Bignami del long form di Paolo De Cristofaro su “Montalcino, l’eno-paradosso più galattico che ci sia”

Bignami del long form di Paolo De Cristofaro su “Montalcino, l’eno-paradosso più galattico che ci sia”

di Maria Rita Mancini

C’è una lettura che qualsiasi appassionato di vino dovrebbe fare in questi giorni, regalando mezz’ora del suo tempo all’approfondimento di una delle zone del vino più preziose d’Italia e del mondo: Montalcino.

L’autore è Paolo De Cristofaro, insieme ad Antonio Boco colonna portante di Tipicamente. Il titolo dice già abbastanza: “Montalcino, l’eno-paradosso più galattico che ci sia“. La lettura è smart e scorre fluida tra metafore, note storiche e informazioni specialistiche, senza mai tediare con pedanti tecnicismi. Tra apparenti contraddizioni, generate da anacronismi, si discute dell’attualità e della ragion d’essere proprio di quegli elementi distintivi che hanno reso grande il Brunello di Montalcino.

Come da premesse, trattasi di long form ma sarà tempo speso benissimo. Per chi invece volesse andare al succo, condensando i concetti come da migliore tradizione scolastica per gli svogliati, ecco un mio personalissimo bignami.

Montalcino

Il valore e il ruolo iconico del Brunello è indiscusso. Vino universalmente riconosciuto come “rosso importante”, da neofiti ed enoesperti, fonda la propria trionfale reputazione sulla sacra trinità: aromi complessi, corpo potente e ricchezza alcolica. E come si conviene in questi casi, il tutto viene accompagnato dai rispettivi oneri (del prezzo) e onori (di attenzioni e accorgimenti). Una superstar amata e celebrata in tutto il globo. “Il più mediterraneo dei rossi continentali e insieme il più continentale dei rossi mediterranei”, in questo melting pot enologico si racchiude il successo del Brunello. Eppure questo equilibrio rischia di diventare precario e difficile da mantenere alla luce dei cambiamenti epocali in atto. I mutamenti climatici, viticoli ed enologici irrobustiscono la tempra materica e sudista del Sangiovese di Montalcino, smorzandone i contrappesi più tesi e slanciati. I tratti distintivi del Brunello, tradizionalmente identificati come punti di forza, rischiano di trasformarsi in limiti.

Il Brunello è ancora un vino da invecchiamento?

Un primo aspetto su cui si discute riguarda l’essenza del Brunello: la sua longevità. La fama di “grande vino da invecchiamento”, che sfida i grandi Bordeaux, i Rodano, i Rioja e sul territorio nostrano i Barolo, nasce dalla celebrazione di epiche degustazioni di numerose annate del secolo scorso, esaltate da affinamenti decennali. Questo stile assume una fortissima identità espressiva e viene pertanto protetto da un severo protocollo di maturazione inserito nel disciplinare, l’unico in Italia che prevede per la tipologia “base” una commercializzazione dopo oltre 4 anni, di cui 2 in legno. Condizione imprescindibile un tempo, quando il sangiovese era ruvido e spigoloso, oggi messa in discussione alla luce del fatto che la finestra di beva si sta accorciando a Montalcino forse ancor più che altrove. A supporto di questa tesi, c’è il successo mondiale che viene confermato proprio dai Brunello del Duemila, pronti nel breve e medio periodo, mentre aumenta la frequenza delle annate che escono sconfitte dalla sfida del lungo affinamento. Parallelamente, il Rosso di Montalcino esprime bene l’attuale trend di spigliatezza contemporanea, dettata da freschezza aromatica e sviluppo verticale, e trovando un favorevole riscontro nei consumatori anche per i prezzi decisamente più accessibili. Dunque è legittimo interrogarsi se sia ancora opportuno un diktat nel disciplinare che ribadisca in modo perenterio che questa tipologia non solo può, ma addirittura DEVE affinare così a lungo. E ancora, è giusto chiedere ad un vino ottocentesco di adeguarsi ai gusti moderni ed assumere tratti contemporanei?

L’annata 2010

Nel 2007 lo “scandalo Brunellopoli” pone Montalcino al centro dell’attenzione mediatica: alcune cantine vengono accusate di aver tagliato il loro Brunello con varietà non consentite dal disciplinare. Il Consorzio adotta una linea dura per difendere la purezza del sangiovese dal reato di lesa maestà, che  a posteriori può essere interpretato forse come la sintomatica necessità di un cambiamento. L’annata 2010 segna il definitivo riscatto. La vendemmia viene celebrata come una delle migliori degli ultimi anni e il Brunello si afferma sulla scena intercontinentale, con l’incoronazione di ben tre espressioni di questo millesimo premiate con i chimerici 100 punti Robert Parker. Il brand territoriale è forte ed un ampio gruppo di aziende si divide i favori del pubblico e della stampa di anno in anno. Questo lungo palmares però contiene al suo interno un tarlo: in questa coralità mancano dei solisti in grado di assumere il ruolo di leader. Compravendite che coinvolgono investitori provenienti da fuori Montalcino, trasformazioni societarie e tecniche minano l’idea di un archetipo di Brunello. Mancando un modello di riferimento, il risultato è un’estrema variabilità di espressioni con gerarchie mobili e mutevoli.

