Burlotto e Cavallotto (verticale doppia: Vigna San Giuseppe e Monvigliero)

Burlotto e Cavallotto (verticale doppia: Vigna San Giuseppe e Monvigliero)

di Daniel Barbagallo

Ci sono giornate che sembrano esistere solo per ricordarmi che – tra scazzi quotidiani, problemi da risolvere e ritmi forsennati – sono un uomo fortunato.

Ecco una di quelle.

Le Langhe sono uno dei luoghi del vino non facili per me: nonostante le sue etichette abbiano nel mio cuore un posto speciale, quando vado ho come la sensazione
che amarle non sia sufficiente per comprenderle appieno. Mi trovo eternamente diviso tra la confidenza che ho con il Barolo e la distanza che provo quando sono in quei luoghi pieni di storia. In passato, l’uva e il vino erano addirittura moneta di scambio con cui si poteva pagare la dogana.

Davanti a me ci sono Alfio Cavallotto e Fabio Alessandria delle aziende Cavallotto e Burlotto, con i quali – grazie ad un ristoratore modenese – abbiamo organizzato un incontro insieme a Roberto Petronio, caro amico ed autore per La Revue du vin de France.

In degustazione, sei annate identiche dei cru che hanno scelto per noi: Barolo Riserva Bricco Boschis Vigna San Giuseppe e Barolo Monvigliero. Questi i millesimi: 2018, 2016, 2015, 2013, 2009, 2004.

Velocissima intro. Il Barolo nasce in undici comuni e storicamente come assemblaggio di diverse parcelle. Dopo la guerra, il mercato era in mano ai commercianti che compravano uva mischiando i vari cru, al tempo utili solo per indicare la provenienza delle uve. Solo negli anni Sessanta iniziano ad assumere il loro ruolo attuale, venendo anche vinificati in singola parcella (con il nome che sarebbe poi diventato Menzioni Geografiche Aggiuntive).

Alfio Cavallotto comincia a parlare in modo pacato, con dovizia di particolari sulla storia di Castiglione Falletto (dove nasce il suo vino) e su come millenni di sedimentazione marina con vari tipi di argilla abbiano creata una punta, un “bricco” appunto, da cui prende il nome il terreno. Lui entra in azienda nel 1992 ed oggi produce circa 90.000 bottiglie cercando la massima maturità delle uve per non avere tannini erbacei e amari, facendo lunghe macerazioni e maturando i vini in botti grandi. “Il Nebbiolo deve preservare il colore e i suoi profumi, legati ai fiori e alle spezie”: nel rispetto del lavoro e del pensiero di tutti ci fa notare come, negli anni Sessanta e Settanta, sentire gusto di legno nei vini fosse considerato un difetto imperdonabile.

Fabio Alessandria racconta di come Monvigliero nel comune di Verduno sia la collina più a nord che però guarda a sud, e per una particolare conformazione del terreno difficilmente va in stress idrico dando vini di grande finezza.

Il Commendatore Giovan Battista Burlotto fu uno dei primi ad imbottigliare il suo vino e suo nonno fu l’ultimo a lavorare a grappolo intero nel 1967, pratica poi interrotta alla sua morte e ripresa nel 1982, anno in cui escono i primi vini da singola vigna. Lui, entrato in azienda nella seconda metà degli anni Novanta, fa presente come non ci siano segreti e che il suo lavoro consiste nell’aggiungere dettagli e precisone ogni anno: tante ore di lavoro e rinuncia alle uve non idonee.

Si parla sempre di cambiamento climatico legato alla viticoltura ma la quantità di grandi annate viste da queste parti negli ultimi tre lustri ci fa capire che il nebbiolo – essendo una varietà a maturazione tardiva – ha in parte beneficiato del protrarsi del caldo e della bella stagione. In passato, l’arrivo delle piogge autunnali, oggi assai meno copiose, complicava non poco qualità e completa maturazione delle uve. Tutto questo ha anche portato ad una maggiore approcciabilità dei vini in giovane età, anticipando sensibilmente la finestra di beva ottimale.

Da questa monumentale verticale doppia porto a casa qualche certezza e qualche dubbio in più. La certezza è che nel fare vino ci sono tre marcatori fondamentali su cui possiamo ragionare: la provenienza, con le varie sfumature differenti di ogni cru, la mano e lo stile di chi il vino lo fa con lo stile che lo contraddistingue, e l’annata, che mai come in una panoramica così ampia rivela quanto le condizioni climatiche influiscano sul risultato.

Il dubbio, invece e ancora una volta, è come l’incognita del tempo sia difficilmente valutabile nell’immediato e di come la stragrande quantità di ipotesi che facciamo su bevibilità, evoluzione e durata di un vino spesso e volentieri siano semplicemente aria fritta della quale ci riempiamo la bocca. Citando a metà Lucio Battisti, lo scopriremo solo bevendo.

Questa considerazione è figlia sopratutto dell’ assaggio della annata 2009, considerata molto calda eppur capace di restituire due vini brillanti per dinamismo e freschezza: il dubbio mi è quindi venuto anche sulla 2015, fortemente marcata da note calde e sulla quale prima di questa degustazione non avrei puntato più di tanto.

