Mal di vigna e suicidi: una piccola inchiesta (necessaria)

Mal di vigna e suicidi: una piccola inchiesta (necessaria)

di Massimiliano Ferrari

Quando la sostenibilità entra nelle narrazioni intorno a una bottiglia di vino, difficilmente si fa menzione di quanto la vita lavorativa di un piccolo produttore sia effettivamente sostenibile. Condizioni di lavoro in vigna, difficoltà economiche, “ansia da prestazione” e poi visite, degustazioni, fornitori da pagare, contatti commerciali, viaggi: temi che a fatica trovano spazio di discussione e verifica, sovrastati da una narrazione bucolica dominante. In realtà, gestire un’azienda vinicola non è un pranzo di gala.

L’argomento è molto articolato e merita un approfondimento necessario attingendo da diverse fonti. Andiamo per gradi.

Partenza. Due articoli lontani ma vicini

La lettura di due articoli che, pur con premesse e argomentazioni diverse, puntano nella stessa direzione, ha dato il via ad un ragionamento su temi che la stampa di settore schiva come proiettili vaganti ma che alla fine diventano una domanda secca: perché negli ultimi anni lavorare un pezzo di terra e ricavarci del vino è diventato fonte di disagio mentale fino alla scelta estrema di farla finita? I due pezzi – comparsi a un anno di distanza l’uno dall’altro – prendono le mosse dagli stessi fatti: la tragica morte di quattro vignaioli francesi che si sono tolti la vita durante la prima metà del 2021.

Il primo articolo (What can we do better? su The Circular), scritto dalla giornalista e critica inglese Wink Lorch, approfondisce la relazione che viene a crearsi fra quelli che fanno il suo mestiere e i produttori. Lorch si chiede se quello che viene scritto – cioè i giudizi, i voti spesso senza appello, ma anche le dinamiche e le aspettative, le richieste e le pretese che si creano fra il mondo giornalistico e quello produttivo – abbia un impatto negativo sulle vite dei produttori interessati e non rischi di trasformarsi in una slavina che, unita ad altri problemi e incertezze, può travolgere soggetti fragili e in difficoltà. Il suo pezzo è una lettura che tocca diversi nervi scoperti. Le domande che si pone come critica professionista in merito al suo rapporto con i vignaioli e alle possibili pressioni provocate sono un atto di onestà intellettuale che i giornalisti raramente compiono.

I più cinici ribatteranno che chi sceglie di produrre vino – come tanti altri prodotti – deve aver ben chiaro che questa dialettica fa parte del gioco e quindi diventa necessario abituarsi alle critiche dei giornalisti, alle sollecitazioni dei clienti e alle dinamiche dei mercati. Vero fino ad un certo punto. Perché rimanere a galla in un mercato a volte schizofrenico, essere costretti ad una visibilità ininterrotta per non uscire dai radar e fronteggiare gli stravolgimenti climatici – presidiando ogni giorno vigna e cantina – può diventare una corsa ad ostacoli alla quale alcuni si rifiutano di partecipare.

Il pezzo successivo, scritto da Vinka Danitza (No one left to call su Burum), riprende l’articolo di Wink Lorch e la notizia dei vignaioli suicidi per provare ad allargare lo sguardo e dare una lettura che mette insieme cultura maschile, disagio mentale e condizioni di lavoro. L’assunto iniziale è che i vignaioli si muovono all’interno di un mondo dalla forte connotazione di genere, dove sopravvivono stereotipi legati ad una cultura rurale e tradizionalista in cui il mostrarsi fragili è segno di debolezza e quindi atteggiamento da evitare. L’autrice ammette che sia difficile far risalire questi suicidi ad un’unica motivazione. Problemi economici, preoccupazioni rispetto al cambiamento climatico, logorio fisico e mentale: diversi sono gli imputati.

La situazione si è inoltre inasprita negli ultimi due anni a causa della pandemia, che ha stravolto un intero settore fra chiusure, divieti e vendite saltate. Rimane invece un fatto inconfutabile: negli ultimi anni si è visto – dalla Francia all’Australia, dal Belgio all’Argentina – aumentare il tasso di suicidi fra coltivatori. Continuare a credere che il mondo del vino, per il suo valore edonistico, ricreativo e intellettuale, possa nascondere l’altra faccia della medaglia – fatta appunto di crisi personali, problemi di salute mentale e situazioni economiche deficitarie – corrisponde alla visione ingenua e sprovveduta di chi non vuole vedere realmente come vanno le cose.

Uno spettro si aggira per l’Europa 

In Europa queste situazioni di disagio non conoscono differenze di lingua e nazionalità. In Svizzera, un esempio fra i tanti, nel 2020 si lamentava un rischio di suicidi fra gli agricoltori maggiore del 37% rispetto al resto della popolazione. Soprattutto la Francia, come abbiamo intuito in apertura, negli ultimi anni ha vissuto un escalation dei casi di suicidio fra addetti dell’agricoltura a tal punto che Le Monde nel 2019 pubblicava un pezzo dal titolo inequivocabile, “Suicidi degli agricoltori, l’ecatombe silenziosa”. I dati raccolti parlano di almeno 500 suicidi ogni anno.

Risale al novembre 2021 un piano d’azione proposto dal Ministero francese dell’Agricoltura e dell’Alimentazione per venire in soccorso degli agricoltori che si trovano in contesti di disagio psicologico ed economico. Sempre in Francia è estesa la rete di associazioni e organizzazioni- Solidarité Paysans una tra le tante – che si occupano di salvaguardare le vite e il lavoro dei contadini francesi da difficoltà di ordine economico e finanziarie ma anche dal malessere lavorativo.

