di merlot e savatiano prodotto con lo scopo di riavvicinare i giovani greci al vino con una bevanda giovane fresca e accessibile. Anche qui trovo il racconto che i greci non bevono vino. Poi ancora un Georgas Sweet di uve savatiano, vino che in origine era destinato al rito della messa. Gli chiedo se c’è passitura ma il savatiano è un’uva molto carica di zuccheri che non necessita di passitura. Coltiva anche agiorgitiko, grenache, syrah tra i rossi e chardonnay, assirtiko e malagousia tra i bianchi. La sua cantina è nella zona storica del Retsina, un vino che ha guadagnato una delle poche Traditional Appellation in Europa. A differenza di quello di Tetramythos, che era spillato dalla botte, qui assaggio una bottiglia dal 2018 che fonde sensazioni di resina, erbe, fieno e agrumi con disinvoltura e leggerezza. Ci salutiamo con una bevuta di succhi di frutta e mosti concentrati che mi ridanno energia per il viaggio.

In Turchia

Si parte per la Turchia su un traghetto che fa tappa in tutte le isole che si trovano sulla traiettoria. A causa di storiche diatribe territoriali non esistono collegamenti diretti tra Grecia e Turchia, per cui sbarco a Chios dove prendo un battello minuscolo che mi porta a Cesme.

Alla frontiera, mentre il duty-free shop che vende solo alcool viene preso d’assalto, mi fermano affermando che la mia assicurazione non sia valida per la Turchia. Ma come? Niente, in Turchia non vale. Chiamano un impiegato della dogana (almeno credo) che si prodiga in lunghissime operazioni telefoniche in mezzo alle quali mi chiede mille dati tra cui il codice della mia carta (che non gli do) e dopo ulteriori arzigigoli, alla modica cifra di 100 euro, mi cede una carta nella quale c’è scritto che per tre mesi posso girare in Turchia.
Vai, è fatta.

«No! Devi rifare il passaggio in dogana» dice l’impiegato, che poi aggiunge «Ma devi aspettare, i doganieri adesso stanno facendo pausa cena.»
In dogana ci siamo solo io e questo gruppo di frontalieri che mangia e mi guarda.
Alla fine, dall’ufficio esce il più brutto di tutti, pelato e palestrato tipo Mastro Lindo. Mi guarda ed entra in altro ufficio ostentando indifferenza. Capisco l’antifona e aspetto che Mastro Lindo eserciti il suo momento di potere continuando a camminarmi intorno senza considerarmi. Infine mi concede udienza. Mi fa aprire tutti i documenti possibili ed immaginabili, analizza ogni dettaglio delle carte, mi chiede motivazioni del viaggio, legami col terrorismo internazionale, numero di piede e dubbioso domanda:
Numero di telaio?
Ma cosa cazzo è il numero di telaio?
Vabbè ripigliati i tuoi documenti…
Chiedo se posso andare ma No! Perquisizione alla moto!
«Qualcosa da dichiarare?»
ed io: «Si sono pieno di bocce di vino, sei mica musulmano?»
Alla fine mi lascia andare che è notte. Parto a tutta birra urlando A.C.A.B al ritmo di muezzin!

In Turchia dal 2013 esiste una legge che vieta ai produttori di alcolici di avere siti internet mentre la vendita di alcolici è stata circoscritta ad alcuni orari e luoghi. Chissà cosa ne penserebbe Ataturk, padre fondatore della nazione la cui effigie è ovunque, considerando che è morto di cirrosi epatica per i cicchetti che si faceva. Contraddizioni della storia. Adesso capisco l’assalto allo shop della dogana. Famiglie turche uscivano con valigie piene di bottiglie di vodka e tequila.

Non esiste società umana che dall’inizio dei tempi non abbia fatto uso di sostanze psicotrope ma ci rapportiamo a questo patrimonio dell’umanità con moralismi monoteistici immergendo nell’ombra collettiva la Bestia Dionisiaca.
Con questi pensieri nella capoccia viaggio attraverso la Turchia, dimorando nella antica Efeso, immergendomi nelle vasche termali di Pamukkale e viaggiando per tutta la costa meridionale su una strada incandescente che in lontananza si sfrangia in mille miraggi mentre sulla schiena mi spuntano delle scaglie di Drago che mi trapassano le carni trasformandomi in una palla di fuoco lanciata a velocità folle. Dopo milioni di kilometri in un punto a caso appare un camping, giro la moto e mi tuffo direttamente in mare per spegnere l’incendio. Esco dall’acqua ed una banda di turchi mi prende e mi “siede” al loro tavolo rimpinzandomi di kebab includendo nell’ospitalità una lezione su quanto potente fosse l’esercito ottomano mentre espugnava Costantinopoli.

