Intervista a Massimo d’Alema: il vino, la politica e Mourinho
di Jacopo ManniGaleotta fu la degustazione sul Pinot nero nell’Italia centrale nella quale ho ovviamente assaggiato anche il Pinot nero Umbria IGT 2016 de La Madeleine, l’azienda fondata da Massimo D’Alema.
In quella serata ho incontrato sua figlia Giulia, che sta prendendo in mano le redini dell’azienda con il chiaro intento di proiettarla oltre la discendenza.
Come dice la Bibbia: “Non si metteranno a morte i padri per una colpa dei figli, né si metteranno a morte i figli per una colpa dei padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato.” (Dt 24,16)
Non ho però resistito nel chiedere a Giulia di poter fare una chiacchierata sul vino e la politica con suo padre. Una intervista che in una qualche maniera è quindi forse l’ultima da pater familias e proprietario d’azienda, dove ho cercato di parlare col Massimo D’Alema produttore (ancora) di quanto sia politico il vino soprattutto nel nostro paese.
Immagino il progetto fosse quello di passare una serena e tranquilla vecchiaia tuffandosi in un locus amoenus come diceva Cicerone e rilassarsi nella vita di campagna, ma il mondo del vino è polemico e dinamitardo almeno quanto quello dell’agone politico. Cosa hanno di diverso, o di simile a questo punto, le critiche politiche che ha ricevuto durante tutta la carriera lavorativa rispetto a quelle ricevute in ambito enologico?
In effetti l’origine di tutto è proprio questa. Con mia moglie che voleva impormi di vendere la barca a vela, cosa che ho fatto, e di convertire questo hobby in una casa di campagna. Mio padre aveva una casa a Montefalco che poi vendemmo proprio per comprare la barca. Evidentemente il mio destino quindi oscilla tra il mare e la campagna direi. Trovammo quindi questa opportunità e comprammo questa azienda, La Madeleine. Una azienda che allevava bestiame di razza francese e non faceva vino. All’inizio infatti l’idea non era quella di fare vino, è stato Riccardo Cotarella che ci ha convinti che qui si poteva e doveva fare vino. Perché in questa vallata in epoca pleistocenica c’era il mare, il terreno è pieno di fossili marini. E una terra che mantiene questa memoria del mare era naturalmente predisposta per fare vino. Quindi siamo partiti essendo io anche un grande appassionato di vino.
Tornando alla domanda, certo il mondo del vino ha delle tensioni, ma noi che in questo mondo eravamo dei dilettanti, e continuiamo in una qualche maniera ancora ad esserlo, soprattutto quando incontri gente come magari Piero Antinori che fa vino da 27 generazioni, siamo stati però accolti con rispetto e con attenzione, non abbiamo trovato ostilità. Devo dire che magari qualche punta di ostilità è venuta solamente da quelli che politicamente ce l’avevano con me ma non dal mondo del vino. Il mondo del vino italiano è una comunità dove ci sono molte persone gradevoli e intelligenti che ti danno anche consigli. Io devo dire la verità, in questo mondo abbiamo costruito tante relazioni umane oltre che fare vino.
Vogliamo approfittare della sua capacità di analisi politica per fare una analisi politico-sociale-antropologica ma sul vino. Quanto è politico il vino soprattutto nel nostro paese?
Si potrebbe fare una riflessione storica dicendo che il vino è una parte costitutiva nella nostra civiltà. Le nostre radici sono radici greco-romane e radici giudaico-cristiane e in tutte e due queste tradizioni e culture il vino è una divinità. Il vino ha a che fare con l’elemento divino. Nella tradizione cristiana il vino è il simbolo del sangue di Cristo, non è una cosa piccola. E i Greci e i Romani avevano un Dio che rappresentava il vino. Gli unici due alimenti che erano rappresentati da un dio erano il grano, una dea, e il vino.
