Lambruschi non-Lambruschi | Risponde Medici Ermete & Figli

di Dan Lerner

Davide e Golia “Suonino le campane a distesa! La guerra è finita!” ci è sembrato di intendere in questi giorni tra i fruscii della Radio Londra del web. “Le ultime scaramucce si risolvono attorno al tavolo del dialogo davanti ad un bicchiere di buon rosso” si è udito quando in più di un’occasione alcune voci grandi del mondo del vino hanno dato risposte articolate a questioni di peso poste dagli ormai ex “pierini” della rete invece di liquidarle con una infastidita alzata di spalle. I blog sono un interlocutore, e – come nel sesso – le misure non contano, la qualità si.
E’ accaduto proprio qui su Intravino, per esempio, con un bell’intervento di Francesco Zonin a spiegare il significato dell’iniziativa MyFeudo (cui io partecipo), o con gli assaggiatori del Gambero Rosso a dire la loro a proposito di Lambruschi3, degustazione nata “per aria” su Twitter e conclusa attorno alle solide assi di un tavolo a Il Mosnel.

E proprio riguardo a Lambruschi3 abbiamo ricevuto anche una lunga e articolata mail dalla Medici Ermete & Figli, produttrice del Lambrusco Reggiano Concerto, premiato con i Tre Bicchieri 2010 e inserito nella batteria di assaggi a Camignone. Lambrusco Concerto
Alberto Medici, contitolare di un’azienda storica che con le sue 800.000 bottiglie prodotte e una gestione ancora tutta familiare ben rappresenta una delle possibili best-practices nel collegamento tra forte legame territoriale e il mercato dei grandi numeri, non si tira indietro ma anzi affronta con estrema cortesia e altrettanta decisione i due nodi principali oggetto di dibattito: la questione dei non-lambruschi e quella delle pagine pubblicitarie accanto ai contenuti redazionali nell’ultimo numero del Gambero Rosso. La mail meriterebbe di essere pubblicata per intero anche per l’apprezzabile stile di scrittura d’antan e la disponibilità alla discussione dimostrata, ma data la sua lunghezza lasciamo Alberto Medici entrare nel vivo del primo e forse più sostanziale tra i due temi:

Penso invece che frasi tipo quella pronunciata dal signor Morichetti: “Se poi accanto ti passa un Camillo Donati che sa di chiodi di garofano, rabarbaro, terra e humus, con una bocca tannica, autentica, vibrante e senza sconti, la differenza si sente eccome” , che fanno pensare all’archetipo del Lambrusco come un vino che debba sapere di chiodi di garofano, rabarbaro, terra e humus (con tutto il rispetto per Camillo Donati che è senza dubbio un grande produttore) diano un immagine assolutamente distorta di un prodotto che tradizionalmente è caratterizzato da altri descrittori. Nessuno nelle terre tra l’Enza e il Panaro, nel descrivere un Lambrusco Le citerebbe i chiodi di garofano o il rabarbaro, men che meno la terra e l’humus. Così facendo si fa una grande confusione, e col tempo si rischia che la gente si stanchi di seguire queste cose.

e ancora

Circa l’argomento dei non-Lambruschi, che lei ha opportunamente introdotto come fenomeno da non sottovalutare,  desideravo esprimere una mia opinione in merito. Se intendiamo l’attività viti-vinicola nella sua accezione più alta e nobile, ovvero come l’espressione artistica del trasformare “naturalmente” la spremitura dell’uva in vino, dobbiamo saper accettare il prodotto di questa “Arte” anche quando la produzione di uve lambrusco si declina in un vino talmente “complesso” ed estremo da risultare un non-lambrusco.
Se si riflette però a come era considerato il lambrusco nel mondo 20/25 anni fa e quale era l’immagine che questo prodotto si era guadagnata in quegli anni (the Italian Coca Cola) si può capire bene quale sia stato il lavoro immane svolto da alcuni (pochi) produttori illuminati per ricostruire e rilanciare la reputazione di questo vino. Al punto che oggi il rosso frizzante emiliano sta conquistando interessi e spazi all’interno di blogs, riviste, guide di settore, ma anche presso enoteche e ristoranti dove fino a poco tempo veniva bandito come vino di serie inferiore. Questi produttori hanno semplicemente iniziato a trattare il Lambrusco come si lavora un qualsiasi altro grande vitigno, sovvertendo regole produttive perniciose, che imponevano di perseguire rese per ettaro vertiginose. Semplice da dirsi ma non altrettanto immediato nel concretizzarsi.
E’ bene precisare che si è soltanto agli inizi di quel percorso virtuoso che negli Usa viene già definito da molti giornalisti di settore come “The Lambrusco Renaissance”; comunque sia oggi da più parti si pensa a questo vitigno autoctono, pur nelle sue molteplici varietà, come una delle espressioni più identitarie della regione Emilia. Il che significa, che il consumatore che si avvicina a questo vino sa bene quello che si aspetta nel degustarlo (certamente non i sentori di chiodi di garofano, il rabarbaro o ancor meno l’humus, ma un vino frizzante, dal colore rubino più o meno intenso, dai caratteri aromatici particolari che si identificano con note floreali di viola o di piccoli frutti rossi come il ribes, la fragola o il lampone, e ancora, fresco, e con un’acidità abbastanza spiccata).
A tal proposito, faccio notare che tra i commenti ai lambrusco assaggiati in occasione della degustazione in Franciacorta, a proposito del nostro “Concerto” ho letto il giudizio più bello che un produttore possa sentirsi dire di un proprio vino.
Tra le note d’assaggio relative al campione numero 8 (il Concerto appunto) leggo infatti: “E’ IL LAMBRUSCO! Tutti lo tratteranno male, ma questo è ciò che il mondo pensa quando dici Lambrusco. Se è Medici Ermete come penso si merita i suoi Tre Bicchieri alla carriera. Per la divulgazione urbi et orbi”.
Non sono parole affatto scontate per un prodotto che è concepito con la filosofia del cru, e che stanno ad indicare che trattasi di un vino figlio del suo territorio così come scolpito nell’immaginario di chi lo degusta.

