Cronaca dell’epica Disfida di San Giovanni delle Contee

Cronaca dell’epica Disfida di San Giovanni delle Contee

di Tommaso Ciuffoletti

Può un assaggio di vini contadini, fatto in un misconosciuto paese di 190 abitanti al confine tra Toscana e Lazio e, raccontare molto più di mille punteggi internazionali di mille riviste giustamente blasonate?

Certo che no! O forse invece…

L’Italia fino a ieri
San Giovanni delle Contee (vado da tempo predicando) racconta l’Italia del vino com’era fino a ieri. Tutti hanno una cantina scavata nel tufo, quasi tutti un pezzetto di vigna e chi non ce l’ha compra l’uva per farsi il vino. Cose come la fermentazione (ed il governo del vino), la svinatura, i travasi da damigiana a damigiana sono cose che tutti imparano a fare fin da piccoli, magari per l’insegnamento dei nonni, dei genitori o degli zii. Un patrimonio di conoscenze che si tramanda. Tra queste conoscenze mancano tuttavia, o sono soltanto superficiali, le nozioni relative all’impiego di tecniche per la conservazione del vino, dato che si tratta di vino destinato ad un autoconsumo che per lo più si svolge nelle cantine stesse (luoghi di socialità tanto nei mesi caldi che in quelli freddi) o al massimo sulle tavole di case poco distanti.

Questo ci racconta una cosa decisiva e spesso dimenticata quando si fanno confronti impropri fra Italia e Francia. Non è tanto una questione di vitigni o vicende degli stati nazione – che pure hanno avuto ed hanno un loro rilievo – quanto una differenza decisiva data dal fatto che, per la grandissima parte, il vino in Italia lo si faceva per berlo, mentre nelle zone che hanno fatto grande la Francia del vino, a partire da Bordeaux dove tutto è nato, il vino lo si faceva per venderlo e farlo viaggiare. Se vi sembra una differenza da poco, fidatevi che è ben più radicale di quella fra un sentore di pesca noce ed uno di pesca tabacchiera.

A segnare un tratto altrettanto decisivo per capire chi siamo quando si parla di vino (ed in generale di civiltà contadina) c’è poi la vicenda della mezzadria[1], un contratto agricolo di origine medievale che venne abolito solo nel Secondo dopoguerra (con la legge n. 756 del 1964, che vietava la stipula di nuovi contratti mezzadrili dal 23 settembre 1974). La mezzadria era un contratto molto semplice – chiave decisiva per il suo successo secolare, tanto quanto la distinzione dei ruoli tra i padroni e quelli che non erano padroni di un cazzo, per dirla con le parole del Don Bastiano de “Il marchese del Grillo” – e che può essere così esaustivamente esposto: io padrone della terra, concedo a te contadino il diritto di lavorarla fino ad ammazzartici sopra – te e la tua numerosa famiglia – e a fine stagione metà di ciò che ne caverai sarà mio, il resto avrai il privilegio di tenertelo per te.

Concetti come resa massima e la necessità di fare meno uva per ottenerne un vino migliore, erano del tutto risibili per il mezzadro che aveva come principale necessità quella di fare più uva possibile. E siccome forse nella società dei consumi ce ne siamo dimenticati, ma erano i bisogni a muovere fino a pochi decenni fa anche il nostro di mondo, ecco che il primo bisogno era fare tanta uva. Di poi si poteva ragionare di come far di quest’uva del vino che avesse anche un pochino di corpo ed una gradazione alcolica sufficiente a dare sia un po’ d’ebbrezza, che a permettere che il vino si conservasse almeno fino all’anno successivo alla vendemmia. Di qui il ricorso a metodi come quello del governo. A San Giovanni delle Contee la gran parte delle vigne autogestite producono ancora tutto quello che possono produrre e la gran parte dei vini rossi vengono ancora fatti col governo, nel tentativo di rinforzarne la struttura.

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La disfida delle Contee
Nella cocciuta convinzione che quanto sopravvive in quel piccolo paese – così come in tanti altri simili che sopravvivono per tutta la penisola – meriti considerazione e valga più di tutte le brochure aziendali in cui si parla di “rispetto della tradizione” (ma sempre rigorosamente con un occhio attento all’innovazione per produrre vini d’inevitabile eccellenza), ho convocato in paese giovedì 25 giugno, un team di degustatori con tutti i crismi del caso, per far loro giudicare con assoluta serietà i vini fatti dai sangiovannesi.