Quindi parliamo davvero di qualcosa che appartiene profondamente alla nostra civiltà. I soldati romani nella bisaccia portavano le barbatelle, e dove arrivavano le legioni romane si piantava l’uva. Tanto è vero che tutt’ora, perché come diceva Fernand Braudel la Storia è lunga, il confine tra il vino e la birra in Europa è rappresentato dal Vallum romano. Agli amici francesi che hanno l’idea che il vino lo hanno inventato loro, e che spesso hanno la puzza al naso come si dice, noi scherzando potremmo rispondere che loro hanno il vino perché sono stati occupati da Cesare altrimenti berrebbero birra.
La Francia ha avuto uno sviluppo qualitativo importante perché la differenza l’ha fatta lo Stato. E’ lo Stato francese che ha protetto il vino francese e lo ha incanalato dentro binari di qualità mentre da noi si è sviluppato in modo anarchico, come tipico della società italiana. Questo fino al punto d’arrivo dell’anarchia italiana che è stato lo scandalo del metanolo. Quello è stato il grande punto di svolta, dove il vino italiano si è orientato verso la qualità.
Si chiede mai: ma chi me l’ha fatto fare? Il vino intendo.
No. Io non sono affatto pentito perché è una esperienza e nella vita bisogna sempre fare cose nuove e crearsi degli stimoli, inventarsi delle cose nuove.
I vini spesso somigliano a chi li fa, come sono i suoi vini quindi?
Sono come sono io veramente. Non sono per nulla aggressivi, anzi hanno una certa rotondità e cercano di essere persuasivi, suadenti. Il nostro Cabernet, ad esempio, anche se uno non dovrebbe mai giudicare i propri vini, è un vino complesso secondo il mio giudizio ma all’inizio può sembrare un po’ forte diciamo, ma più sta nel bicchiere e più diventa convincente.
La sua è una cantina che è nata quasi in contemporanea con la riscoperta da parte del territorio di Narni del Ciliegiolo, zona che oggi si identifica fortemente con questo specifico vitigno. Come mai ha deciso di puntare unicamente sulle cosiddette varietà internazionali?
Innanzitutto ci ha affascinati la sfida del Pinot nero. Noi lo abbiamo piantato molto a sud senza i freddi di cui ha bisogno questo vitigno. Ma questa collina ha i venti, ha l’esposizione a nord-est che regala grandi escursioni termiche, la composizione del terreno poi con la memoria marina, ecco ci è sembrato che ci fossero le condizioni adatte. A partire dal nome dell’azienda che evoca la Francia e la memoria, e dal fatto che il Pinot nero fosse in una qualche maniera una sfida, ecco direi che questo appartiene molto al mio carattere diciamo.
Però, ci tengo a sottolinearlo, siamo ad un punto di svolta della nostra azienda perché mia figlia Giulia ha da poco preso in mano tutto e ha deciso di trasformare questa attività, che era artigianale, in una vera e propria azienda, portando dentro una mentalità nuova, a cominciare dalle prime due scelte che ha fatto nella fase di transizione. Ha deciso di produrre un rosato, e io confesso di essere un amante dei vini rossi invece, e non c’è nulla di politico in questo (ride). Abbiamo quindi fatto un rosato da Pinot nero che tra poco uscirà in commercio ma soprattutto ha deciso di piantare e produrre il Ciliegiolo su cui stiamo ancora sperimentando.
Direi quindi che nel passaggio generazionale io ho soltanto pregato mia figlia di lasciare quello che c’era, ma avremo delle novità che portano il segno del cambiamento che sono quindi il rosato e l’autoctono. Sono anche chiaramente scelte che guardano in maniera intelligente al mercato ma io ritengo siano scelte giuste perché vanno incontro ad un territorio in cui ci siamo trovati benissimo e glielo dobbiamo. Il ciliegiolo trovo poi che anche a livello estetico sia un uva bellissima con grandi grappoli molto floridi.
Come mai come enologo i cosiddetti vip scelgono molto spesso Cotarella?