Mappare Montalcino

È ragionevole ipotizzare che questa estrema pluralità di stili, interpretazioni e risultati abbia inciso sull’assenza di una mappatura di secondo livello: nessun cru, né MGA o UGA. Probabilmente in un prossimo futuro questa suddivisione si concretizzerà, adeguandosi così al modello organizzativo degli altri competitor, ma anche su questo tema si contrappongono argomentazioni antitetiche. Tre ragioni supportano le tesi a favore della creazione di macroaree e sottozone: l’ampia estensione della superficie vitata, le grandi variabili pedoclimatiche tra i territori e l’aumento delle menzioni di toponimi in etichetta, che rivelano l’esigenza di distinguere geograficamente le differenze espressive macroscopiche. Di contro però altri si oppongono adducendo altrettante valide motivazioni: il Brunello è un vino che spesso nasce da strategici assemblaggi di uve provenienti da vigne posizionate in zone diverse per bilanciare l’effetto annata; le sfumature espressive legate alla diversa provenienza sono più difficili da cogliere dopo una maturazione prolungata; infine il Brunello di Montalcino è un brand così solido che sente superfluo il bisogno di ulteriori menzioni. Difficile dunque scegliere una posizione. Certo è che le peculiarità territoriali riconducibili alle eventuali macroaree devono mantenersi costanti nel tempo, nonostante le variabili viticole, vendemmiali o stilistiche. Il rischio è che le troppe eccezioni riscontrate sul territorio possano non confermare le regole stabilite.

E domani?

In conclusione, le questioni sollevate non trovano risposte ma sono ottimi spunti di riflessione. Difficile intuire gli sviluppi prospettici della denominazione, visti i grandi cambiamenti agronomici e climatici e considerata la natura stessa di un prodotto soggetto a mutevoli influenze ambientali e umane. Ciò che invece sappiamo è che negli anni gli uomini di questo territorio hanno dimostrato di avere una sorprendente attitudine a reagire alle difficoltà storicamente incontrate, dunque mai scommettere contro Montalcino.

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Maria Rita Mancini

Nata tra i Castelli di Jesi, laurea in lettere e filosofia, insegna italiano alla scuola primaria e si occupa di formazione. Dal 2021, a tempo perso, aiuta in cantina un amico produttore di ottimo Verdicchio. Affascinata dall'antropologia del vino, ha festeggiato il diploma dell'Associazione Italiana Sommelier con Chateau d'Yquem 1995.

13 Commenti

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marcow

circa 1 mese fa - Link

"L’autore è Paolo De Cristofaro, insieme ad Antonio Boco colonna portante di Tipicamente. Il titolo dice già abbastanza: “Montalcino, l’eno-paradosso più galattico che ci sia“. La lettura è smart e scorre fluida tra metafore, note storiche e informazioni specialistiche, senza mai tediare con pedanti tecnicismi" (Dall'articolo) ________ Sicuramente è un Long Form(4851 parole 23 minuti per leggerlo). Sicuramente è un articolo con diversi punti interessanti. Ma, per me, non è un testo smart, non è un testo facile. ___ La Lunghezza di un testo aiuta la Comprensione? Più un testo è lungo e più è comprensibile? Che relazione c'è tra chiarezza e lunghezza di un testo? Asciugare questo testo di frasi e periodi che allungano il brodo forse aumenterebbe la chiarezza del testo e, quindi, la sua comprensibilità? ___ Ma, signori, non esiste il testo "perfetto" che piace a Tutti. E, quindi, il lungo testo di De Cristofaro può risultare molto chiaro e comprensibile già ad una prima lettura(come scrive Maria Rita Mancini) Poi è rilevante la conoscenza che il lettore ha degli argomenti trattati: e, parallelamente, diventa rilevante lo scopo che l'autore vuole raggiungere con un testo lungo e, soprattutto a chi si rivolge. Perché per lettori diversi bisognerebbe adottare strategie comunicative diverse: è questo non è sempre semplice. Spesso leggendo i wine blog italiani ho l'impressione che si parli tra pochi intimi appartenenti a un club privato e che si comunica a una limitata cerchia di appassionati di vino. La realtà dei bevitori italiani, della massa, è molto diversa. ___ Detto questo, mi rileggerò il lungo testo di De Cristofaro per capire meglio quei contenuti interessanti che, come ho detto, contiene. Le mie critiche hanno principalmente lo scopo di Stimolare a Fare Meglio. Quando qualcuno si è lamentato per la lunghezza dei miei commenti ho riflettuto su come migliorare l'espressione delle proprie opinioni. Anche se ancora ... i commenti sono lunghi. Puoi cortesempre inserire una mail a cui si possa contattarti? Grazie [a.m.]