Ho poi preso un foglio e l’ho affisso nel bar-ristorante del paese (l’Osteria Maccalè che oggi è viva e lotta insieme a noi grazie all’impegno di un manipolo di coraggiose, più un coraggioso, che han dato vita ad una cooperativa di comunità, che due parole più belle insieme difficilmente mi vengono in mente), convocando tutti i paesani che fanno vino per la prima Disfida delle Contee.

Che la faccenda fosse seria l’ho capito quando sono arrivate 14 bottiglie pronte a sfidarsi. Vedete bene che in un paese di 190 abitanti censiti – contando fra questi molti che sono troppo anziani, pochissimi che sono troppo giovani ed una discreta percentuale di fedeli islamici che col vino non hanno ufficialmente rapporto – 14 bottiglie di vino autoprodotto sono una percentuale importante.

4 bianchi e 10 rossi, uvaggi che vanno da Trebbiano, Malvasia e Sangiovese, fino a Cabernet Sauvignon, Grechetto e Merlot. Contenitore classico per conservazione e affinamento: la damigiana. Ognuno di quei vini era ed è – a detta insindacabile dei fieri produttori – inevitabilmente il migliore.

Sì perché il vino È una faccenda seria. Una vigna ben tenuta, la conoscenza dei terreni (che dalle nostre parti passano rapidamente dal tufo all’argilla, fino alla roccia), la tradizione tramandata in famiglia, la cantina migliore ed anche un po’ di segreti dell’arte della vinificazione non sono mica cose su cui è dato far tanto i disinvolti. Per questo l’arrivo dei giudici è stato accolto con la dovuta diffidenza, ma – ad essere onesti – anche con la curiosità di vedere se poi è vero che “dalle nostre parti il vino ci viene bbono”.

Gino della Porta, venditore, produttore, marketingatore di vino e meraviglioso gran maestro di cerimonia era chiamato a presiedere la giuria composta da 4 amici che sono più che vignaioli e produttori, ma che per necessità di sintesi elenco così in rigoroso ordine alfabetico:

. Giacomo Baraldo, vignaiolo e produttore a San Cascian de’Bagni

. Massimo Casagrande, che oltre a lavorare a Rocca di Frassinello è vignaiolo e produttore con la sua azienda Le Falene

. Paolo Marchionni, vignaiolo e produttore a Vigliano

. Andrea Occhipinti, vignaiolo e produttore a Gradoli

Last, but not least, una firma di Intravino ed un amico col quale, da quando ci siamo conosciuti, abbiamo stappato una quantità impressionante di bottigli: Massimo Andreucci.

Vincitori e vinti
Nel mezzo della strada principale del paese (che poi in realtà di strade ce ne son due in tutto, ma questo è un altro discorso) e sotto gli occhi curiosi di paesani di ogni età, i giudici han preso posto al tavolo. Consci della responsabilità loro assegnata si sono innanzitutto affidati alla clemenza dei produttori, non tanto di fronte al responso che avrebbero dovuto dare, ma innanzitutto per la salvaguardia dei loro palati e degli annessi stomaci. Il rischio che avevo paventato loro era infatti quello di trovarsi a degustare aceti di varia stagionatura. E invece …

E invece l’unico vinto della disfida è stato il mio malizioso pessimismo, dato che la degustazione ha subito messo i giudici di fronte a vini fatti a modo e questo è stato un motivo d’orgoglio che ancora adesso in paese è oggetto di discussioni e brindisi e spero che lo rimarrà a lungo.

I bianchi hanno mostrato d’essere mediamente più indovinati, in una terra dove di Trebbiano ce n’è tanto e tanto produce, com’è giusto, ma che – sia macerato (perché qua gli orange wine son la norma dei vini di cantina), sia torchiato (rigorosamente a mano) – racconta bene d’essere un vitigno che merita una seria rivalutazione. I rossi hanno scontato quell’idea – ferrea convinzione specie degli adulti – che la finezza ed il colore scarico del Sangiovese siano da sacrificare in nome della ricerca del corpo (da cui l’aggiunta del Merlot o di tanto Colorino, il governo del vino ed altre manipolazioni), quando invece i nostri sangiovesi san dare il meglio di loro nelle versioni che puntano proprio sull’eleganza.