E’ naturale che uno che non ne sa nulla di questo mondo si rivolga alle competenze e alle eccellenze. Oltretutto Cotarella è, diciamo, autoctono del luogo. A pochi km da dove siamo noi c’è la sua azienda. Poi noi siamo diventati anche amici, e devo dire che per me è molto importante l’aspetto umano di Riccardo, che è un generoso e un appassionato. Lui ha questa capacità di riuscire a metterti in una relazione in cui a te sembra di partecipare delle scelte e delle decisioni quando è chiaro che è lui invece che ti guida e ti indirizza. E’ una grande dote questa. Poi noi ormai viviamo il nostro come un rapporto di amicizia e non soltanto professionale.
Che vini sono Bertinotti, Prodi e Berlusconi?
Non li ho mai pensati in queste vesti e alcune di queste persone che tu nomini se non le paragoniamo a un grande vino poi si offendono magari e quindi io non mi permetto. Non potrei dire delle banalità ma credo che Berlusconi non sia un amante dei vini, io non ho questa grande convivialità con lui ma ho l’impressione che non sia una persona che apprezzi molto il vino. Non mi azzardo a mettermi in questo tipo di discorso con le personalità politiche… magari in altri campi.
Un vino Madeleine? Che le sprigiona ricordi passati e magari d’infanzia al sorso?
Il vino lo fa in effetti ma magari non l’infanzia (ridendo). Sono molto affezionato al Chianti delle Colline Pisane perché ho cominciato a bere il vino da ragazzo in quelle zone e ero molto amico di una famiglia che lo produceva. In questa casa di campagna di amici ho avuto la mia prima esperienza di produzione. La Madeleine però è un nome che abbiamo trovato e per chi ama il mare e le barche cambiare il nome a una barca porta male, abbiamo allora applicato questo principio. E poi questa idea della memoria è importante, la memoria è il fondamento del futuro.
Fare vino è neoliberista o socialista? Citando la famosa battuta di Nanni Moretti ha fatto qualcosa di sinistra facendo vino?
Il vino ha una fortissima componente di convivialità. Bere il vino da soli è come fare sesso da soli, è onanismo. Certo il vino è un forte elemento di convivialità, di socialità e non di individualismo, ma mi fermerei qui perché definire il vino socialista forse è una esagerazione. Sicuramente non appartiene all’individualismo liberista. C’è una dimensione comunitaria che è legata al vino. Il vino è un piacere che si condivide naturalmente.
Dove sta andando il vino secondo lei? Cosa è diventato e cosa diventerà?
Il vino sta costruendo un mercato mondiale che prima non c’era. Abbiamo un grande problema nella costruzione del mercato mondiale del vino che è il tema dell’Islam. Un tema culturale e religioso che è un tema molto interessante. Secondo me bisognerebbe studiarlo anche sotto il profilo teologico, perché forse una interpretazione più moderna del Corano potrebbe consentire un consumo misurato del vino.
Non è mica una sciocchezza. L’Asia d’altro canto sta diventando il nuovo grande mercato del vino e naturalmente nel conquistare questi mercati il vino deve adattarsi ai gusti, alle tradizioni gastronomiche di altri paesi. Pensiamo ad esempio quanto è complesso abbinare i vini ai sapori piccanti dei cibi asiatici. Questo richiederà una capacità innovativa. Noi siamo in una stagione molto interessante, in cui il vino diventa un prodotto globale e non più soltanto un prodotto dell’Occidente, si incontra con altre culture e tradizioni gastronomiche e quindi c’è un grande lavoro di ricerca e di innovazione da fare.
La qualità è la chiave perché i consumi saranno moderati, non possiamo pensare a consumi da Italia anni 50, c’è un orientamento verso la qualità e noi siamo in una posizione molto importante. Siamo i più grandi produttori del mondo. Siamo tra i più grandi esportatori del mondo. Anche per questo tra i produttori italiani non c’è una grande competizione interna, ostilità reciproca, perché per quasi tutte le aziende il mercato interno è tutto sommato secondario. Noi produciamo tre volte il consumo nazionale, quindi il vero problema per noi è di andare magari insieme sui mercati esteri più che litigarci l’enoteca sotto casa.