È emblematica in questo senso la lettera aperta che Quentin Bourse, produttore biologico della Valle della Loira, nel febbraio di quest’anno ha inviato al presidente francese Macron. È emblematica perché ci dà un’idea concreta di quali possano essere le cause di un tale contesto critico. A seguito di forti danni avuti da avversità climatiche, il vigneron francese ha visto aumentare nel giro di un anno il proprio premio assicurativo dai 25.000 del 2021 ai 48.000 dell’anno successivo. Per una piccola azienda come la sua, la scelta è stata fra cessare l’attività e rinunciare all’assicurazione (con conseguenze facilmente immaginabili). Il rischio economico, le difficoltà finanziarie e una burocrazia spesso soverchiante sono all’origine della condizione problematica in cui arrivano a trovarsi produttori di vino impegnati in un lavoro agricolo dalle poche tutele.

Uno sguardo all’Italia

Tentare di calare queste tematiche all’interno del contesto italiano non è un compito facile. Nel nostro paese l’atteggiamento verso chi soffre di disturbi dell’umore come la depressione è ancora influenzato da false credenze che la vedono come una condotta quasi da stigmatizzare piuttosto che una patologia da curare. Queste posizioni sono ulteriormente esacerbate in contesti più tradizionalisti come il mondo agricolo. Ma il fenomeno è tutt’altro che sommerso. In un articolo apparso su Agrifoodtoday dello scorso dicembre si cita uno studio dell’Istituto Nazionale delle Statistiche in cui veniva riportato che nel periodo fra il 2012 e il 2017 sono stati rilevati 559 casi di suicidio che hanno visto coinvolti soggetti che operano nei settori dell’agricoltura, della pesca, della silvicoltura e della caccia.

Per tentare di capire se e in che modo il mondo vitivinicolo è toccato da queste problematiche ho raccolto telefonicamente alcune riflessioni di Corrado Dottori, produttore naturale, pensatore critico e autore.

Corrado Dottori

Io credo che una parte del problema sia da individuare nella trasformazione identitaria che ha vissuto chi produce vino a un livello artigianale. Fino a qualche decennio fa, la figura del vignaiolo come la intendiamo oggi non esisteva o comunque era percepita in un modo del tutto diverso. Oggi siamo arrivati ad un punto in cui il vigneron è quasi idolatrato, sembriamo delle rockstar contemporanee. Il problema è che poi, in un modo o in un altro, bisogna cercare di mantenersi all’altezza di queste aspettative e tanti alla lunga cedono. Social, eventi continui, degustazioni, guide. Ogni giorno c’è l’urgenza e la necessità di doverci essere e questo alla lunga su alcuni può avere un effetto devastante.

La realtà dei fatti spesso è in forte discontinuità rispetto al modo in cui il lavoro di un vignaiolo viene mostrato attraverso i diversi mezzi di comunicazione. Spesso viene narrata solo una faccia della medaglia, quella più appetibile. A non trovare spazio sono la difficoltà di far tornare i conti, la minaccia ormai inarrestabile rappresentata dal cambiamento climatico e le mille incombenze quotidiane a cui spesso una singola persona non riesce a dare seguito.

Purtroppo questo lavoro ti porta a non staccare mai. Anche quando hai finito il tuo impegno quotidiano, tu sei sempre lì con la testa. Conosco colleghi che, durante l’anno, non riescono a prendersi una pausa, una vacanza di qualche giorno. Hanno un atteggiamento quasi morboso. D’altra parte, oggi lavorare una vigna non si limita solo alla produzione del tuo vino. Quando hai finito in vigna devi vestire i panni del commerciale di te stesso per venderlo, devi accogliere i visitatori e i clienti, devi gestire un’azienda e quindi tutta la burocrazia che ci sta dietro e in tanti casi tutti questi ruoli fanno capo ad una persona sola. Non mi stupisco quindi se esistono casi di burnout. 

Durante la chiacchierata, Dottori mi fa un parallelo con il mondo della ristorazione e con i diversi casi di esaurimento e di suicidio occorsi anche fra le fila degli chef stellati. Con l’attenzione cresciuta in modo inverosimile verso l’alta cucina negli ultimi anni, con le pressioni per mantenere una stella e la tensione per tenere a galla la propria attività, il paragone calza perfettamente.

Cercare di avere una visione delle condizioni di chi produce vino nel nostro paese è una sfida proibitiva. Reperire risorse online è un compito scoraggiante. Pochissime notizie e dati a riguardo. Ho provato quindi a rivolgermi alla FIVI, la più numerosa e influente associazione indipendente di vignaioli italiani, per avere un quadro più completo. Qui di seguito le risposte a due domande che ho girato al presidente Lorenzo Cesconi.

Lorenzo Cesconi

All’interno della Fivi, nel corso degli anni, è emersa la percezione che fra i vignaioli associati esistano situazioni di disagio psicologico, stress emotivo o logorio fisico e mentale direttamente collegabili all’attività produttiva?

Sicuramente questi ultimi anni hanno concentrato una serie di emergenze e criticità alle quali non eravamo abituati. La pandemia ci ha messi di fronte al blocco di importanti canali di vendita e alla chiusura di flussi internazionali, i cambiamenti climatici ci fanno affrontare stagioni sempre più imprevedibili, e ora il combinato di inflazione e aumento dei tassi porta nuove preoccupazioni e colora a tinte fosche il prossimo futuro. È innegabile che tutto questo pesi sulla fiducia di chi fa impresa, e che quindi aumenti lo stress. Non sono però del tutto persuaso che i produttori di vino incontrino nel loro lavoro fattori di stress molto diversi e peggiori di quelli di altri imprenditori. Certamente i vignaioli vivono una variabile, quella meteorologica, che non è così impattante su altri settori produttivi. Ma possono contare su fondamentali solidi di cui altre forme di impresa non beneficiano come la terra su cui lavorano. Anche il tema del logorio fisico è certamente importante, ma credo che siano già stati fatti molti passi avanti rispetto alle generazioni precedenti, figlie di una cultura del lavoro che spesso coincideva con l’autosfruttamento: i nuovi imprenditori agricoli, i nuovi vignaioli, credo abbiano molta più consapevolezza di quanto sia importante non solo diversificare le proprie competenze e investire su di esse, ma anche distribuire meglio i carichi di lavoro nell’ambito dell’organizzazione aziendale. 