Questo dimostra come certe convinzioni e certe tradizioni meritino anche di essere riviste e superate. Infine ho trovato confermata l’idea che la damigiana sia un contenitore ottimo per affinare vini di questa fattura. Certo è un tipo di contenitore che ha tante scomodità dovute alla dimensione (difficile che se ne trovino di capacità maggiore di 60 litri) e ai rischi connessi alla sua manipolazione (chi scrive ha un uso limitato della mano sinistra a causa di un vetro rotto…), ma che pure garantisce pulizia assoluta e, in cantine scavate in profondità che mantengono naturalmente temperatura ed umidità, si dimostra una soluzione interessantissima per l’affinamento.

All’annuncio dei responsi non sono mancate sorprese e polemiche. “Ma come ha fatto a vince quello!”, “Ma se il mio è tanto cattivo come mai ci venite a bevelo sempre in cantina?”, “Ma siamo proprio sicuri che sti giudici ci capiscono?” e così via. Ma che sfida paesana sarebbe se non ci fossero polemiche? Anzi, io me ne aspettavo di più! Tanto poi quel che rimane è il coraggio di coloro che si sono messi in gioco, sia giudici che giudicati, in un concorso così assurdo, che ha avuto il suo terzo tempo in cantina (il secondo era a tavola per la cena).

Rimane soprattutto un paese (compagno di altri che ancora resistono in giro per l’Italia) che conserva un tesoro enorme, un patrimonio di tradizione autentica, un po’ da riscoprire e un po’ da rinnovare ed entrambe son cose mica semplici! Ma si continuerà a lavorare per questo. Anche perché quella appena fatta è solo la prima Disfida delle Contee, l’appuntamento è per il prossimo anno e siete tutti invitati. Nel frattempo se vi capita di venire in paese potete chiedere, a chi incontrate, di questa disfida e magari farvi invitare in cantina ad assaggiare quello che comunque è e rimane “il meglio vino di queste parti”, perché ognuno di quei 14 vini è e rimane inevitabilmente tale per chi lo fa.

Infine per me, rimane la convinzione che sì, un assaggio di vini contadini, fatto in un misconosciuto paese di 190 abitanti al confine tra Toscana e Lazio, può raccontare molto più di mille punteggi internazionali di mille riviste giustamente blasonate.

W il vino e W tutte le San Giovanni delle Contee d’Italia.

[1] Questo vale almeno per buona parte dell’Italia centrale, mentre al sud c’era il latifondo, in teoria abolito nel 1805, ma di fatto durato fino alla riforma agraria del 1950.

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Tommaso Ciuffoletti

Ha fatto la sua prima vendemmia a 8 anni nella vigna di famiglia, ha scritto di mercato agricolo per un quotidiano economico nazionale, fatto l'editorialista per la spalla toscana del Corriere della Sera, curato per anni la comunicazione di un importante gruppo vinicolo, superato il terzo livello del Wset e scritto qualcos'altro qua e là. Oggi è content manager di una società che pianta alberi in giro per il mondo, scrive per alcune riviste, insegna alla Syracuse University e produce vino in una zona bellissima e sperduta della Toscana.

21 Commenti

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Simone Di Vito

circa 4 anni fa - Link

Visto che non sono poi così lontano, per la disfida del prossimo anno, non mancherò... sappilo

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Tommaso

circa 4 anni fa - Link

Anche perché sennò veniamo a rapirti!!!

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Simone Di Vito

circa 4 anni fa - Link

Vengo travestito da Morgan, per me è si, per me è no 😂😂

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Tommaso

circa 4 anni fa - Link

Fallo e io ti giuro che ti faccio una sorpresa - proprio parlando di Morgan - che ci rimani di sasso. Ti metto in giuria accanto a lui!

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Simone Di Vito

circa 4 anni fa - Link

Ahahahahahahahahahahahahah😂😂😂😂😂ci sto!

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Lanegano

circa 4 anni fa - Link

Perfettamente d'accordo sui concetti relativi alle differenze storiche di approccio al vino tra Italia e Francia e al concetto dei bisogni. Bell'articolo.

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Tommaso

circa 4 anni fa - Link

Grazie Lanegano!!

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Francesco Fabbretti

circa 4 anni fa - Link

Io però avrei letto volentieri due righe più specifiche sugli assaggi

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Tommaso

circa 4 anni fa - Link

Caro Francesco, ammetto che l'appunto è giusto. Ci avevo pensato, ma avrei dovuto aggiungere per ciascuno delle note molto specifiche sulle uve sullo stile produttivo (diciamo così) e sui produttori stessi. Avevo paura di e sondare col numero di battute. Ma il tuo appunto è giustissimo e la prossima cronaca della prossima Disfida avrà note più di dettaglio, promesso.