I francesi fanno invidia perché esportano meno di noi e guadagnano molto di più. Qui noi ci giochiamo la partita, sulla qualità, noi dobbiamo costruire una tradizione italiana. Lo spumante metodo classico italiano ad esempio non ha nulla da invidiare a un medio champagne, ma non abbiamo brand. Noi abbiamo il Prosecco che è un’altra cosa, un’altra gamma merceologica e poi c’è lo Champagne. Se uno va in America c’è il Prosecco e lo Champagne. Noi abbiamo invece un prodotto di qualità che però non ha un nome, non ha un brand, tanto è vero che nella Franciacorta si sono inventati proprio il nome Franciacorta.
Ci sono dei problemi importanti che andrebbero affrontati per cercare di rafforzare il posizionamento di immagine del vino italiano all’estero. Il vino italiano va bene ma dobbiamo rinforzarne l’immagine e la tradizione perché sia più redditizio per i produttori e perché ci siano delle marginalità maggiori. Questo secondo me ora è il problema principale che noi abbiamo.
Calvino disse di Thomas Mann che lui capì tutto o quasi del nostro mondo, ma sporgendosi da un’estrema ringhiera dell’Ottocento. Noi invece, continua Calvino, vediamo il mondo precipitando nella tromba delle scale. Che anni stiamo vivendo?
Noi abbiamo vissuto un’epoca convulsa di globalizzazione, senza regole e senza una guida politica ma anzi teorizzando che la politica non serviva più. E abbiamo vissuto nella illusione che la globalizzazione avrebbe uniformato tutto il mondo ai modelli occidentali…e non era vero. E oggi ci troviamo in un mondo plurale ma diviso e anche aspramente conflittuale. E quindi c’è bisogno che torni la politica perché la regolazione dei conflitti se non vuole essere la guerra deve essere la Politica.
La politica, la capacità di convivere con gli altri, di costruire anche gli apparati giuridici e regolativi che consentano di convivere con gli altri, secondo me oggi questa esigenza è fortissima. E c’è un’altra novità importante che è anche una opportunità, persino per i produttori di vino potemmo dire, e cioè che dopo una epoca di sviluppo selvaggio nella quale sostanzialmente l’elemento umano è stato considerato secondario, pensiamoci bene. Nel nostro paese la tutela della salute dei cittadini ad esempio è stata considerata qualcosa che veniva dopo la crescita del Pil.
Invece l’esperienza della pandemia ha cambiato profondamente e ha inciso perché la pandemia è una crisi non solo economica ma è una crisi antropologica, che tocca la vita delle persone, e ha fatto riscoprire che la tutela della persona non solo non è un optional ma è la precondizione anche dello sviluppo economico.
Quindi queste due novità sulla scena di oggi, il fatto cioè che una globalizzazione non regolata ha generato conflitti e contraddizioni e questa riscoperta della centralità della persona, della tutela della persona, sono una grande occasione perché da questa crisi esca un mondo migliore, come si potrebbe dire utilizzando una frase un po’ retorica. Ma comunque perché ci sia una dimensione umanistica della globalizzazione che sino ad oggi non c’è stata.
Chiudiamo allora cambiando campo. Lei ha detto di non voler paragonare vini a personalità politiche. Andiamo allora sulla seconda fede italica, o forse la prima…il campo da calcio. Visto che condividiamo questa fede: che vino è Mourinho?
Mourinho è uno Chateu Lafite! Ma il problema di Mourinho è di capire se si è conservato bene. Come quando a volte hai da parte questa grande bottiglia che non hai mai avuto il coraggio di aprire. Poi finalmente ti decidi di fare il grande passo, la apri e…invece ti accorgi che non si è conservata bene.
17 Commenti
Lanegano
circa 2 anni fa - LinkDiciamo che se è vero che il vino riflette il carattere di chi lo fa, il vino di D'Alema dovrebbe essere un vino che ha fatto moooooolti compromessi.....