Pensate che esista una reticenza nel settore vinicolo nel trattare ed esporre temi come il disagio mentale, la depressione o lo stress psicologico e che di conseguenza ci sia anche una riluttanza nell’ammettere e affrontare problemi di questo tipo?

Ripeto, non credo ci sia una specificità negativa del mondo vitivinicolo. Di certo scontiamo alcuni limiti che sono propri di tutto il sistema delle piccole e medie imprese: per dimensioni e modello organizzativo, non sempre sono luoghi di lavoro nei quali è facile far emergere – ancora prima di saper affrontare – le condizioni di malessere e disagio. Le aziende agricole sono spesso a conduzione familiare, con gli inevitabili risvolti positivi e negativi: da un lato i legami forti tra parenti sono fondamentali per superare i momenti difficili, nei quali la solidarietà è un elemento necessario; dall’altro però possono creare tensioni, quando il tempo di vita e quello di lavoro finiscono per diventare un tutt’uno senza soluzione di continuità. Insomma, non sono convinto che il mondo vitivinicolo e agricolo in generale abbiano più problemi di altri settori, non credo ci sia un problema culturale specifico da trattare.

A colloquio con Vinka Danitza

Per avere un quadro che possa dare idea della percezione dei temi trattati al di fuori dei confini europei, ho sottoposto qualche interrogativo a Vinka Danitza, autrice di uno dei pezzi citati in apertura, PhD candidate in Sustainable (Wine) Tourism e consulente di wine tourism. Ecco le sue risposte.

Quanto il cambiamento di status del produttore – da attore agricolo a figura idolatrata e mainstream – ha influenzato l’aumento dello stress e della pressione a cui sono sottoposti oggi i produttori?

Questa è una domanda interessante intorno ad un tema al quale mi piacerebbe dedicare maggiore ricerca, perché certamente sembra ci sia stato un cambiamento nella percezione dei vignaioli ma credo riguardi alcune regioni in particolare o precisi segmenti del mercato, soprattutto quelli premium. Da un lato nei media dedicati al vino, sui siti web delle cantine o solo parlando con i coltivatori, c’è una rivendicazione della parola “agricoltore” come se l’identificazione con questo termine dia maggior prestigio rispetto a viticoltore, enologo e agronomo. Tuttavia ho l’impressione che questa presa di posizione non valga per chi lavora in zone meno prestigiose o produca vini generici. Quindi è interessante notare come questa identità stia cambiando per alcuni e non per altri. Per rispondere alla tua domanda, sono convinta che un vignaiolo che vive sulla propria pelle una tale trasformazione possa subire maggiore pressione e stress.

Secondo la tua esperienza e le tue ricerche, quali potrebbero essere le soluzioni per cercare di dare sollievo agli agricoltori e ai viticoltori che soffrono di patologie derivanti dal loro lavoro? 

Sulla base della ricerca che ho fatto per l’articolo, ci sono ricercatori, accademici e studiosi che stanno insistendo per ottenere più politiche pubbliche e l’intervento del governo nelle comunità agricole, per sostenere gli agricoltori in difficoltà. Nell’articolo Responses to adversity faced by farming men: a gender-transformative analysis, gli autori hanno osservato che “le avversità affrontate dagli agricoltori vengono vissute come un loro problema personale di adattamento e non è garantita alcuna responsabilità delle istituzioni sociali e politiche.” Certamente le pressioni dell’agricoltura sono aumentate notevolmente negli ultimi decenni e il sostegno del governo è diminuito. Si tratta quindi soprattutto di un problema governativo che va considerato come tale. A livello comunitario, alcune ricerche hanno indicato che ci sono molte organizzazioni di base che stanno già intraprendendo azioni per aiutare gli agricoltori, offrire servizi di consulenza, controllare per assicurarsi che stiano bene. Desidero sottolineare che la maggior parte delle ricerche e degli articoli che ho consultato, nonostante i viticoltori fossero citati, erano rivolti agli agricoltori in generale, non specificamente all’industria vinicola o ai produttori di vino. 

Dal tuo punto di vista, la stampa di settore potrebbe fare qualcosa di più per aiutare questi produttori in difficoltà?

È difficile rispondere perché vorrei dire sì, possono fare di più, ma come dovrebbe essere questo aiuto? E chi o quale organizzazione ha le possibilità per farlo? Sicuramente penso che all’interno delle denominazioni d’origine si potrebbe iniziare a discutere di come questa tendenza al suicidio fra gli agricoltori sia in aumento e come sta interessando anche i viticoltori e nel caso mettere insieme una campagna che sensibilizzi ai problemi di salute mentale nelle regioni viticole. Potrebbero anche offrire strumenti di aiuto, sessioni di consulenza di gruppo o persino trovare un modo per portare più professionisti della salute mentale in queste aree rurali.
Per quanto riguarda la stampa del settore vitivinicolo, credo che stia prendendo coscienza che la salute mentale è una questione centrale nel dibattito e che si debba trovare il modo di parlare, scrivere e comunicare su di essa in un modo che non etichetti qualcuno come debole, malato, fragile o disturbato. Dobbiamo anche essere consapevoli degli stereotipi che vengono usati per descrivere gli agricoltori come stoici, forti e che rendono riluttanti questi uomini a cercare aiuto quando ne hanno bisogno. Un altro fattore su cui la stampa potrebbe indagare è come alcuni eventi di protesta, penso alle azioni del CRAV (Comité Régional d’Action Viticole) nei primi anni 2000 e nel 2016, possano essere espressioni della difficile gestione dello stress. La stampa li ha chiamati terroristi del vino, sì hanno sabotato, distrutto e gettato bombe, ma quando ci si trova a non sapere come reggere situazioni critiche e problemi personali tutto questo porta le persone a reagire in modi violenti e distruttivi.

