Punto e basta | Quale futuro per la viticoltura? Un documentario (preoccupante) sul tema
di Maria Rita ManciniLa cattiva notizia è che i vigneti stanno morendo. Quella buona è che forse siamo ancora in tempo per rimediare.
Sembra il trailer dell’ennesima serie Netflix su un futuro distopico: morte, cloni ed omologazione. Invece è reale. Su YouTube c’è la storia senza lieto fine, raccontata da Lilian Bérillon, che smette i panni del vivaista per mettere quelli dello youtuber freelance. Un titolo lapidario: “Un point, c’est tout!” cioè questi sono i fatti, niente da aggiungere, è tutto qui! E se le cose stanno così, questo è anche un punto di non ritorno.
Nel documentario, mescolando l’atteggiamento attivista di Greta Thunberg con i toni severi del genitore preoccupato, testimonial da jet set come Anselme e Guillaume Selosse, Peter Sisseck, Lalou Bize Leroy e Jean-Louis Chave scongiurano l’annunciata estinzione dei vini di terroir. Le vecchie vigne scompaiono perché giunte alla fine del loro ciclo vitale, mentre i vigneti moderni sono incapaci di invecchiare e vanno incontro ad un’alta mortalità dopo appena venti anni.
Se muoiono le vecchie vigne, entro la fine del secolo resteranno solo i cloni industriali: il terroir non riuscirà più a trasmettersi al vino e la varietà diventerà predominante. Non avrà nessuna importanza dove un vino sia stato prodotto. Sarà la fine dei cru. Si produrranno vini senza personalità, buoni solo per i servizi di Report. E per quanto i grandi vini siano inaccessibili ai più, è davvero deprimente il pensiero che siano destinati a diventare reperti da museo. Sapere che esistono è un po’ come leggere sui muri la scritta “Dio c’è”. Conforta e fa sognare.
A me questa trama spaventa più della trilogia de L’Esorcista, ma la visione è necessaria. Audio in francese, sottotitolato in inglese. I temi tecnici e l’estrema serietà dell’argomento forse rendono la visione a tratti un po’ pedante, ma sempre interessante. Se però non avete voglia o tempo, scegliete le parti che vi incuriosiscono. Ecco una breve sintesi dei topics trattati nel documentario (con l’indicazione del minuto) e qualche personale riflessione nata durate la visione.
Le conseguenze della selezione clonale (da 5:10)
Questa volta non possiamo inveire contro il cambiamento climatico né gridare al complotto. La situazione attuale è in (gran) parte conseguenza del produttivismo industriale e di quella ideologia novecentesca secondo cui il progresso debba necessariamente coincidere con la scelta degli individui migliori. Così si è diffusa la selezione clonale: si espiantano vecchi vigneti e, a bassi costi, se ne piantano di nuovi con viti geneticamente uguali. Tutte perfette, tutte identiche. Ricordate le immagini dei Pink Floyd in Another brick in the wall? Una interminabile fila di individui, privi di volto, marcia verso un enorme tritacarne: omologazione e standardizzazione. Delle opinioni, dei gusti e dei vini.
Le testimonianze di chi sceglie la selezione massale (7:40)
Oggi viviamo l’era dell’anticonformismo, della green economy e della retorica dei buoni propositi. Contro la sterile innovazione, c’è la tradizione. In molti sono tornati alla selezione massale. Il risultato è una vigna con un patrimonio genetico diversificato e con un differente adattamento: diversa la reazione agli eventi climatici, diversa la resistenza alle malattie, diversi i tempi di maturazione e diverse le caratteristiche del frutto. E tutti questi “diversi” si traducono in una naturale resilienza della pianta.
Vini di terroir (21:14)
La viticoltura richiede tempi lunghi. La longevità di un vigneto, ça va sans dire, è condizione essenziale per i vini di terroir, vini identitari, marcati dal luogo di origine. Nel video Anselme Selosse racconta la naturale ovvietà di questo legame: “Il vegetale ha la capacità di trascendere un luogo e renderlo non comparabile a nessun’altra produzione della stessa varietà in un altro luogo. Questo vale per il vino, per il tabacco, per il the, per il latte, per il formaggio. E’ incredibile questa capacità di trascrizione.”