Mi vengono in mente le parole di un grande vigneron francese, che di fronte alle mie perplessità sui suoi 2003 invitò ad una sana cautela perché le annate calde, quando non precipitano nei primi due anni, risultano molto longeve e con il tempo la loro massa lascia spazio a grande eleganza e purezza espressiva. Con il passare degli anni ed anche oggi in questo caso devo dire che aveva ragione.

Passiamo agli assaggi. Note brevi e sintetiche per sfidare la noia, in ordine di annata.

Barolo Monvigliero, G. B. Burlotto

2018: vino di grande raffinatezza con bel frutto dolce in evidenza, tannino setoso misto a gran beva, personalmente il mio preferito del produttore.
2016: figlio di una grande annata, di quelle che mettono d’accordo tutti, è ancora compresso e necessita di distendersi, speziatura fiori secchi e radici. Si preannuncia un futuro radioso.
2015: note calde floreali a tratti mediterranee, trama tannica più densa, bocca senza grandi eccessi di alcol ma va guardato in prospettiva.
2013: impatto aromatico definito e molto ampio, tratti vegetali, balsamico e frutto ancora in buona evidenza. Bocca equilibrata e bel finale. Ottima riuscita.
2009: sottobosco piccantezza ed accenni terrosi, vino definito e risolto, in entrambe le etichette è stato la sorpresa della giornata.
2004: fitto, più d’impatto che di mobilità, ancora lunga vita ma credo che le sue caratteristiche rimarranno immutate. Ottimo per chi cerca tanta roba.

 

Barolo Riserva Bricco Boschis Vigna San Giuseppe, Cavallotto

2018: campione da botte perché ancora in maturazione, entra deciso con tannini ancora in via di risoluzione, bel frutto sul finale.
2016: nota di tabacco, rosa e frutto scuro, buon equilibrio grazie a una parte sapido-minerale che ben bilancia la ricca materia.
2015: toni caldi e balsamicità, tannino denso ma ancora duro, vino da attendere e sul quale scommetterei più di qualche denaro.
2013: spicca per verticalità e timidezza, uno dei più sussurrati, personalmente uno di quelli che ho amato di più, bellissima versione che si deve far lavorare nel bicchiere e che giova di un0apertura anticipata. Bello bello.
2009: come per Burlotto, la sorpresa della giornata. Mentolato, fogliame autunnale e ricordi di frutta scura, bocca piena ma di bello slancio.
2004: il più risolto della batteria, ogni elemento olfattivo e gustativo è al suo posto, creando un quadro di grande classicismo. Quello che immagino quando penso a un Barolo.

Al di là della piacevolezza, l’aspettò più interessante è stato toccare con mano come due vignaioli così tradizionalisti possano dare vita a vini così speculari, quasi volessero essere complementari facendo sì che l’unico modo per poter fare una scelta dovrebbe essere bere uno nei giorni pari e l’altro nei giorni dispari.

Burlotto è più approcciabile ed espressivo in giovane età, in alcune versioni addirittura gioioso con vini dal profilo confortevole e tannini sottili. Cavallotto invece ha più materia e seriosità ed una trama tannica più presente, insomma vini che si leggono meglio con l’età.

Sì, oggi sono proprio felice.

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Daniel Barbagallo

Classe 1972, di Modena, imprenditore nel tessile. Padre siciliano, madre modenese, nato in Svizzera. Adoro la Borgogna, venero Bordeaux e il mio cane si chiama Barolo. Non potrei mai vivere senza Lambrusco. Prima di dire cosa penso di un vino, mi chiedo cosa pensi lui di me. Ho sempre sete di bellezza.

4 Commenti

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Montosoli

circa 11 mesi fa - Link

Per il mio palato voto Cavallotto senza ombra di dubbio. Il Riserva Vigna San Giuseppe e uno dei 10 migliori Barolo del Mondo 🔝🔝1️⃣0️⃣0️⃣🍷😎

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Chat GPT

circa 11 mesi fa - Link

Pur leggendo con attenzione le descrizioni dei vini, al di là di alcuni passaggi oggettivamente tosti (« bocca piena ma di bello slancio », «sottobosco piccantezza », « il più risolto della batteria », « uno dei più sussurrati », “spicca per verticalità e timidezza”), quello che se ne ricava è la convinzione che una certa tecnica descrittiva, frutto di un modello stilistico trito e ritrito figlio della fantasia della penna degli autori più che della chimica dei liquidi, abbia fatto davvero il suo tempo. Vai Antonio … https://www.youtube.com/watch?v=ktshRtn668U

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gabriele

circa 11 mesi fa - Link

Gran bella degustazione! sono vini che si trovano in giro o sono ostaggio dei soliti accaparratori e speculatori?

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Vinogodi

circa 11 mesi fa - Link

...si trovano, anche se ostaggio ( Burlotto soprattutto) dei soliti accaparrarsi e speculatori... PS: i vini di Fabio sono fra i piu' poetici non solo di Langa ma anche della parte est del sistema solare ....

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