L’etichetta in minigonna e tacchi a spillo
di Antonio Tomacelli“Mi spiace, la volevo più cafona”. Click, fine della telefonata e cliente perso.
Capita ogni tanto un benservito, ma questo, giuro, devo ancora metabolizzarlo. In genere capita quando il cliente è la piccola cantina che tenta lo sbarco nel supermercato: ha firmato il patto col diavolo che porterà soldi cash ma anche liti sanguinose con i vecchi clienti, in genere negozi e ristoranti.
“Hanno visto la tua Falanghina aggirarsi tra gli scaffali dei supermercati” tuona l’enotecario, accompagnando la frase con segni della croce ed altri esorcismi. Per evitare la cacciata da enoteche e ristoranti, il produttore spaventato propone allora al supermercato la stessa bottiglia di vino con etichetta diversa, seguendo i consigli dell’esperto aziendale di marketing, in genere un cugino salumiere. A voce bassa, l’unto del Signore gli ha spiegato che i supermarket sono frequentati da gente volgare e ignorante, da adescare con la bottiglia in minigonna e reggiseno a vista. Finita l’analisi del settore marketing, si va dal grafico per l’esecuzione di un’etichetta “pacchiana e cafona” cui segue in genere la delusione per un progetto giudicato “troppo fine ed elegante”. I tempi di consegna ristretti sconsigliano l’incarico ad altro designer, per cui il packaging viene affidato all’ufficio marketing, che è il solito cugino salumiere che, grazie a Dio, ha il pc nel retrobottega. Consegnerà tutto in due ore nette e GRATIS, tra gli applausi dei parenti.
Quanto descritto, sia chiaro, vale solo per i piccoli produttori poco pratici della promozione del prodotto (p x 6) perchè gli altri, quelli grossi e furbi, l’etichetta la vogliono elegante, e tanto. Perchè lo fanno, direte voi? Ma per distinguersi dalle etichette cafone sugli scaffali, ovvio!
1 Commento
Andrea Gori
circa 15 anni fa - LinkSalve sono il cugino salumiere del signor Antinori, vorrei sapere come mai avete messo in foto un'etichetta del mio vino...
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