RispondiAlex
circa 2 anni fa - LinkLa politica è fatta anche di compromessi, e a vedere quelli venuti dopo di lui ce ne fossero di D'Alema
RispondiAle
circa 2 anni fa - LinkDa politico "navigato" non rinuncia a buttare dentro 3 o 4 fregnacce nelle risposte.
RispondiSIMONE CECCHERINI
circa 2 anni fa - LinkBravo Jacopo. Una delle più belle interviste che ho letto in vita mia.
RispondiNelle Nuvole
circa 2 anni fa - LinkBravo come sempre a intervistare, il giovane Jacopo Manni. Forse ci si aspettava troppo dall'intervistato, anche per sfotterlo e dargli addosso. A me sembra che abbia risposto nel modo esatto di un ok boomer, di media cultura e di media sapienza. Fin troppo sincero per essere una vecchia volpe politica, ovvio che chi ne ha la possibilità, essendo completamente digiuno della materia, scelga il più glamour-scafato-conosciuto consulente. Così come è quasi scontato che abbia scelto delle varietà non proprio autoctone, anche se la nuova generazione millenial sta mettendo a punto dei cambiamenti. Tutto sommato niente di speciale, a parte la citazione di Calvino su Thomas Mann, molto gradita.
Rispondijosè pellegrini
circa 2 anni fa - LinkIn un periodo contrassegnato da gente urlante in maniera scomposta , un dialogo con toni moderati, da persone beneducate è comunque una consolazione e chi cercava motivo di rissa è rimasto deluso.Mi sono piaciuti intervistato e intervistatore e mi sono annotata :La memoria è il fondamento del futuro.Una frase post covid e che ci sta bene parlando di vino, che è attesa.
RispondiCapex
circa 2 anni fa - LinkMassimo D’Alema è persona di grande intelligenza ed acume; ha fatto, disfatto, gestito ben altre situazioni uscendone sempre…. Chi pensa ad una rissa con lui non lo conosce affatto.
RispondiDott.Conti alias rudy
circa 2 anni fa - LinkUno vende la barchetta e si compra la fazenda,vuoi non intervistarlo?terroir vocatissimo:pinot nero e cabernet, manca solo lo zibibbo
RispondiPaolo A.
circa 2 anni fa - LinkL'ho già detto e lo ripeto. Mourinho è Petrus. Il vino col peggior rapporto qualità prezzo al mondo.
Rispondiluis
circa 2 anni fa - LinkSe bere vino da soli è onanismo, rischio seriamente di diventare cieco...
RispondiMARCO
circa 2 anni fa - LinkMa dai...... Cotarella???...non l'avrei MAAAAI DETTO. ;)
RispondiAndrea
circa 2 anni fa - LinkBellissima intervista. Due intelligenze superiori che si incontrano. Complimenti ad entrambi.
RispondiSimone Ceccherini
circa 2 anni fa - LinkMa si può sapere che v'ha fatto di male Cotarella?
RispondiRenzo Poloni
circa 2 anni fa - LinkGrande D'Alema, come sempre. Gli hanno attribuito di tutto, ingiustamente, forse persino di aver profanato la Sacra Sindone... ma resta sempre il migliore (dopo Togliatti, naturalmente)
RispondiGiuseppe Arca
circa 2 anni fa - LinkCome dice nell'intervista Massimo D'Alema, "... forse una interpretazione più moderna del Corano potrebbe consentire un consumo misurato del vino". Temo che il vino di D'Alema dia alla testa.
RispondiAlex
circa 2 anni fa - LinkSe avessi frequentato qualche paese arabo non la diresti sta cretinata. Gli arabi stanno cominciando a bere alcool non sono tutti talebani, come del resto i cristiani vanno a puttane, inoltre il suo era un discorso proiettato verso il futuro non proprio domani.
RispondiMarcello
circa 2 anni fa - LinkE un grande personaggio e l unico politico che quando era 1° ministro ha osato criticare Israele per la dispropozionalita delle sue risposte belliche contro i palestinesi e gli hezbollah inoltre e un uomo giusto a me e sempre piaciuto
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