Credi la pandemia da Covid 19 abbia intensificato questi problemi?

Sì penso che abbia influito ma non ho condotto nessuna ricerca a riguardo. Ho letto però che alcuni fra i vignerons francesi che si sono tolti la vita avevano contratto il coronavirus con la conseguente perdita di gusto e olfatto, questo generò in loro forte stress e preoccupazione anche alla luce dell’ostacolo che poteva derivare per il lavoro. Ma basta questo perché un individuo scelga di uccidersi? Forse, non lo so. Credo che le cause siano molteplici in questa tendenza riscontrata e non siano solo riconducibili al Covid. In ogni caso, penso che approfondire queste tematiche richieda ricerca e attenzione soprattutto per evidenziare cosa non va fra i viticoltori.


I temi affrontati sono complessi, ognuno è contraddistinto da cause diverse e vissuto in maniera differente. Così come ogni caso di suicidio è unico e meritevole di essere trattato come tale. Ad emergere, a mio avviso, è l’esistenza – in Italia ma non solo – di una realtà vinicola fatta di piccole aziende, spesso a conduzione familiare o addirittura gestite singolarmente, che vive questi anni in maniera pericolante, assediata ogni giorno da pressioni e stimoli che in molti casi diventano di difficile gestione.

Nel caso dell’Italia, la cultura del vino è parte della nostra stessa identità e quindi la salvaguardia del patrimonio vitivinicolo è un imperativo categorico. Ma alla tutela di queste peculiarità dovrebbe seguire un’altrettanto vigile tutela di chi se ne occupa ma spesso non succede. Auspicare un mondo del vino sano e virtuoso significa creare le condizioni perché quel mondo sia capace di accettare e aiutare chi si sente sconfitto, chi sia sopraffatto dal male di vivere o rischi di cadere in un abisso.

Probabilmente, documentare una depressione e un disagio mentale può diventare utile quanto premiare un vino nella prossima guida.

[Credits foto cover: Massimiliano Cricco. Foto Dottori: Decanto. Foto Cesconi: Mauro Fermariello – Winestories]

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Massimiliano Ferrari

Diviso fra pianura padana e alpi trentine, il vino per troppo tempo è quello che macchia le tovaglie alla domenica. Studi in editoria e comunicazione a Parma e poi Urbino. Bevo per anni senza arte né parte, poi la bottiglia giusta e la folgorazione. Da lì corsi AIS, ALMA e ora WSET. Imbrattacarte per quotidiani di provincia e piccoli editori prima, poi rappresentante e libero professionista. Domani chissà. Ah, ho fatto anche il sommelier in un ristorante stellato giusto il tempo per capire che preferivo berli i vini piuttosto che servirli.

37 Commenti

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Lorenzo

circa 2 anni fa - Link

Mentre leggevo le prime righe ho pensato subito al collegamento fra i vignaioli e gli chef stellati, scorrendo l'articolo e trovando le dichiarazioni di Corrado Dottori ho avuto la conferma che i problemi delle due categorie sono pressochè assimilabili. Siamo in un'epoca dove da una parte c'è maggiore consapevolezza dei problemi causati dallo stress lavorativo e dell'altra parte ci sono professioni che portano all'accumulo di maggiore stress rispetto ad alcuni decenni fa. Un grande balzo di civiltà dovrebbe essere regolarizzare anche gli orari di chi lavora in proprio, ma da lavoratore autonomo sono consapevole del fatto che sia pura utopia, ma il salto di qualità nella vita degli autonomi/piccoli imprenditori può avvenire solo smettendo di lavorare 12 ore al giorno, sette giorni su sette.

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Paolo Cianferoni

circa 2 anni fa - Link

Confermo tutte le considerazioni sopra riportate. Pensieri suicidi sono abituali, sopratutto perché è difficile staccare da una ruota sempre più grande di burocrazia, computer, folle di persone, distruzioni e impegni che provocano un difficile reset mentale. Reset che dovrebbe avvenire con le vacanze, ma che il vignaiolo difficilmente può permettersi perché i tempi della natura in vigna e in cantina e commerciali sono sempre presenti ogni giorno, senza tregua. L’unico appiglio è ricevere ogni tanto riconoscimenti che aiutano a ripagare i sacrifici.

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Lanegano

circa 2 anni fa - Link

Tra le cose migliori mai pubblicate su questo blog.

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Massimiliano Ferrari

circa 2 anni fa - Link

Addirittura, grazie comunque!

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Vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...fa riflettere. Per cui obiettivo centrato...

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Giacomo

circa 2 anni fa - Link

Perché non aiutare anche i viticoltori con una sostanziosa pac come x gli altri agricoltori.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 2 anni fa - Link

Mah, forse sono costituzionalmente insensibile, ma i punteggi sulle guide e sui giornali, gli eventi o i colloqui con giornalisti, agenti e clienti non mi hanno mai turbato o depresso. Proprio no. È lavoro, tutto qui. Mi hanno tante volte selezionato per la Wine Experience di Wine Spectator, qualche volta no, e allora? Mio figlio malato all’ospedale mi ha fatto tremare e quando è morto mio padre non riuscivo a smettere di piangere, ma perché dovrei farmi turbare dal giudizio di un giornalista? Non capisco. Ragazzi, la vita è le persone che amiamo o la comunità a cui siamo legati, non uno stupido punteggio o una siccità che mi fa perdere un’anno di lavoro. A questi si rimedia, alla perdita di una persona cara no. Tornate sulla terra.

