Alice Paillard, tecnologia e tradizione nello Champagne

di Andrea Gori

Nessuno sa veramente come mai la nonna di Alice abbia chiamato suo figlio Bruno. Con questo nome così italiano, rassicurante e deciso. Lo stesso carattere che ha Alice mentre ci guida alla scoperta della sua maison du Champagne, con grazia, rigore e naturalezza. Un impianto moderno (costruito a partire dal 1985) figlio del suo tempo, che non necessitava di chilometri di gallerie sotto terra ma un ambiente accogliente e adeguato, per far nascere i vini che Bruno aveva in mente. Vini di territorio, che riassumessero l’eccezionalità della Champagne e al contempo ne preservassero i valori di ciascun village. Condizione ancora più importante qui, perché non si possono vendere le gallerie e i chilometri scavati nel gesso, o i remuer per ottenere valore aggiunto. Una maison che nasce in quegli anni ha altro a cui pensare, che alla tradizione del lavoro manuale in Champagne.

E’ così che nel percorso circolare assistiamo alla nascita dei nuovi 2012, entrando nella nursery dove i vini provenienti dai diversi villaggi stanno fermentando, parte in legno parte in acciaio, il più possibile separati nei loro villaggi di origine. Che sono in tutto 32, per un totale di circa 40 ettari di cui oltre la metà di proprietà: una percentuale elevatissima. Tra le punti di diamante Oger, Cramant, Le Mesnil, il pinot meunier di Hautvillers, il pinot nero dalla sacra triade Verzy, Verzenay e Bouzy e uno dei più particolari, Riceys nella Côte des Bar, un gioiello per il Pinot Nero che meriterebbe sicuramente lo status di Grand Cru.

In mezzo a profumi intensi che si sprigionano e tappi che saltano (da un particolarmente irrequieto Mailly dalla Montagne) si passa dalla nursery alla sala termocondizionata a 10 gradi costanti, con pile di bottiglie a riposo prima e dopo il dégorgement e il dosaggio. Ambiente solenne e oscuro, sotto le luci al sodio che racchiude particolarità come le demi bouteille rosé, e tutti i grandi millesimi ancora in gestazione dal 2004 in avanti.

Momento di raccoglimento davanti alle gyropalette, tra le prime ad arrivare in Champagne non appena Bruno si rese conto che il confronto in limpidezza tra lavoro manuale e gyropalette fosse a favore di quest’ultima. Quindi si esce nella sala di imbottigliamento, dove sui cartoni risalta la data di degorgement delle bottiglie, elemento distintivo anche se non più esclusivo, per fortuna, della maison.

Del resto proprio dall’importanza dell’anno di sboccatura, utile per seguire l’evoluzione di una bottiglia, deriva tanto del lavoro di Paillard che ogni anno usa come vin de reserve un assemblaggio di diverse annate, e non semplici annate, in una sorta di solera evoluto che certifica e assicura lo stile Paillard di anno in anno.

Non stupisce quindi se l’assaggio verte sul Brut Premiere, in due diversi degorgement a distanza di 6 anni l’uno dall’altro, e su un Blanc de Blancs Réserve Privée, uno dei gioielli della maison che esprime tutto l’amore e la reverenza di Bruno e di Alice per lo chardonnay della Côte des Blancs, Grand Cru che può essere minoritario negli assemblaggi del Brut Premiere, ma che fa sempre avvertire la sua impronta.

Blanc de Blancs Réserve Privée
Degorgiato nel 2011, cuvée basata sull’annata 2007 più 35% vin de réserve; un multimillesimato.
Dal cuore della Côte des Blancs, tutto Grand Cru prima spremitura, Mesnil e Oger; soave, iodato, note di creta umida, tropicale; bocca delicata, mandarino – che è marchio di Oger – cremoso e soffice (solo 4,5 atmosfere, un crémant in pratica) ma con una persistenza squillante da Grand Cru in un equilibrio sublimato dal dosaggio bassissimo. 92

Brut Première
Degorgiato nel gennaio 2012, 45% pinot nero 32% chardonnay 22% pinot meunier.
Dorato succoso e candido, ampio agrumato di arancio giallo, ciclamino e zagara, pesca e ginestra, anice, vaniglia e tanta sostanza; bocca sapida e agrumata intensa. Finale ricco, freschissimo, ancora in evoluzione, molto più giovane del quadro olfattivo. Da tenere in cantina. Una visione dei 32 villaggi più dei millesimi dove lo chardonnay raggiunge elevate qualità. 86

Brut Première
Degorgiato gennaio 2006, quindi oggi lo beviamo ben 7 anni dopo la sboccatura; è sapido e iodato, arancio giallo maturo, miele, nocciola, spezie orientali e cedro candito, pane tostato, finale ricco screziato; bocca viva e vitale, con spina acida molto presente, grande bevuta che coniuga tensione e maturità. 90

Il viaggio termina nella galleria dei millesimati, dove ogni bottiglia prodotta (a partire dal 1969, quando Bruno assemblava appoggiandosi ad altre cantine e cercando il miglior vino con la sua abilità di commerciante) ha il proprio ritratto, creato da diversi artisti basandosi sul tema dell’annata su indicazione dalla maison. Dalla forza del 1973 all’eleganza naïf del 1985, fino al fiume impetuoso del 1999, è un susseguirsi di emozioni particolari, che aiutano a riflettere su un territorio benedetto dal sottosuolo gessoso e dalla storia, e che si trova ad un punto di svolta importante per il suo ruolo nel futuro del vino mondiale. E magari ogni maison avesse una nuova generazione come Alice.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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