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Stefano Cinelli Colombini

circa 1 mese fa - Link

Riassunto ben fatto di un articolo interessante, complimenti. Qualche osservazione sul Bignami. Nel 2020 ARTEA Toscana (l’agenzia Regionale per i controlli) certificava 4.436,34 ettari di vigneto in produzione a Montalcino, di cui 3.605,93 a Sangiovese. In questi quattro anni si sono aggiunte molte centinaia di ettari di vigneti, non ho un dato ufficiale statale ma da quelli del Comune direi non meno di seicento. A Montalcino gli imbottigliatori da vent’anni oscillano tra 250 e 270, e i viticoltori variano tra 308 e 310. La superficie raccolta di Brunello varia dai 1.981 ettari del 2021 ai 2.026 del 2022. I prezzi dei vigneti di Brunello sono complessi da rilevare, si ricavano dalle notifiche di prelazione ai vicini ma è difficile estrapolarli perché il valore notificato è globale, comprende il marchio, le scorte, le vigne, gli immobili e molte altre cose. Io ne ho sia comprati che venduti negli ultimi anni, e il prezzo è sempre stato tra 1,0 e 1,2 milioni di Euro per ettaro.

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Piero Luciani

circa 1 mese fa - Link

Il Brunello è ancora un vino da invecchiamento? Un primo aspetto su cui si discute riguarda l’essenza del Brunello: la sua longevità. (...) Non ho una grande esperienza in fatto di degustazione di Brunello vecchie annate (al sangiovese grosso preferisco di gran lunga il nebbiolo), ma recentemente ho avuto modo di stappare una bottiglia (regalatami) di Biondi Santi - Tenuta "Greppo" del 2011. Beh!, un vino che oramai non aveva più nulla da dare: profumi evanescenti, tannini (quasi) esauriti. Esile in bocca, quanto "corto" alla deglutizione. Insomma, non ha convinto me ma neanche i miei amici commensali. Solo il colore si salvava...un po' poco per un vino da 250/300 euro!

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BT

circa 1 mese fa - Link

eh nooooo non voglio sentore certe cose. io ne ho una del 1994, secondo voi cosa ne devo fare? ok ora l berrò però ero sicuro che durasse...

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AG

circa 1 mese fa - Link

L'annata non è sicuramente una di quelle memorabili, per usare un eufemismo

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littlewood

circa 1 mese fa - Link

Ma dai ...intanto allora il brunello annata di Biondi Santi costava meno di 100€...inoltre abbiamo fatto una verticale di biondi santi annata e il 1991 che e' annata del piffero era ancora in formissima! Ma ho bevuto pure il mitico 1955 riserva e lo ricordo come uno dei piu' grandi vini rossi della mia vita...ma anche un grandissimo pieve di s. Restituita 1981 o dei caparzo anni 1990 molto molto buoni...mi sa che il tuo amico quella bt l' ha conservata sopra il camino.....

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Gaeatano

circa 1 mese fa - Link

Pensare che un mio amico produttore di Valdobbiadene ha pagato un ettaro di vigneto a Santo Stefano, in una zona di struggente bellezza, qualcosa in più di quanto sopra riportato per Montalcino. Solo che lui il DOCG lo vende tra i 6,5 e i 7,5€ a boccia. Ad occhio i conti non tornano........

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mariazzo

circa 1 mese fa - Link

Bell'articolo (anche quello originale). La cosa che ho notato negli ultimi anni, da appassionato di Brunello, è che il gap sensoriale tra Brunello e Rosso si è estremamente accorciato e mi è capitato di assaggiare brunelli che sembravano più dei rossi e dei rossi che si avvicinavano molto di più all'idea di quello che dovrebbe essere il brunello. mi domando il perché di questo...

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AG

circa 1 mese fa - Link

Concordo. Personalmente trovo la ricerca della fruttositá abbastanza fuori luogo in un Brunello

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littlewood

circa 1 mese fa - Link

Perche' alcuni produttori( in primis stella di campalto ma anche pian dell' orino o salvioni gorelli e anche altri) non hanno fatto del rosso un vino di ricaduta ma vi dedicano vigneti appositi e magari uscite tardive ( es il gescardo di fattoria del pino che oggi e' fuori col 2018) emblematico il caso di Salvioni. Tutto il vino e' atto a brunello ma una parte per problemi di spazio in cantina va' a rosso ma e' un piccolo (e neanche tanto piccolo,) brunello migliore di tanti Brunelli sicuramente! Altri fanno scelte diverse ..ma si sente eccome!

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AG

circa 1 mese fa - Link

Per non dimenticare Piero Palmucci che primo decise di produrre un Rosso da riferimento

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littlewood

circa 1 mese fa - Link

Piu' che di piero era il vino di quel genio assoluto di Giulio Gambelli. Provare anche i vecchi macioche. Pura poesia! Quello che toccava diventava oro

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AG

circa 1 mese fa - Link

La scelta di qualificare commercialmente il Rosso fu di Palmucci , Gambelli e Pignattai le mani tecniche che la misero in pratica tecnicamente. Il risultato furono vini che fino al 2010 segnarono la storia di Montalcino. Ma cmq rimaniamo un po' fuori tema

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