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Massimiliano Ferrari

circa 2 anni fa - Link

Credo che ti sfugga il senso di quanto scritto o, per tua sfortuna, non abbia inteso il contenuto del post. Non si tratta (solo) di turbamenti dovuti al giudizio di un giornalista o sonno perso per un punteggio. Si tratta di persone che, a fronte di crisi personali dovute a criticità economiche o stress psicologico, non hanno le forze necessarie per andare avanti. Chi ha la sfortuna di essere costituzionalmente sensibile a questi disagi rischia di non saper rimediare a un mutuo da pagare o a una siccità rovinosa.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 2 anni fa - Link

Non voglio sembrare insensibile, ma le catastrofi esistono e nessuno ne é immune. Noi viticoltori ne abbiamo, come tutti, e il momento non è dei più facili. Però, avendo in vita mia fatto anche altri mestieri, non direi che quello della vite sia il peggiore o il più stressante, tutt’altro. Forse sarebbe un filo più sensato tornare a gradire il piacere di un lavoro a contatto con la natura, fatto in luoghi bellissimi e spesso a contatto con persone straordinarie. C’è molto di bello nel fare il vino, pur in presenza dei mutui e dello stress .

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...concordo : esistono mestieri altrettanto stressanti , anzi , più stressanti senza essere oggetto di inchieste su stati di depressione oppure suicidi . Qualsiasi attività imprenditoriale , al netto della facciata legata al ritorno economico, comporta stress continui e ripetuti . Non parliamo dell'attività manageriale/dirigenziale. Nei tantissimi ( ma tantissimi , tanto da essere cifra statisticamente significativa ) amici/conoscenti produttori/vignerons , non rilevo stati di ansia così marcati, anzi . Quando mi vedono stressato per il mio lavoro , miniera inesauribile di stati di disagio psicologico, mi invitano qualche giorno in azienda agricola a riposarmi dando loro una mano ...

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Emanuele

circa 2 anni fa - Link

Complimenti grazie, ottimo articolo. Certamente fa riflettere sul sistema che ci siamo creati, che riesce a trasformare uno dei lavori più belli (come dice bene Stefano Cinelli Colombini, contatto con la natura, luoghi stupendi e via così…) in un incubo. Cmq dai già parlarne fa un po’ sgonfiare la pressione, o almeno speriamo!

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Lanegano

circa 2 anni fa - Link

Mah. Credo che oggi la pressione psicologica a cui è sottoposto l'uomo medio europeo che non è, ad esempio, amministratore delegato di una ditta di armamenti o farmaceutica sia davvero molto forte. So che è un paradosso visto che, ad oggi, siamo tra le zone con maggior benessere del globo e abbiamo una quantità di beni superflui impressionante. Eppure, vuoi lo shock da pandemia, vuoi il timore di una guerra totale, vuoi lo spettro della recessione nonchè l'idea indotta di essere super performante e l'eventuale onta del fallimento professionale e personale temo che inducano molte persone ad essere terribilmente fragili. D'altronde se il consumo di farmaci per i disturbi dell'umore aumenta esponenzialmente, un motivo ci sarà....

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Paolo Cianferoni

circa 2 anni fa - Link

Confermo che i farmaci (o droga legalizzata?) più venduti superano di gran lunga gli antibiotici da diversi anni. Il proverbio recita: mai prendere le croci degli altri. Se poi uno è capace di essere sereno e senza stress sul lavoro come Stefano Colombini allora io dico Chapeau!

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franco

circa 2 anni fa - Link

"A far cambio ci si rimette"

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Lorenzo

circa 2 anni fa - Link

Il discorso del riguardo nei confronti della salute anche mentale degli agricoltori, a parere personale merita di essere approfondito in più direzioni. Oltre ad essere attirati dai premi, quindi il dover fare bene per conseguirli e continuare ad avere il supporto della stampa, i produttori vengono tirati alla giacca anche dai consumatori che vogliono una certa tipologia di prodotto. E mi spiego meglio. Faccio riferimento al mondo del bio, quello che il consumatore ignaro di ciò che significhi, richiede per autocompiacersi. Ma questo significa passare ancora più tempo in vigna, con la testa bassa che inizia a prendere deviazioni, immaginiamoci in annate difficili. Ma al consumatore della persona cazzo gliene frega? Più fai stare gli agricoltori chiusi in vigna e peggio è, siano premi, sia mercato, sia qualunque cosa. In generale trovo l'intervento del presidente fivi distaccato dalla realtà, come i produttori che dicono sempre "anche questa è una grande annata". Non conosco bene tutte le zone d'Italia, ma vi assicuro che in una buona fetta della mia regione, c'è ancora molto da fare riguardo il miglioramento della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro in ambito agricolo. Lo dico con cognizione di causa, essendo un professionista del settore. E non è un problema che riguarda solo la mia regione. I commenti all' articolo che dicono "nell'agricoltura non c'è stress" li trovo troppo semplici: fidatevi che io agricoltore orgoglioso vengo a dirvi che ho problemi di salute mentale, o che me ne accorgo. Infine chi scrive che la perdita di un annata non cambia niente, probabilmente non è nei panni di piccoli vignaioli, dato che perdite di una o due annate consecutive cambiano completamente la vita. Perdonate il pippone

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Enrico Togni

circa 2 anni fa - Link

Io ho cominciato un percorso con una terapeuta, l'ho fatto perché chi mi vuole bene ha capito che qualcosa non andava e stavo oltrepassando la linea. Se qualcuno vive la stessa cosa lo esorto a farsi aiutare, senza vergognarsene e senza lesinare sui costi. Ne va della nostra salute e, quindi, della nostra vita personale e lavorativa.