Al mattino riparto verso la Cappadocia, la strada sale, il vento si alza, la temperatura scende, mi trasformo in una palla di ghiaccio lanciato verso l’unico vignaiolo che visito in Turchia: Udo Hirsh della cantina Gelveri, dove approdo grazie alla mediazione di Sophie Riby, storica navigatrice delle mie derive etiliche.

moto
L’ambiente è selvaggio, lunare, modellato dal tufo vulcanico levigato dal vento e dal ghiaccio. Gli uomini hanno scavato questo tufo realizzando città sotterranee. Il villaggio si chiama Guzelyurt [bella dimora], ma il suo nome originario era Gelveri, da cui il nome della cantina.

Udo Hirsch è tedesco, nella vita si è occupato di progetti con il WWF, ha girato il mondo progettando parchi naturali ed operando con popolazioni indigene per costruire sistemi di relazioni economiche ed ecologiche. Hacer, sua moglie, è una Yoruk [coloro che camminano], etnia nomade di origine turca che si sposta tra i Balcani e l’Anatolia. Insieme vivono in una casa di tufo, in un luogo fuori dal tempo, lontano dalle rotte turistiche piene di mongolfiere e quad. Udo non è arrivato qui con l’intenzione di fare vino, il vino è stata una conseguenza naturale delle esperienze che ha raccolto in giro per il mondo. Si è guardato attorno, ha trovato delle viti coltivate localmente, ha raccolto delle anfore ottomane, bizantine e romane che qui emergono come fossili dalla terra ed ha messo tutto assieme. La sua cantina ha un aspetto neolitico, scavata nella roccia, piena di contenitori di terracotta il cui nome locale è Kup. Si tratta di contenitori tradizionali adibiti a diversi utilizzi e ha dovuto imparare attraverso la sperimentazione quali fossero adatti alla vinificazione e quali no. Non tutte le Kup hanno il giusto impasto e la giusta temperatura di cottura per supportare una fermentazione, inoltre essendo millenarie ha dovuto sviluppare una tecnica di restauro per rimetterle in opera. Subito capisco che mi trovo di fronte ad un individuo per cui il vino è solo l’apice edonistico di un processo di ricerca ben più ampio che si sovrappone con la sua vita e con la sua intima natura di uomo. Mi riconosco simile in questo atteggiamento.

Parliamo di archeologia, biologia, geologia. Ha collegamenti in tutto il pianeta e, nonostante la zona remota, la sua abitazione è meta di pellegrinaggi di persone che provengono da ogni angolo della terra. Mi versa un vino la cui uva si chiama tas uzum [uva di pietra], uno dei sette vitigni autoctoni che vinifica solo lui e forse clandestinamente qualcun altro nei dintorni. Di questo non è sicuro perché la popolazione non ne parla, ma le case tradizionali hanno tutte un’area dedicata alla pressatura in cui si producevano vino e mosti concentrati. La legislazione turca è repressiva, ed è soggetto a continui controlli e ad una tassazione molto alta. Il vino in anfora non è previsto nella legislazione locale. Nel 1947 Ataturk cercò di rinnovare la produzione vinicola anatolica chiedendo di eliminare le anfore che riteneva poco igieniche. Nessuno le ha tolte ma lui essendo un produttore ufficiale ha dovuto mettere in cantina alcune botti in acciaio inutilizzate, in bella mostra per le autorità che sanno benissimo che il vino è prodotto nelle Kup. Mi versa un’altro vino da un’uva rossa chiamata it uzum [uva dei cani] e mi porge un formaggio realizzato in anfora. Tutti i suoi vini fanno 6 mesi di macerazione, la quantità di raspi viene decisa in base alla evoluzione del vino, parte dei raspi vengono asciugati al sole e dosati nel tempo. Ancora mi riempie il bicchiere con un vitigno bianco dal nome Hasan dede [Hasan è il nome di un villaggio, dede-padre]. Vino fantastico, perfetto, dallo stile georgiano, ricco di materia, denso, in cui la terracotta fa emergere note di erbe e fieno. Il canto di due muezzin squarcia il silenzio della valle e capisco che è l’ora di ripartire. Saluto Udo e Hacer con un caldo abbraccio, chissà se li rivedrò ma sicuramente l’incontro con loro ha prodotto nuove conoscenze e nuove traiettorie di ricerca.

Mi rimetto in marcia verso la Cappadocia turistica, con i suoi panorami mozzafiato e i suoi cavalli. Mi addormento nella pancia di una pietra, dimoro ad Hattusa, l’antica capitale ittita ai piedi del monolite verde, e infine arrivo ad Istanbul dove sparisco per un settimana inghiottito dal vortice di questa capitale posta tra due mondi. Ne approfitto per addomesticare i dolori delle scaglie di drago che continuano a crescere sulla mia schiena con massaggi e bagni turchi.

