Anche per questo motivo la sinistra il vino perde

di Fiorenzo Sartore


Scena uno. Coppia di personaggi contemporanei, endorsabili, belli, intellettuali: Luca Sofri e signora, per dire.

A me non piace il vino. È andata così, sarei una specie di astemio […] quindi quando andiamo in un ristorante con qualche pretesa e l’oste o sommelier del caso comincia in modo solenne a espormi le alternative e i tratti dei vari vini della cantina, mia moglie oscilla tra l’imbarazzato e il materno. […] La stessa disdicevole configurazione stava verificandosi ieri sera, quando il signore con le bottiglie in mano ha visto improvvisamente il mio sguardo assente da triglia trasfigurarsi in un lampo complice e padrone, e mia moglie allentare la tensione in un sorriso, proprio come quando si scopre che c’è il menù bambini, a queste parole: “… ed è un vino prodotto da Mick Hucknall dei Simply Red”.

Scena due. Personaggio contemporaneo, abbastanza bello, abbastanza intellettuale: il principe Gaetani (non abbiamo la fissa con lui, è un caso).

…non piu’ solo la vendemmia di un vino come bevanda ma il proporre attraverso la vendemmia quasi una piattaforma valoriale, una Weltanschaung, un modello di valori che sono un punto di riferimento importante. Probabilmente l’avere visto poco prima a Venezia al Festival del cinema il film di Elisabetta Sgarbi mi ha mosso suggestioni che mi hanno convinto in questa mia tesi. Il film di Elisabetta Sgarbi ripercorre, attraverso una ricerca antropologica il senso della cultura, cioe’ cosa sia la cultura italiana, scoprendo – attraverso il viaggio – che essa e’ nelle stratificazioni millenarie e diversificate che ben conosciamo e che ci fanno ricordare come noi siamo schiavi e contadini e come la terra sia stata l’unica risorsa. La terra, la coltura, la cultura. Il vino. Il vino e’ cultura…

Ora, è sicuramente vero che il vino sia cultura, terra, contadini, tutta quella roba elencata dal principe. Sarà pure quella weltanschauung che ho wikipediato. Certo è che questo metodo descrittivo e comunicativo finisce per generare (tra l’altro) “tensione e sguardo assente”, come narra Luca Sofri. Che alla fine il sommelier di turno si smarca solo con l’evocazione di Mick Hucknall dei Simply Red, produttore probabilmente poco territoriale, ma evidentemente molto rilassante, nell’immaginario dei nostri. E siccome il vino si fa anche per venderlo, ci chiediamo tutti quanti: cosa funziona davvero? Non casualmente, Intravino proclama “un altro vino è possibile”. Ecco, mi piacerebbe che fosse vero.

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Fiorenzo Sartore

Vinaio. Pressoché da sempre nell'enomondo, offline e online.

12 Commenti

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Nelle Nuvole

circa 14 anni fa - Link

Mi piacerebbe sapere chi scrive i testi al Principe Gaetani, mi rifiuto di credere che sia lui stesso, avendolo sentito parlare. Il risultato fa venire comunque l'orticaria. Quanto a Luca Sofri, che vuol dire "una specie di astemio"? Altro attacco di orticaria combinato con il raggricciamento delle dita dei piedi. Tranquillo Fiorenzo, un altro vino é sempre più possibile, i personaggi di cui sopra in realtà lavorano anche per voi/noi.

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Francesco Fabbretti

circa 14 anni fa - Link

Ricordo ancora il discorso iniziale che ci fu fatto alla prima lezione del corso da sommelier. Il sunto era che alcuni vocaboli o concetti erano destinati a creare un bagaglio letterario comune fra sommelier. Insomma, termine come "volatile, bret, spina acida, crio(o roto)macerazione, fermentazione sui lieviti, malolttica", et similia, non dovevano servire per fare sfoggio di bella pompa di fronte al cliente allibito. Purtroppo mi rendo conto che si è giunti a una distorsione perversa e, in più di un'occasione, fraudolenta: sfinisco di parole il cliente fino alla sua resa incondizionata di fronte a concetti ignoti. Quanto ai concetti del principe Gaetani, li sottoscrivo in pieno (magari con qualche fronzolo di meno...); certo è che sarebbe opportuno rivolgerli in una assise in grado di comprenderne il significato più intimo. Diversamente rischia di rimanere un esercizio di bello stile accademico fine a se stesso