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Massimiliano Ferrari

circa 2 anni fa - Link

Il fatto che questa testimonianza onesta provenga da un produttore dà credito a quanto scritto nel pezzo, a dispetto di alcuni commenti sbilenchi che vedono questi problemi come i lamenti di qualche agricoltore con poco senso della realtà.

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D Lorenzo

circa 2 anni fa - Link

Il discorso del riguardo nei confronti della salute anche mentale degli agricoltori, a parere personale merita di essere approfondito in più direzioni. Oltre ad essere attirati dai premi, quindi il dover fare bene per conseguirli e continuare ad avere il supporto della stampa, i produttori vengono tirati alla giacca anche dai consumatori che vogliono una certa tipologia di prodotto. E mi spiego meglio. Faccio riferimento al mondo del bio, quello che il consumatore ignaro di ciò che significhi, richiede per autocompiacersi. Ma questo significa passare ancora più tempo in vigna, con la testa bassa che inizia a prendere deviazioni, immaginiamoci in annate difficili. Ma al consumatore della persona cazzo gliene frega? Più fai stare gli agricoltori chiusi in vigna e peggio è, siano premi, sia mercato, sia qualunque cosa. In generale trovo l'intervento del presidente fivi distaccato dalla realtà, come i produttori che dicono sempre "anche questa è una grande annata". Non conosco bene tutte le zone d'Italia, ma vi assicuro che in una buona fetta della mia regione, c'è ancora molto da fare riguardo il miglioramento della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro in ambito agricolo. Lo dico con cognizione di causa, essendo un professionista del settore. E non è un problema che riguarda solo la mia regione. I commenti all' articolo che dicono "nell'agricoltura non c'è stress" li trovo troppo semplici: fidatevi che io agricoltore orgoglioso vengo a dirvi che ho problemi di salute mentale, o che me ne accorgo. Infine chi scrive che la perdita di un annata non cambia niente, probabilmente non è nei panni di piccoli vignaioli, dato che perdite di una o due annate consecutive cambiano completamente la vita. Perdonate il pippone

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Vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...mah...

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Samuele

circa 2 anni fa - Link

Fare il piccolo vignaiolo non è facile e non è vero che è sfessante come ogni altro lavoro. Io lavoro praticamente da solo con 2 ettari di vigneto; potature, trattamenti, taglio erba e poi la cantina. Mi sono fatto e mi faccio il culo ogni giorno, mi sono preso le mie soddisfazioni ma la mia azienda vive ancora sul filo de rasoio, dopo 20 anni sto cercando stimoli per non mollare. Dopo aver lavorato ricevo gli ospiti, faccio il commerciale, pago e mi faccio pagare, vado alle fiere e se devo vado all’estero. Il Covid come ciliegina mi ha distrutto la piccola rete commerciale che avevo ed ho ricominciato da capo. Lasciamo perdere l’importanza di esse presenti sui social perché quello è un altro lavoro che sta a latere ma che va fatto anche con un certo impegno. No, fare il vignaiolo in piccolo, non è facile per niente e ogni tanto lo sconforto ti prende.

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...con tutta la solidarietà per i problemi legati all'agricoltura vitivinicola , faccio davvero fatica a comprendere ( o generalizzare) uno stato di cose così drammatico . Solo nel paese dove abito ( 20.000 abitanti o poco più) ci sono stati nell'ultimo anno 5 suicidi che hanno creato scalpore : un noto imprenditore con oggettivi problemi finanziari , un impiegato di banca colpito da depressione , una studentessa causa sexting , una neo mamma per problemi psicologici post partum , un anziano che ha perso l'adorata moglie per un male incurabile e non ha resistito alla solitudine dopo decenni di amorevole convivenza . Ogni dramma mi crea una riflessione personale fra il filosofico e lo spirito di immedesimazione . Forse nel mondo del vino la visibilità è maggiore e fa più presa verso una platea di appassionati , ma davvero non mi sembra il caso di affrontare una problematica del genere in un contesto quale un blog di discussione sul vino sottintendendo generalizzazioni quantomeno azzardate ed equazioni davvero ardite , come lavoro da vigneron = mestiere usurante o a rischio salute mentale . Suvvia...

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Enrico Togni

circa 2 anni fa - Link

Posto cosí il commento non serve a nulla, sarebbe servito per generalizzare un malessere che é della societá moderna e che forse accompagna l'uomo da sempre. Il post non evidenzia nessuna equazione, il post mette in luce un problema che c'è e parlarne, affrontarlo, é il primo passo. Poi ognuno élibero di fare quello che vuole, co nn preso fare spallucce e voltarsi dall'altra parte, tanto non lo riguarda

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D Lorenzo

circa 2 anni fa - Link

Affermare che il lavoro in vigna sia esente da stress lavoro correlato è un salto indietro di almeno 11 anni ( dato che in Italia dal 2011, è obbligatoria questa valutazione per tutte le tipologie di aziende). Vado sul tecnico e cito qualche indicatore in uso per valutare rischio SLC: ferie non godute, rotazione del personale, turnover, carico/ritmo di lavoro, orario di lavoro etc. Già tra i commenti ci sono due segnalazioni di vignaioli che fanno delle ammissioni ( lasciando perdere il mio precedente, se dall'altra parte vuole essere considerata un opinione personale da tralasciare). E queste sono più importanti di quelle che provengono da chi non è un vignaiolo.