Sono pronto per la tratta finale, lascio Istanbul e le sue avventure ma pieno di malinconia. Viaggio attraverso la Turchia del nord alla volta della Grecia e mi imbatto in un posto di blocco dove ritrovo Mastro Lindo che mi fa mille domande in turco cui rispondo monoliticamente: I don’t understand!

Rieccomi in Grecia dove approccio l’ultima cantina, Kamara Winery vicino Salonicco. Mi accoglie Dimitrios Kioutsoukis, un uomo esplosivo, carico di entusiasmo circondato da una famiglia che gli pullula tutto intorno. Insieme a me una famigliola olandese fa il giro della cantina guidati da Dimitris e la figlia Stavroula che ci mostra i suoi dipinti da cui ricava le etichette. Sono gli unici a produrre vino nella zona, chiedo se qualcuno ha deciso di seguire il loro esempio e mi rispondono che la massima aspirazione dei greci è il posto fisso nello stato…mi sembra di averla già sentita questa cosa. Il vitigno a bacca rossa principale di questa zona è il xinomovro [xino-acido, mavro-rosso], vitigno ad elevata acidità e molto versatile da cui ricavano diversi vini, sia rifermentati che rosè. Dimitrios era un insegnante e poi un produttore di macchine mediche, nel 2008 ha mollato tutto e si è messo a fare vino con varietà internazionali. L’incontro con Ernesto Cottar ed il suo col fondo gli ha cambiato completamente la visione sul vino. Nel 2015 è passato ad una tecnica naturale basata sulla permacultura e preparati biodinamici, utilizzando vitigni autoctoni, anfore provenienti da Creta e botti usate.

Mentre mi racconta la sua storia mi versa un Nimbus Albus di malagousia ed assyrtico, a seguire un Retsina del 2021 la cui resina è portata da raccoglitori tradizionali, poi un rosso da merlot, xinomavro e limnio fermentati separatamente, poi ancora un xinomavro da botte, un altro con passitura dell’uva e fermentazione in anfora che fa 17 gradi alcolici. Per riprendermi mi versa un pet-nat di xinomavro e malagousia, poi un Retsina Orange, poi un assyrtico Orange e poi non ricordo più una mazza e mi ritrovo ad un rave party in cantina dove ballo fino all’alba con i 5000 figli dell’inarrestabile Dimitrios.

Mi risveglio su una spiaggia nei dintorni di Salonicco, chissà come ci sono arrivato. Faccio un bagno e via: è ora di rientrare.
Con la moto piena di bottiglie di vino, ed una chitarra tradizionale turca [cutar] appesa da qualche parte affronto l’ultima parte di viaggio. La strada sale in un ambiente alpino, con foreste di conifere, cascate e cime rocciose a perdita d’occhio. Il paesaggio mi incanta e decido di fermarmi a caso a Ioannina, località di montagna su un lago. Passo una serata con un americano dello Iowa che beve JB direttamente dalla bottiglia e racconta che il suo stato è una gigantesca monocoltura di soia e mais su cui spruzzano veleni tossici, uno scozzese che odia il whisky e parla poco, un greco appartenente alla minoranza vlachos che parla una lingua di origine latina discriminata dalla popolazione di lingua greca che li identifica come rumeni.
È ora di allontanarsi da queste vicende umane. Mi avvio verso le alture, attraverso un fiume dalle acque turchesi, una foresta di pietra e raggiungo un canyon maestoso dove mi appoggio ad una parete e le scaglie di drago si fondono con la roccia mutandomi in montagna.

canyon


Vignaioli in ordine di apparizione, da sinistra a destra:
1- Aphrodite, Kontozisis Winery
2- Panagiotis Papagiannopoulos, Tetramythos
3- Kalogris Winery
4- Bairaktaris
5- Dimitris, Georgas Family
6- Udo Hirsh, Gelveri
7- Dimitrios Kioutsoukis and family, Kamara winery

Vignaioli

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Leone Zot

Nato sul pianeta terra nel sud della Germania. Psiconauta per istinto, dedito alla conoscenza e alla gozzoviglia in tutte le sue forme. Il vino è la prima sostanza psicotropa che ha avvicinato. Una relazione amorosa con incipit punk e antisociale che ha prodotto momenti di innalzamento intellettuale e momenti di inabissamento nel fuoco di Dioniso. Viaggia nella vita giocando e ridendo accompagnandosi sempre all'estasi del bicchiere.

