Il Molise esiste, ovvero: storia di una Tintilia di montagna

Il Molise esiste, ovvero: storia di una Tintilia di montagna

di Andrea Troiani

Era Abruzzi (sì, al plurale) e Molise sui libri di scuola fino al 1960 e lo è stato nella testa di molti fino a pochi anni fa. Poi, come se il trauma del distacco avesse di fatto causato uno scotoma collettivo, il Molise è sparito dalla percezione degli italiani.
Al solo nominare la piccola regione montuosa compresa tra l’Abruzzo e la Puglia (ma alcuni fanno queste ultime ancora plurali, come gli Abruzzi di cui sopra), dopo un primo momento di smarrimento, non è difficile vedere chi si dà di gomito pensando o palesando apertamente il sentire collettivo: “il Molise non esiste”.

Invece il Molise c’è, vivaddio.

A confermarcene l’esistenza, e qui sono certo che saprò convincere anche i più scettici, è il suo vino di riferimento, il vitigno autoctono che ne caratterizza in modo unico il territorio: la Tintilia.

Riscoperta in anni relativamente recenti dal pubblico nazionale, e in particolare nel centro Italia, la Tintilia sta godendo di un buon successo anche grazie all’attività di alcuni vignaioli coraggiosi che hanno puntato su zone un tempo vitate ma poi abbandonate per anni.
Prodi produttori (l’allitterazione è voluta), che hanno messo a dimora nuove viti per riscoprire il territorio e i gusti dimenticati.
Tra questi certamente Rodolfo Gianserra di Agricola Vinica.
È il 2007 quando Rodolfo si innamora di un appezzamento in altitudine, fino ai 750 metri sopra il livello del mare. Terreni storicamente vitati e poi abbandonati come gran parte delle terre molisane.

Rodolfo Gianserra è viticultore illuminato e molto attento al rispetto dell’equilibrio del terreno, cura della vigna, interventi ridotti, lieviti autoctoni in cantina, solfiti al minimo e spesso neanche quel minimo.

Sì, in Agricola Vinica si produce, con grande fatica e non meno orgoglio, vino naturale.

Ho avuto il piacere di incontrare Rodolfo, e riscoprire ancora i suoi vini, qualche settimana fa grazie all’amico Giovanni Prisco dell’enoteca Moggio nello storico quartiere Quadraro a Roma.
Amore per il Molise e amore per la Tintilia, tanto da farne protagonista di questa specifica degustazione romana con tre bottiglie di grande interesse.

La partenza è in rosa con:

Lame Del Sorbo – Tintilia del Molise rosato 2019
Raccolta precoce delle uve da vigne a circa 600 metri sul livello del mare, che consentono la conservazione di una acidità invidiabile. Fermentazione spontanea senza inoculazione di lieviti alieni e 12 mesi di acciaio per una produzione mini di sole 2500 bottiglie circa. Ne esce un vino di una freschezza decisa ma che mantiene la sua territorialità ed esprime, seppur con la leggerezza data dalla scarsa persistenza sulle bucce, le connotazioni.

Nel bicchiere note di lampone acerbo, agrumi e un gran bel finale in equilibrio tra i sentori del melograno e la continua acidità. Pare che i rosati si possano bere solo l’estate, permettetemi di dissentire e di aggiungere questa tra le bottiglie da consumare per 4 stagioni.

Si continua in musica:

Beat – Tintilia del Molise 2019
Rodolfo oltre al vino ama la musica e questa etichetta è un omaggio diretto alla Beat Generation. Qui parte della Tintilia viene lavorata tramite macerazione carbonica (che evita la pigiatura dell’acino). Bevuta fresca e golosissima di frutto polposo e profumato. Un vino da pane e salame, da merenda sul prato o da bere così tra una chiacchiera e l’altra fino a scoprirne la leggera speziatura che emerge in chiusura del sorso. Perfetto da tenere sempre a portata di mano, magari anche in Bag-in-Box.

Si arriva alla bellezza:

Lame del Sorbo – Tintilia del Molise 2015
C’è un momento in cui, dopo una bella intro, è ora dello spettacolo principale. L’attesa viene sapientemente soddisfatta da questa bottiglia di Tintilia nella sua espressione più caratteristica. Rosso profondo nel bicchiere, non a caso il nome Tintilia viene probabilmente dallo spagnolo tinto, rosso, dunque. Un vino che sembra venire dal nord per l’eleganza ma che conserva la forza e la struttura che probabilmente potrà dare soddisfazione anche a chi avrà la pazienza di aspettarlo una decina d’anni.
Non è il mio caso, io la soddisfazione l’ho presa subito. Frutto maturo e nero al naso, note balsamiche che si confermano al palato e una bella acidità che avevamo già trovato nelle due bottiglie precedenti, che qui si sposano con il tannino sincero ma delicato. Una bevuta di grande lunghezza, sempre in pulizia, che lascia sapidità e voglia di continuare. Neanche a dirlo, anche qui la fermentazione e l’affinamento sono svolti in acciaio.

Ma Vinica non vive di sola Tintilia. Special guest, un bianco macerato:

Altre Terre – Trebbiano 2019
Trebbiano molisano giallo profondo e denso, quasi arancio. Note di frutta disidratata, la classica albicocca e sorso astringente di tannini bianchi e puliti. Una bella sorsata di freschezza di quei vini che personalmente trovo sempre azzeccati su ogni tavola, o quasi. Macerazione sì, orange wine se volete, ma con stile e classe che tengono questo vino sulle note rustiche e piacevoli del trebbiano e fuori da certe omologazioni un po’ modaiole. Giulio Armani, un grande vignaiolo a cui molti riconoscono la riscoperta delle macerazioni, dice che in Italia ogni bianco dovrebbe esser macerato. E in questo caso mi sento di dire che ha assolutamente ragione.

La Tintilia esiste, vive e combatte. Quindi viva la Tintilia e viva il Molise.

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Andrea Troiani

Nasce a Roma dove lavora a mangia grazie al marketing digitale e all'e-commerce (sia perché gli garantiscono bonifici periodici, sia perché fa la spesa online). Curioso da sempre, eno-curioso da un po', aspirante sommelier da meno.

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