Tre note di assaggio che vanno sempre bene per tutti in qualunque situazione – parte terza

Tre note di assaggio che vanno sempre bene per tutti in qualunque situazione – parte terza

di Pietro Stara

Improntato alla più felice naturalità, questo vino bianco… è stato toccato dalle mani e dai piedi dell’uomo e della donna soltanto quel che basta a renderlo più unico che raro. In una zona che ha fatto della massificazione industriale uno dei cardini della produzione del vino bianco qualunque, sapere di poter trovare un enclave produttiva di siffatta qualità non può che rendere felici e speranzosi coloro che, come il sottoscritto, sono alla ricerca di una genuinità non scontata.

Le viti, rigorosamente ad alberello, si inerpicano speranzose su per i declivi composti da rocce vulcaniche, ferro, cobalto, zinco, rame, un po’ di piombo, una spruzzata di cornoletame e polvere da sparo (i cacciatori sono tanti da quelle parti). L’uva viene raccolta tra agosto e novembre, a seconda delle annate, rigorosamente a mano da contadini appena scesi dalla groppa di un agevole Big Bud 747. Poi, a rotta di collo, le cassette vengono trasportate in cantina sulle grandi spalle dei braccianti in sella ad una dozzina di KTM GS 250 del 1974.

La poca uva che non è caduta durante il tragitto viene immediatamente pigiata con i raspi direttamente dai graziosi piedoni di uomini e donne che accorrono festanti e un tantino alterati dai paesi limitrofi. I lieviti, più che indigeni, sono degli indigeni. Capita, talvolta, che dentro quelle vasche piene di gioia e allegria scoppi una fraterna scazzottata, prontamente sedata dai vecchi del paese a pallettate. Non male per un vino bianco in fieri forte di sentori carnali, sanguigni (tipicamente da rossi) e minerali.

La fermentazione, che come avrete ben potuto capire, parte in men che non si dica, continua festosa le sue danze per giorni e giorni. Follature e fecce fini giocano la loro partita a scacchi, a dama, a briscola, a scopa, a tressette, ad asso piglia tutto, a burraco, a bestia e, per finire, a las vegas. Dunque botti grandi, talvolta grandissime per nove anni, poi botti piccole di primo e di sesto passaggio per altri otto, due dribbling, tre travasi, un pallonetto, rovesciata e bottiglia. E che bottiglia! Altri tre anni così ad invecchiare insieme ai contadini che l’hanno fatta e che ce hanno fatta; etichette disegnate dai bambini ripetenti delle classi terze e quarte della scuola elementare del capoluogo; tappi a corona in pelle scamosciata e via sulle tavole di alcuni, ma non di talaltri.

Una fisarmonica al naso come in bocca: pare di ospitare l’intera orchestra Casadei che intona un “Ciao Mare” senza tempo. Esce a lire 5.324 nel negozio di alimentari/merceria/ferramenta/lingerie/tuttecose di Mario, in fondo al paese, vicino alla tangenziale. Non dà resto.

La nota sul vino spumante la trovate qui
La nota sul vino rosso la trovate qui

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

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