8 Commenti

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marcow

circa 12 mesi fa - Link

Nei prossimi anni è probabile che chiederemo alle app di Intelligenza Artificiale(che tutti avranno nello smartphone) di farci una sintesi di testi lunghi. Vi ricordate del Premio Nobel per la Letteratura Mo Yan che... il 18 maggio 2023... ha detto: "Ho scritto il discorso con ChatGpt" Quindi, è molto probabile un uso di massa di questa nuova e potente tecnologia che ci aiuterà in molteplici attività(e che, dicono, cambierà il mondo) Ma, come tutte le Tecnologie, anche l'IA ha degli effetti collaterali negativi e gli ESPERTI ci avvisano che il suo uso eccessivo potrebbe indebolire alcune delle Capacità Cognitive Umane, tra cui quella di SINTETIZZARE. ---- Ma il rischio più grande è che potremmo delegare all'IA anche la più nobile caratteristica degli esseri umani: quella di PENSARE con il Proprio Cervello. Uomini, cioè, con scarso Pensiero Critico: pappe molli facilmente influenzabili. ---- Detto questo, ho letto con piacere l'articolo che è pieno di punti interessanti. E voglio riportare nel dibattito questo che contiene un riflessione profonda: "Non esiste società umana che dall’inizio dei tempi non abbia fatto uso di sostanze psicotrope ma ci rapportiamo a questo patrimonio dell’umanità con moralismi monoteistici immergendo nell’ombra collettiva la Bestia Dionisiaca" E che dimostra, per la posizione in cui si trova nel testo, che ho letto quasi tutto l'articolo :-) ---- Complimenti per l'articolo. PS L'articolo, mentre lo leggevo, mi ha ricordato un redattore di Intravino che apprezzo molto. Perché ci parlava di vino e di mare. Saluto, se ci sta leggendo, Emanuele Giannone.

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Leone

circa 11 mesi fa - Link

Grazie mille. Si l'articolo è lungo ne sono consapevole ( e l'ho tagliato). Grazie per averlo letto. La riflessione che ponevo tra le righe sull'uso di sostanze psicoattive in tutte le epoche e culture umane è un dato semplice dal quale si può dedurre un fenomeno che potremmo definire "naturale", nelle sue diverse declinazioni (medica, esperienziale, ludica). Il moralismo con il quale questo fenomeno è investito ne impedisce una lettura realistica e non consente di estrarre dati utili alla conoscenza collettiva. Best

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marcow

circa 11 mesi fa - Link

Vorrei chiarire meglio. 1 A me piace la "completezza" di un discorso che non si può esaurire con un twitter. Non mi spaventano i testi lunghi: sono allenato. La capacità di "comprensione" e "sintesi" ancora funzionano bene. Quindi ho apprezzato l'articolo anche per la completezza che può richiedere delle frasi in più. 2 Ma, lo dicono fior di Esperti, la maggioranza non è abituata a seguire, a leggere dei testi un po' lunghi. E l'ironia(lieve) contenuta nel primo commento non ha lo scopo di scoraggiare i redattori dallo scrivere qualche frase in più che, invece, aiuta a comprendere meglio un testo. Spero che adesso sia più chiaro quello che volevo dire.(e ho cercato di inserire l'IA perché è diventato di grande attualità e lo reputo molto importante) 3 Condivido la spiegazione di Leone Zot sulle sostanze psicoattive. E lo saluto cordialmente PS Poi, caro Leone, come puoi constatare, sono anche un commentatore con commenti lunghetti che, giustamente, qualcuno ha criticato :-)

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Leone

circa 11 mesi fa - Link

Capito! eppoi non sempre una considerazione di tipo quantitativo è sufficiente per descrivere un contenuto. Comunque è lungo sono d'accordo ;)

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Giacomo

circa 12 mesi fa - Link

Io invece sono rimasto affascinato dal racconto.Da 29 anni passiamo 15giorni in Grecia,mai nello stesso posto,e devo dire che il livello dei vini è cresciuto notevolmente.

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Leone

circa 11 mesi fa - Link

Grazie mille. Si tutti i vini che ho assaggiato erano ottimi, anche se a quanto ho scoperto la cultura del vino in Grecia è scomparsa e sta rinascendo lentamente ad opera di questi vignaioli che cercano spazi emersione.

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Giuseppe

circa 11 mesi fa - Link

Gran bel pezzo di cui il vino e' solo uno dei protagonisti della storia. Leggerlo mi ha fatto subito venir voglia di tornare a viaggiare in Grecia, la Turchia la vedo un po` piu` problematica in autonomia ma magari sbaglio io. Buona giornata a tutti

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Leone

circa 11 mesi fa - Link

Grazie, anche la Turchia è una paese accessibile ai viaggiatori. Ci sono località strepitose come la Cappadocia ed Istanbul.

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