Considerazioni non banali e interessanti. Che ne pensate? E ancora, pace fatta quindi?
Intanto, buon Lambrusco a tutti.

9 Commenti

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Simone e Zeta

circa 14 anni fa - Link

Me lo sentivo che il casino lo aveva fatto Morichetti!!;-) Quel ragazzaccio..;-)

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Massimo D'Alma

circa 14 anni fa - Link

Beh, visto che si prendono in prestito frasi di altri, utilizzo, più o meno, l'autorevole commento di Stefano Caffarri scritto qualche giorno fa sulle mie indegne pagine: "il Concerto lo amai come primo vino di numeri e qualità, lo bevo ancora, ma con piacere assai più moderato". Questo per dire che si tratta di un fattore emozionale, null'altro...

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Massimo D'Alma

circa 14 anni fa - Link

Pensavo ad un dibattito più vivo... :(

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Alessandro Morichetti

circa 14 anni fa - Link

L'intervento di Alberto Medici invita a precisare meglio i termini del discorso.
Oggetto del post menzionato voleva essere il criterio di giudizio di una guida - partendo dalla singolarità di un evento specifico quale #lambruschi3 - dopo aver riscontrato che vini premiati (e celebrati in quanto tali), chi più chi meno, non hanno trovato pari apprezzamento presso la composita brigata lambruschista.

Altro sarebbe stato parlare di "tipicità" del lambrusco (ripeto, non era l'argomento del post). A tal proposito, ho appunto scritto "entrambi espressione riconoscibile, corretta e tecnicamente ineccepibile di un lambrusco che tutti hanno bevuto almeno una volta nella vita", aggiungendo subito dopo "da questo ad entrare nell’eccellenza nazionale ce ne passa e non poco".
Concordo col gentile Alberto: non solo tra Enza e Panaro ma anche nelle Marche e credo altrove, i riconoscimenti tipici del lambrusco non sono humus, terra & co. Non ho infatti detto che i non-Lambruschi siano più o meno tipici (il nome stesso, attribuitogli nel corso di questa saga, parla chiaro) ma solo che sono risultati più interessanti e coinvolgenti, con espressioni gustative meno ammiccanti e più affini ad una spontaneità espressiva senza sconti.

L'excursus che segue è poi molto interessante, soprattutto partendo dall'idea che pochi altri vini come il Lambrusco siano davvero intrecciati alla quotidianità di ampie aree geografiche e culturali. Ripercorro i due "atti" e ne aggiungo un terzo. Ieri: The Italian Coca Cola, prodotto snaturato, dozzinale, vino rosso con bollicine e pochissimo altro. In vigna, rese bibliche. Vino per tutti, per troppi, per l'America soprattutto.
Oggi: The Lambrusco renaissance, merito di produttori illuminati che hanno ridato dignità a un vino. Chiarli e Medici tra questi. Rese da vino buono, tecnica in uso nel luogo, successo assicurato ed ettolitri scolati. Urbi et orbi.
Domani: E domani? Scommettiamo? Io scommetto che il prossimo trend sarà a base di rifermentazione in bottiglia, naturalità in vigna e limitato interventismo. Perché lo dico? Semplice. Dai nostri assaggi - quelli della suddetta brigata lambruschista - certi vini ci sono sembrati più buoni, più complessi. Più interessanti, insomma. Ci risentiamo tra 5/10 anni, suvvia. A #lambruschi100 sarà tutta un'altra storia ;-)

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mugellesi ivano

circa 14 anni fa - Link

Considerazioni molto interessanti.La domanda è quale lambrusco preferite.

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nc

circa 14 anni fa - Link

ma se parliamo di tipicità e tradizione, allora non si dovrebbe usare l'autoclave, o sbaglio? solo rifermentazione in bottiglia...

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Dan Lerner

circa 4 anni fa - Link

Dieci anni fa scrivevamo questo, e ancor oggi la questione non è chiara a tutti: ben vengano -anzi, sono venuti- i "non-lambruschi, ma ancor meglio la rinascita dei lambruschi è dovuta a tutti coloro, dai Medici con le loro 800.000 bottiglie agli Storchi che di bottiglie ne fanno 10.000, che fanno Lambrusco tipico e ottimo. Un gran vino.

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