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Damiano

circa 4 anni fa - Link

Oppure un secondo atto, senz'attendere n'artranno...

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Tommaso Ciuffoletti

circa 4 anni fa - Link

E che vino bevemo Damià?!

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Damiano

circa 4 anni fa - Link

Sempre abbeve ... Intendevo un secondo atto con tutta la parte degustativa, vitigni, produttori ed enomasturbazioni varie.

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Marco

circa 4 anni fa - Link

Bell'articolo; non condivido però collegare mezzadria e spinta a produrre il massimo, perché anzi con la mezzadria quello che non si produce non si paga. La spinta a produrre il massimo era dettata dalla povertà, e quella accomunava mezzadri, affittuari e piccoli proprietari

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Tommaso

circa 4 anni fa - Link

Ciao Marco, il tuo commento è del tutto sensato. Provo a dirla meglio: il mezzadri doveva trarre tutto il possibile dalla terra. Ogni singolo metro quadro doveva dare il massimo. Di qui le coltivazioni promiscuo e - se parliamo della vite - il sopravvivere delle viti maritate, ovvero appoggiate ad alberi sulle quali potevano crescere in altezza e liberare spazio sottostante per la coltivazione d'altro, ortaggi o altro. Perché se non produco non solo mi toccherà meno (dato che il padrone manderà il fattore a riscuotere la sua parte e la vorrà tutta), ma se non produrrò abbastanza potrei non veder rinnovato il mio affitto l'anno successivo.

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Tommaso

circa 4 anni fa - Link

Perdona le sgrammatucature ma sono fuori con il telefono!

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franco

circa 4 anni fa - Link

Spettacolare!!!! Un piacere leggerlo... ci vediamo l'anno prossimo!

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Tommaso Ciuffoletti

circa 4 anni fa - Link

Grande Franco! <3

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Fumasoli Mirco

circa 4 anni fa - Link

Il vino qui, in questa zona,in questo paesello, negli altri della Toscana estremo-meridionale limitrofi, è parte di una ritualità, di una predisposizione all'ospitalità. La frase "fai un bicchiere?" la si sente tutti i giorni, specie il pomeriggio( bè, la mattina è dura).Se esci di casa o se entri , per qualche motivo, in casa altrui. Noi siamo cresciuti tra le cantinelle. Di Ciuccio, Scioppichino, Peppe, Giovannino, Peppe Rosa,Franco "la chiesina", così chiamato per la sua "devozione", appunto alla cantina, equiparata al più noto luogo di culto cristiano. Di Torquato,Giorgio ( detto "gozzetto" per il suo particolare sorseggiare, degustando il "bicchiere",Buggiarino e TANTI altri. Rari erano i compaesani NON vignaioli, non possessori di una grotta scavata nel terriccio, pomice( tufo non tanto) e attrezzata a contenere il prodotto.L'Happy hour della nostra adolescenza erano le cantine. Il vino, leggero, ma assolutamente -o modicamente- trattato con additivi. Una produzione " empiricamente" guidata, con i pro e i contro dell'empirismo tramandato dalle generazioni precedenti. La posizione dei vigneti, intesi con finalità quantitative familiari, è a mio giudizio fondamentale. Ma anche la gestione poi del mosto, del vino maturo, le tramute, la conservazione, i recipienti. E.... le inevitabili misure ausiliarie chimiche. II tannino , i metabisolfiti. Un risultato da esaltare e proporre( anche contrapporre) alle limitrofe produzioni industriali, sociali o private.ll vinello "leggero", light, ma con corpo, vitalità, carattere, di degna considerazione. Non mi sembra emersa con giustizia nella simpatica disputa di quella sera. Intendo per gli ESITI delle premiazioni. Ma.... de gustibus...... Cosa senz'altro secondaria rispetto a una simpatica, azzeccata, intelligente iniziativa. Che spero si ripeta presto con MAGGIORE partecipazione dei produttori locali.

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Tommaso

circa 4 anni fa - Link

Grande Mirco!!!

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Stefano

circa 4 anni fa - Link

Evviva! ogni tanto fa bene ricordarsi che il vino (e il cibo) sono convivialità, allegria, genuinità di intenti e di sentimenti. Dovrei traslocare dalla città a un paesino così, anche per la salute dei miei figli (fegato a parte)

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Tommaso

circa 4 anni fa - Link

Stefano, qua di case a disposizione ce ne sono e a pochissimo prezzo!

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