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Massimiliano Ferrari

circa 2 anni fa - Link

Sarei curioso di sapere quale sarebbe il contesto ideale per parlare di una problematica che investe produttori e vignaioli e, in misura maggiore, lavoranti impegnati nel mondo agricolo se non un blog di discussione intorno al mondo del vino? Forum del cucito? O giornale della parrocchia? Problematica attestata da numeri non da opinioni e supposizioni, quasi un centinaio di morti in Italia fra il 2012 e il 2017 e quasi 500 suicidi in Francia nel 2019, senza allargare il campo ad altri contesti europei. Qui non è stata fatta nessuna generalizzazione né espressa alcuna equazione; semplicemente si è dato cronaca e visibilità ad un fenomeno che esiste, poi si è liberi di continuare a pensare che la realtà del vino si esaurisca nel postare foto di Krug e DRC e credere di vivere nel migliore dei mondi possibili.

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...Massimiliano , dal tuo intervento comprendo di non essermi spiegato per nulla bene , poi lascia perdere le scemate come la conclusione piccata della tua ultima frase che tento di farmela rimbalzare ( Cito: " ....poi si è liberi di continuare a pensare che la realtà del vino si esaurisca nel postare foto di Krug e DRC e credere di vivere nel migliore dei mondi possibili ...") . Ritengo la situazione di disagio espressa nell'articolo non generalizzabile ( potrei portare statistiche di felicità non presunte ma reali fra i viticoltori? Si. ) . La crisi personale sono certo derivi da fattori economici contingenti oppure da un mancato calcolo di costi - benefici che questa forma imprenditoriale comporta. Come per quella dei ristoratori ( dove ritmi e risultati economici portano non solo frequentemente a stati di depressione , ma proprio a stress psicofisici pazzeschi , dove assunzione di sostanze psicotrope sono all'ordine del giorno) . Ribadisco , allargo lo spettro di attenzione a una pletora infinita di attività imprenditoriali o manageriali dove lo stress è continuo e comporta situazioni aberranti dal punto di vista psicologico , in quanto la propria "presunta" esistenza professionale è legata esclusivamente ad un risultato economico . Quello che critico è proprio la lente d'ingrandimento su quello che ritengo un falso problema e una errata generalizzazione in un ambito, quello della agricoltura legata alla vite . Un conto è la fatica del mondo agricolo , un conto è lo stress insostenibile che porta al suicidio . Nell'ultimo caso l'aspetto psicologico travalica lo standard e si sposta sul patologico , quindi da considerare come tale . Se insostenibile , fai qualcos'altro e te ne fai una ragione che questa che hai scelto non è la tua ragion d'essere professionale e di vita...

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D Lorenzo

circa 2 anni fa - Link

"Se insostenibile , fai qualcos’altro e te ne fai una ragione che questa che hai scelto non è la tua ragion d’essere professionale e di vita…" quanta indifferenza e distacco dalla realtà in un solo periodo. Altro che spirito di immedesimazione! P.s: le statistiche si creano in un modo ben preciso, non secondo riflessioni filosofeggianti, e non secondo le proprie presunte conoscenze.

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...D Lorenzo , qui entriamo però nella polemica pura , quindi accetto pure la tua lectio magistralis su come si creano in maniera precisa le statistiche e farò mea culpa e ammenda sull'ignoranza che mi contraddistingue sulla materia. . Il fatto che 500 operatori del settore agricolo si siano tolti la vita , secondo la statistica di Agrifoodtoday , mi fa riflettere , senz'altro : quindi significa , estrapolando il dato , che l'agricoltura o , peggio , il coltivare la vite ed essere produttore di vino è una scommessa imprenditoriale che esaspera oltre ogni limite la sostenibilità dell'impegno a livello psicofisico tanto da portare a conseguenze estreme? Non ho dati di riferimento quantitativi rispetto al totale . E se ti dico che a Parma , cittadina di 155.000 abitanti , ci sono stati nel 2020 12 suicidi fra imprenditori/artigiani/liberi professionisti , e che rapportati al totale del sistema Italia rappresentasse una cifra da brividi? Quindi l'imprenditoria in generale è da sostenere mandando tutti da qualcuno veramente bravo a farsi vedere o supportare? Io credo che lo stress che porta a gesti estremi risieda anche nella fragilità psicologica della persona , senza parlare di patologia conclamata e svilente per la persona stessa. Non è essere né freddi né distaccati , né indifferenti se non me la sento di valutare la categoria dei lavoratori agricoli come categoria a rischio - suicidio . Inoltre, mi collego al bell'articolo che evidenziava lo sfruttamento della manodopera in condizioni animali che alcuni operatori agricoli perpetrano ... andiamo a vedere quei poveracci , quelli si , a rischio disperazione ... senza entrare nella categoria dei manager in continua iperpressione , oppure di chi lotta quotidianamente per sbarcare il lunario , oggi più che mai , con padri di famiglia che lottano con il contingente per tirare avanti la famiglai ... e alla fine del mese quelli si sono disperati e in preda all'angoscia. La la statistica dei vignerons disperati fino ad arrivare al suicidio? Ribadisco che è una generalzzazione che non accetto , perchè per quanto ci siano lavoratori della terra in crisi economica , ce ne sono tantissimi che fino a 40 anni fa andavano in Panda 4 x 4 e svendevano le uve alle grosse realtà vitivinicole ed oggi girano in Cayenne e SUV per le vie di Langa e di Borgogna... vedi? Anche io so generalizzare , anche se so per certo che non tutte le realtà sono come quelle che descrivo...