Custodi di un patrimonio millenario (41:39)
I vignaioli sono custodi di questo patrimonio millenario, sono i depositari e non i proprietari. Chi coltiva la terra ha la responsabilità etica e sociale di tutelare, sviluppare la biodiversità e tramandarla alle generazioni successive. Questo ancor prima di essere un produttore di vini di qualità. Never give up! Si può reagire, si può scegliere di coltivare la biodiversità in un vigneto che sia capace non solo di resistere, ma anche di fortificarsi e migliorare nel tempo.
Niente è per sempre ma ci piace pensare che almeno lo sia la certezza di avere sempre la possibilità di versare nel calice un buon vino.
11 Commenti
marcow
circa 3 mesi fa - LinkInnanzitutto mi piace lo stile di Maria Rita Mancini. Perché riassume, e sa riassumere, il contenuto di un video che richiederebbe molto più tempo per essere compreso. A scuola si imparava anche a riassumere. Il riassunto era importante sia per accrescere le abilità cognitive e sia per misurarle. Dimmi come riassumi e ti dirò chi sei. E lo dico consapevole che alcuni miei commenti sono a volte un po' lunghi. Dire con poche parole tutto. Questo è il massimo del buon scrivere. ___ Forse non ho mai veramente capito il concetto di TERROIR. Forse perché non me lo hanno saputo spiegare. Non lo hanno saputo sintetizzare. O forse sono io che ho scarse capacità cognitive. Ma se il TERROIR dipende in massima parte dai vecchi vitigni in via di estinzione, come dice il video, cioè se dipende da fattori genetici ... allora fino ad adesso ci hanno raccontato balle sull'importanza del suolo.
RispondiMaria Rita Mancini
circa 3 mesi fa - LinkCiao Marco, ho letto con piacere il tuo commento! A proposito di terroir concordo sul fatto che sia un concetto articolato. Mi permetto di usare la definizione di chi ne sa certamente più di me: “Il terroir è un dato storico mutevole. É suolo e microclima; é vitigno e tecnica colturale” (tratto da “Non è il vino dell’enologo”, Corrado Dottori). Ma la correlazione tra terroir e vecchie vigne non sta nella genetica. La genetica sembra essere responsabile del fatto che i cloni non riescano ad invecchiare. Un longevo apparato radicale é molto più sviluppato di quello di un giovane impianto. Questo consente alla pianta di arrivare in profondità e trasmettere all’uva le caratteristiche intrinseche del suolo. Dunque il suolo ha un ruolo da protagonista, soprattutto quando una vite ha la capacità di “saperlo raccontare”.
RispondiMaurizio Gily
circa 3 mesi fa - LinkLe preoccupazioni sulla longevità dei vigneti sono condivisibili, ed è sicuramente buona pratica propagare con selezioni massali ciò che resta dei vecchi vigneti per conservare il massimo di variabilità. Lavori che in molti stiamo facendo. Ciò premesso, pensare che l'utilizzo delle selezioni clonali annulli il terroir è una luminosa baggianata. Bisognerebbe ricordare che all'origine di una varietà c'è una singola pianta, nata da un singolo seme, quindi in origine la variabilita non esiste. Poi che palle questa narrazione della selezione di ciò che è più bello come conseguenza di una immorale logica del profitto. Quando il contadino fa selezione massale quali piante sceglie, le più brutte?
RispondiMaria Rita Mancini
circa 3 mesi fa - LinkLa selezione clonale e quindi i giovani impianti di certo non annullano il terroir, ma lo esprimono in maniera meno incisiva di quanto possa farlo una vecchia vigna. Per quanto concerne la variabilità genetica, la scienza ci ha spiegato come il processo di differenziazione sia lento, continuo e naturale ed inevitabile in tutti gli esseri viventi. Infine, riguardo alla selezione delle piante migliori, è ovvio che avvenga anche nella selezione massale, proprio come avviene nella selezione naturale spiegata da Darwin. La parte “immorale” sta, a mio avviso, quando si arriva all’ossessione della perfezione e alla conseguente esclusione di tutto ciò che diverge da questo modello. Ma questo sarebbe un interessante tema di discussione in un dibattito filosofico, ancor più che enologico.