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Fabio Cagnetti

circa 14 anni fa - Link

Una doverosa precisazione: nelle vigne di proprietà di Mick Hucknall sull'Etna il vino lo fa Salvo Foti. Sono belle vigne, sono -soprattutto l'Etna Rosso- bei vini e il territorio si sente eccome. Per il resto, se a Luca Sofri non piace il vino non capisco perché debba interagire con chi ne è appassionato o esperto; ed è evidente che il modo di esprimersi del Principe Gaetani sia di tale ampollosità da ben prestarsi allo scherno, ma non ci perderei il sonno, insomma, altri hanno fatto danni peggiori.

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Alessandro Bocchetti

circa 14 anni fa - Link

Ma l.avete letto Nossiter? Non è che sia meno ampolloso di Gelasio... Basterebbe la disquisizione su terrori come heimat. Ed il continuo citare Fassbinder e Pasolini... Il vino è un piacere (tra l'altro serissimo), ma spesso quelli che ne scrivono pensano di essere De Sassoure e di fondare lo strutturalismo ;-) Se occoparsi di vino fosse lavoro da geni Einstein non avrebbe studiato la relatività, ma girato bicchieri! :-D Ciao A

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Fabio Cagnetti

circa 14 anni fa - Link

Peraltro nel mercato americano in questo momento va molto l'utilizzo di un linguaggio semplice, probabilmente proprio per reazione a certi eccessi. A mio avviso serve più contaminazione pop ("un vino Denilson, che ti meraviglia con le sue giocate e poi s'incarta da solo, incapace sia di passarla che di concludere a rete"), e le metafore ardite funzionano solo se usate con autoironia.

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Danilo Ingannamorte

circa 14 anni fa - Link

Sono d'accordo al 100%, soprattutto per l'importanza dell'autoironia, grande assente...

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enzo

circa 14 anni fa - Link

e allora? salvo chi?

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alessandro bocchetti

circa 14 anni fa - Link

beh anche a Roma si cerca di usare un linguaggio più pop, più comunicativo e meno stile "cazza il geona e carica il tirabasso della randa" ;-) ciao A

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Francesco Fabbretti

circa 14 anni fa - Link

Ma una via di mezzo tra un linguaggio "pop" (che, ahimè, talvolte nasconde una crassa ignoranza) e uno stucchevole e autoreferenziale? non è proprio possibile eh?

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Fiorenzo Sartore

circa 14 anni fa - Link

Questa è di gran lunga la sfida più difficile, secondo me. Considerando che, come dicevo, la comunicazione è funzionale anche all'aspetto commerciale, trovo che un certo tipo di linguaggi abbiano generato (e continuino a generare) la "tensione e sguardo assente". Sarebbe il caso di dosare i termini e gli atteggiamenti che teniamo in funzione delle persone che abbiamo di fronte. Col cliente new entry sono pop a manetta, e in compagnia di enofili advanced l'approfondimento che cerco richiede per forza un linguaggio tecnico, immaginifico e descrittivo. Sovrapporre o confondere i due ambiti è l'errore da evitare, e prendere il meglio dei due mondi l'obbiettivo finale. Difficile, appunto.

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alessandro bocchetti

circa 14 anni fa - Link

infatti dicevo un linguaggio più pop, non solo pop ;-) Ricordate sempre che un mio maestro era solito ripetermi "la cosa più difficile è dire cose complicate in maniera semplice, quella più facile è dire cose semplici in maniera complicata" cerco di applicare questa regola il più possibili... Non è che Carver non sapesse scrivere o Adolf Loos non sapesse decorare ;-) ciao A

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Nelle Nuvole

circa 14 anni fa - Link

Nel contatto diretto, dal vivo, penso che si debba un po' recitare a soggetto e questa capacità si acquisisce con l'esperienza. Comunque se si é veramente convinti di un certo vino o di un certo produttore é molto più facile trasmettere tale passione, anche pasticciando un po' con le parole e spesso il linguaggio del corpo aiuta. Se però la trasmissione avviene per scritto, la via di mezzo auspicata da Francesco é la soluzione migliore, per me vale sempre la regola "less is more", anche perché al quinto aggettivo lo sbadiglio impazza.

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