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marcow

circa 2 anni fa - Link

A che servono i DIBATTITI Pubblici? A Confrontare Opinioni Diverse. ----- Se fossero tutte Eguali il dibattito non avrebbe senso. Non serve a nulla. O meglio serve a trovare Conferme alle proprie Convinzioni, ai propri Pregiudizi e Stereotipi ecc ... Infatti è un boom di Echo Chambers sul Web. ------- Per concludere da lettore affezionato a Intravino ho intravisto nei vari commenti dei punti che condivido. E questi punti, questi argomenti, queste opinioni si trovano distribuiti in Vari Commenti tra loro anche contrastanti. ----- Il DIBATTITO, quello Vero, quello fatto da Opinioni Diverse che si Confrontano ... stimola la Riflessione...nel lettore. E non è poco. Se pensiamo che lo scopo principale di molti media( dalla TV al web, social compresi) è quello di DISTRARRE. E di Rincogl....re. Vero che siamo tutti rinchiusi in una bolla informativa in cui ci specchiamo ma temo sia altrettanto da sfuggire l'idea che ci si possa confrontare con chiunque e ovunque, perché non è così a partire da un blog in cui ci sono molti aficionados. Argomenti come questo sarebbero già delicati de visu tra gente che si conosce, lo diventano ancor di più a distanza con interlocutori di cui non si conosce nulla. Questo ci invita sempre a pesare le parole, non personalizzare le discussioni e tenere a mente tutti i sani principi per una decente conversazione online. [a.m.]

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D Lorenzo

circa 2 anni fa - Link

Al mio paese una persona diceva "Quando ho ragione sto zitto, faccio polemica quando non ho ragione". Ed è quello che stai facendo tu buttandola in caciara. Ho citato più su qualcosa di importante riguardo la valutazione dello stress correlato in agricoltura. "Quindi l’imprenditoria in generale è da sostenere mandando tutti da qualcuno veramente bravo a farsi vedere o supportare?". Chi nel 2022 scrive frasi del genere è davvero da lectio magistralis.

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Vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...caciara? ...ribadisco : boh...sono troppo impegnato a postare foto di DRC e Bordeaux sui socials per rispondere a un vero esperto dell' universo agricolo...

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D Lorenzo

circa 2 anni fa - Link

È una buona idea continuare a postare foto, almeno puoi poggiare il fiasco

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Alessandro Morichetti

circa 2 anni fa - Link

Specie su un argomento così sensibile, cerchiamo di uscire alla svelta dall'idea che si possa o debba convincere necessariamente l'interlocutore attraverso i commenti su un blog. La piega di alcuni interventi non è adeguata a una conversazione serena quindi un bel respiro e rimettiamoci in carreggiata tutti. Grazie

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Patrick

circa 2 anni fa - Link

Come vignaiolo posso dire di condividere la riflessione di fondo dell‘articolo. Sono problematiche che hanno o possona avere anche altre professioni? Si, certo, ma in questo articolo si posizionava il focus su questa categoria, per cui il „eh, ma anche gli altri…“ è oggetitvamente off topic. Il fatto di godere della libertà di poter „lavorare“ (lavorare è quella attività svolta per generare un „reddito“, non si lavora mica per le pacche sulle spalle. Il „non lavoro“ si chiama hobby ed ha un altra funzione) a contatto con la natura è oggettivamente impagabile quando la stagione premia. Quando invece (è sarà certamente soggettivo) gelate primaverili, scarsità di precipitazioni, grandinate, stress termici, bufere, nuove popolazioni di insetti, …etc. ti azzerano oppure incidono sulla redditività aziendale (vuoi o non vuoi) il lavorare a contatto con la natura diventa più una condanna che un privilegio. Anch‘io ho investito in terapie psicologiche, ho investito in una sorte di „ricerca di salute emozionale“, che anche se sembra incredibile non è sempre facile da ottenere in questa professione. I motivi sono molteplici e si evincono dalle righe dell‘articolo. La conclusione alla quale arrivo è che, quelli della terapia, sono stati soldi spesi bene e che tornerò presto a farlo ancora.

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Massimiliano Ferrari

circa 2 anni fa - Link

Ribadisco quanto sottolineato da Alessandro. L'argomento trattato nel pezzo può suscitare reazioni e opinioni contrapposte ma un fatto rimane incontrovertibile: lavorare una vigna, per molteplici ragioni, può essere causa di sofferenze fisiche e mentali che in alcuni casi hanno portato tragicamente a scelte estreme. Se queste scelte siano dettate esclusivamente dal peso di quel lavoro o da altri fattori è questione su cui mi sembra, per pudore, sensibilità e rispetto, non sia necessario dibattere oltre.
Detto questo, la tesi del pezzo non è che tutto il mondo della viticoltura è sotto scacco di depressione, sofferenza e difficoltà ma se un campione pur minoritario manifesta questi disagi penso che darne cronaca sia un esercizio di valutazione della realtà che fa fatto.
Anche altri lavori causano ingenti dosi di stress? Assolutamente, nessuno lo discute ma dal momento che questo blog si chiama Intravino il nostro campo d'azione è appunto il mondo del vino e l'intento primario è quello di darne conto allargando l'obiettivo anche su tematiche scomode, poco visibili e meno documentate.

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Gabriele Succi

circa 2 anni fa - Link

Uno dei migliori articoli mai scritti su questo blog. Bravi.

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Giacomo

circa 2 anni fa - Link

Qui in langa ariana siamo preoccupati. Regime fiscale ridicolo, ricarichi folli, compriamo le uve extrabollini dai vicini, prodotti spesso mediocri ma che vanno, cantinoni di design senza pagare oneri di urbanizzazione ed in culo ai piani regolatori, ma abbiamo difficoltà per quanto riguarda la consegna delle auto tedesche con gli optional richiesti. E pensare che da bambino si usava la metafora "e zsai pì fort che a germania".

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Leonardo

circa 2 anni fa - Link

Ho visto un film francese che tratta del suicidio degli agricoltori. Mi ha colpito parecchio. Non credevo che esistesse una problematica del genere in così larga scala. Mi sono sentito veramente ignorante dopo la fine del film. Troppo sfruttamento generale, troppa mania di prestazione, in dei casi in qualità ed in altri in quantità. Un problema veramente difficile da gestire.

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