RispondiMaurizio Gily
circa 2 mesi fa - LinkSu questo concordo. Ma più che immorale tecnicamente sbagliato. Ad esempio l'ossessione sanitaria dei virologi, quando in realtà non sempre i virus delle piante fanno veramente danno alla produzione e soprattutto alla qualità. La ricerca della 'sterilità" è un'ossessione del nostro tempo, dai detersivi per la casa alla selezione delle piante.
RispondiVinogodi
circa 2 mesi fa - Link....Maurizio, scherzi vero?
Rispondimarcow
circa 3 mesi fa - LinkMaria Rita Mancini. Se qualcuno di "buona volontà" scrivesse un saggio sull'evoluzione storica del concetto di TERROIR farebbe un'opera di bene a favore dell'umanità. Ma la deve scrivere uno studioso "indipendente" che non abbia conflitti d'interesse con l'oggetto della materia da analizzare. Perché quelli rischiano di scrivere storielle.
RispondiPaolo
circa 2 mesi fa - LinkBenedetto figliolo, ancora con questo mantra della "indipendenza"? Davvero Marcow, e in che cosa consisterebbe l'indipendenza? quale la sua definizione? Uno che non c'entra o passava per caso da quelle parti? Non si comprende perché mai un perfetto indipendent dovrebbe occuparsi di, studiare, descrivere, raccontare un oggetto in cui non ha rilievo alcno. Per parlare di vino, come di papiri prealessandrini, io mi aspetto che il narratore ne sappia, sia esperto, sia frequentatore della materia, cio che NON sia indipendente, perbacco. Qualunque cosa "indipendente" stia a significare. Nel momento in cui racconti, indipendente non sei e non puoi più essere, perché è la tua autonomia e autorevolezza stessa che ti coinvolgono nell'oggetto del racconto
Rispondimarcow
circa 2 mesi fa - LinkCaro Paolo, dell'INDIPENDENZA ho fatto il mio tratto distintivo, rischiando di annoiare con questa parola :-) È fuori discussione che l'Esperto(ha molti volti, tra cui quello del critico Eno-Gastronomico) è una persona competente in materia: vale per tutte le tipologie di esperti. Ma un competente che deve valutare, recensire ecc... un prodotto (un libro, una canzone, un film, i piatti di un ristorante, un vino ecc ...) oltre ad essere competente deve essere indipendente, cioè deve svolgere la sua attività di esperto(di critico ecc...) non al servizio di chi ha prodotto e vuole vendere un film, un libro, un panettone, un vino ecc... Non valuta, non recensisce con lo scopo di favorire la vendita del libro, del panettone, del vino ecc ... È indipendente: cioè non "dipende" da chi ha prodotto e vuole vendere, cioè non fa parte del suo marketing. "Se muore l’indipendenza la critica diventa claque"
RispondiFrancesco Fabbretti
circa 2 mesi fa - LinkGrazie a tutti per gli spunti che mi avete regalato. Mi permetto di darvene in pasto uno anche io. Temo che il video (interessante, non discuto) guardi al dito e non alla luna: quando cominceremo a capire che anche il mondo vitivinicolo è parte del complesso mondo agricolo, un mondo consumato, sventrato, esaurito, ciucciato e masticato da una sfrenata urgenza capitalistica e consumistica? Quando lo capiremo che ognuno, nel suo piccolo, prima che pensare a come "mettere un toppa" nel suo "particulare" dovrebbe connettersi con una più ampia comunità per far sentire la sua voce in chiave globalmente ecologica?
RispondiAntonio
circa 2 mesi fa - LinkComplimenti a Maria Rita mancini per la profondità del post
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