Nessuno tocchi le Italian Grape Ale

Nessuno tocchi le Italian Grape Ale

di Gianluca Rossetti

Pazzesco che proprio nei giorni in cui Birrificio Italiano lancia l’endorsement per le Italian Pils – birre a bassa fermentazione sottoposte a dry hopping con soli luppoli tradizionali europei o con luppoli dalle caratteristiche equipollenti a quelle dei luppoli tradizionali europei, auspicando che il BJCP ne codifichi quanto prima la specificità – si debbano leggere indiscrezioni sulla produzione craft nostrana che invece muovono in tutt’altra direzione.

Oggetto dei rumors non sarebbero le birre artigianali a bassa fermentazione, ok. Ma sempre di Italia si parla. Stando alle voci, pare che al di là dell’Atlantico si stia valutando la possibilità di riconoscere la categoria delle Grape Ale come stile a sé, depauperata del prefisso “Italian”, fino ad oggi una sorta di marchio di fabbrica per identificare le IGA, unica tipologia del Belpaese riconosciuta a livello internazionale.

Il prefisso non era e non è roba da nulla, va detto: le Italian Grape Ale possono definirsi tali solo se le uve impiegate sono coltivate in italia, rientrando queste birre nel novero delle produzioni locali, nonostante siano collocate nella famiglia ben più ampia delle fruit beer. Togliere il prefisso, quindi, significa permettere a ogni latitudine la produzione e l’etichettatura come Grape Ale a quei birrifici che utilizzano uva o mosto, anche cotto, in una delle fasi del brassaggio.

Ha senso? Forse sì. Per i nostri birrifici artigianali è un bene? Temo di no. Ed è partita anche una sottoscrizione su Change.org per raccogliere tante firme che urlino quel “no” a dovere. Di pancia, a domanda diretta, mi sento di rispondere che sono assolutamente contrario. La sensazione che la mia possa risultare battaglia di retroguardia comunque c’è. Ma per ora continuo a essere contrario: le abbiamo inventate noi! Leviamo pure di mezzo la stronzata delle produzioni locali e del fatto che le uve debbano essere italiane. Ma lasciamo quel prefisso, per carità.

Significa che chiunque, ovunque lo faccia, dovrà dichiararsi debitore nei confronti di chi per primo quell’ idea ha avuto. Significa certificare un metodo e riconoscerne l’origine. Non è tutto quel che si poteva ottenere. Ma non mi pare comunque poco.

[immagine: Cronache di Birra]

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Gianluca Rossetti

Nato in Germania da papà leccese e mamma nissena. Vissuto tra Nord Reno westfalia, Galatina (Le) e Siena dove ho fatto finta di studiare legge per un lustro buono, ostinandomi senza motivo a passare esami con profitto. Intorno ai venti ho deciso di smettere. Sai com'è, alla fine si cresce. Sommelier Ais dal 2012, scrivo abbastanza regolarmente sul sito di Ais Sardegna. Sardegna dove vivo e lavoro da diciotto anni. Sono impiegato nella PA. Tralascerei i dettagli. Poi la musica. Più che suonare maltratto le mie numerose chitarre. E amo senza riserve rock prog blues jazz pur non venendo ricambiato. Dimenticavo, ho un sacco di amici importanti ma non mi si filano di pezza.

3 Commenti

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IWDP

circa 3 anni fa - Link

Mah. Sarebbe come se un produttore di spumante del Trentino decidesse di chiamare il suo metodo classico "Champagne" come omaggio dei cugini francesi inventori di questa particolare tipologia. Ciò è accaduto fino al 1947, poi le cose sono cambiate.

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Gianluca Rossetti

circa 3 anni fa - Link

Inquadra benissimo la questione Andrea Turco con il solito bel pezzo su Cronache di birra: "I riferimenti geografici nei nomi degli stili birrari non indicano tanto la provenienza degli ingredienti, quanto un modo “locale” di intendere la bevanda. Le American Pale Ale non hanno perso l’aggettivo “American” solo perché qualcuno ha cominciato a brassarle con luppoli neozelandesi o giapponesi, o addirittura con Cascade coltivato in Europa. Con l’espressione American Pale Ale si intende una birra con precise caratteristiche, non riconducibili esclusivamente all’origine delle sue materie prime." "Esistono tantissimi esempi di stili che sono stati reinterpretati in tutto il mondo con ingredienti di provenienza diversa rispetto al modello iniziale, ma non per questo hanno perso il loro riferimento geografico. Quante Munich Helles vengono prodotte senza utilizzare materie prime bavaresi?" "Fino a oggi il BJCP ha lavorato al contrario: non ha mai eliminato il riferimento geografico d’origine di uno stile, semmai ha aggiunto denominazioni locali in caso di reinterpretazioni consolidatesi nel tempo, come accaduto per tanti stili nati nel Regno Unito (English e American IPA, English, American e Baltic Porter, ecc.). Perché solo con le Italian Grape Ale sta pensando di agire in maniera inversa?" Link al post completo qui: https://www.cronachedibirra.it/notizie/30176/italian-grape-ale-a-rischio-il-bjcp-vuole-eliminare-qualsiasi-riferimento-allitalia/

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Nicola Perra

circa 3 anni fa - Link

Quella da te esposta correttamente, è esattamente la direzione verso la quale ci stiamo battendo. Gli americani hanno messo il prefisso su una marea di stili di origine non americana, solo perché con qualche luppolo USA utilizzato, era per loro legittimo ribattezzarne lo stile. Ora vogliono togliere il prefisso “Italian” da uno stile inventato e sviluppato in Italia. Trovo il loro atteggiamento incoerente e piuttosto arrogante!

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