Il brillante caso del Ministero e del disciplinare <i>wannabio</i> del Valdarno di Sopra. [Che figura di m…]

Il brillante caso del Ministero e del disciplinare wannabio del Valdarno di Sopra. [Che figura di m…]

di Tommaso Ciuffoletti

Abstract

. Il Consorzio del Valdarno di Sopra, a partire dal 2016, avvia una procedura di richiesta di modifica del proprio disciplinare. Con l’accordo di tutti i soci, chiede di poter inserire la certificazione bio in disciplinare.
. Dal Ministero dell’Agricoltura rispondono che tale richiesta non è accoglibile, perché contraria alle norme europee che – secondo gli esperti del Ministero – vieterebbero una simile ipotesi.
. Pochi mesi dopo il governo spagnolo accoglie la domanda del Consorzio del Cava di prevedere la certificazione bio nel proprio disciplinare.
. L’Europa non ha nulla da obiettare rispetto alla modifica del disciplinare del Cava. E in Gazzetta Ufficiale pubblica: “il fatto che la fascia alta della produzione [del Cava] provenga esclusivamente da vigneti catalogati come biologici differenzia il «Cava» dal resto dei vini spumanti suoi concorrenti diretti nel mondo”.
. A questo punto giudicate voi della fondatezza della risposta data dal Ministero italiano.

Il Valdarno di Sopra e la sua richiesta

Valdarno di Sopra

Valdarno di Sopra

La Denominazione Valdarno di Sopra è stata costituita nel 2011 su un territorio già coperto dalla Denominazione Chianti. Tuttavia stiamo parlando di una zona che può vantare un territorio molto particolare (la vicenda geologica della creazione del Valdarno è veramente un unicum, che magari approfondiremo in futuro) ed una storia vitivincola segnata dal celebre bando di Cosimo III del 24 settembre 1716, “sopra la dichiarazione di confini delle quattro Regioni: Chianti, Pomino, Carmignano e Val d’Arno di Sopra”. Non solo, ma stiamo parlando anche di una terra dove si trovano alcune aziende di livello assoluto e quindi l’idea di una denominazione specifica appare del tutto sensata.

Dalla fondazione il Consorzio ha saputo mostrare una certa vitalità e a partire dal 2017 ha avviato una procedura di modifica del proprio disciplinare di produzione per renderlo più attuale non solo rispetto alle richieste del mercato, ma anche alle opportunità di tutela dell’ambiente e della salute dei consumatori. Tra le proposte più importanti venute con tale revisione, c’è stata quella di includere nella Denominazione solo vini con certificazione biologica.

Inizia una fase di interlocuzione con l’allora Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali che dura diversi mesi. Inizialmente sembra esserci una positiva predisposizione, ma nel prosieguo del dialogo sorgono le prime obiezioni che di lì a qualche tempo porteranno al non accoglimento della modifica richiesta (nel 2018) dal Consorzio del Valdarno di Sopra con una lettera del 1° di aprile 2020. Alla luce di quanto vedremo viene da pensare che la scelta della data non sia stata casuale.

La risposta del Ministero

Un tempo era il Mipaaf oggi è il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste

Un tempo era il Mipaaf oggi è il Masaf: Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste

In relazione all’inserimento nel disciplinare dell’obbligo di produzione con metodo biologico, si comunica che la domanda non è accoglibile” a scriverlo è il Dipartimento delle Politiche Competitive e della Qualità Agroalimentare del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (Mipaaf) [1]. Per farla breve l’ufficio del nostro ministero dell’Agricoltura specializzato proprio in questo tipo di questioni.

Ma perché questa decisione? La domanda non è stata giudicata accoglibile “in quanto, in conformità alla definizione di denominazione d’origine […] gli elementi che che deve contenere il disciplinare devono essere quelli che incidono sulla qualità specifica del prodotto e non gli aspetti di carattere orizzontale (tra cui il metodo di produzione biologico) che sono disciplinati da specifiche norme”. Non solo, successivamente si aggiunge anche una nota ulteriore da tenere presente. Il Ministero afferma infatti che “un tale obbligo – quello della certificazione biologica ndr – comprometterebbe la qualificazione della produzione con la Denominazione di Origine qualora le relative partite non riportassero l’idoneità di certificazione con metodo biologico con evidente danno per gli operatori interessati“. Prevedere la certificazione biologica nel disciplinare sarebbe dunque un danno per gli operatori… Interessante e ci torneremo dopo. Ma rimaniamo sul punto centrale.

Il motivo principale del rifiuto pare espresso con la dovuta chiarezza. In poche parole si fa presente che in un disciplinare non si può introdurre un requisito come quello della certificazione biologica. A sostegno di questa tesi si citano gli articoli 93 e 94 comma 2 del Regolamento Europeo n.1308/2013. Quindi, in buona sostanza, il nostro Ministero ha bloccato la domanda del Consorzio Valdarno di Sopra come a dire: se anche noi la accogliessimo, questa verrebbe respinta a livello europeo. Ma è davvero così?

Andiamo a vedere questi articoli e commi citati, perché al netto del burocratese i concetti espressi sono piuttosto semplici.

L’articolo 93 serve da cornice per capire di cosa parliamo quando parliamo di “denominazione di origine”, cosa credo possa essere utile a tutti conoscere.

  1. Si intende per: a) “denominazione di origine”, il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali e debitamente giustificati, di un paese che serve a designare un prodotto [..] conforme ai seguenti requisiti: i) la qualità e le caratteristiche del prodotto sono dovute essenzialmente o esclusivamente a un particolare ambiente geografico e ai suoi fattori naturali e umani; ii) le uve da cui è ottenuto il prodotto provengono esclusivamente da tale zona geografica; iii) la produzione avviene in detta zona geografica e iv) il prodotto è ottenuto da varietà di viti appartenenti alla specie Vitisvinifera;

Il punto chiave, per quel che a noi interessa, è che “la qualità e le caratteristiche del prodotto sono dovute essenzialmente o esclusivamente a un particolare ambiente geografico e ai suoi fattori naturali e umani”. Una definizione molto chiara, semplice e, credo di poter dire, anche molto corretta. L’articolo 94 comma 2, in linea con quanto sopra, dettaglia ulteriormente ciò che un disciplinare di produzione deve necessariamente contenere [2].

Ulteriore nota: il Dipartimento del Ministero, nella lettera con cui motiva il non accoglimento della richiesta del Consorzio del Valdarno di Sopra, segnala di aver acquisito anche il parere del Comitato Nazionale Vini DOP e IGP. Tale Comitato è organo del Mipaaf, è composto da rappresentanti di categorie professionali e del mondo produttivo (tra gli altri ci sono rappresentanti delle cantine sociali e cooperative agricole, delle organizzazioni degli industriali vinicoli, dell’Associazione enologi enotecnici italiani), e personalità accademiche (attualmente è presieduto da Attilio Scienza) e ha competenza in materia di tutela qualitativa dei vini Dop e Igp e della loro valorizzazione commerciale. Il suo intervento è previsto proprio nella procedura di esame delle domande di protezione e modifica dei disciplinari di produzione dei vini DOP e IGP ed in questo caso il suo parere è stato perfettamente allineato a quello espresso dal Dipartimento del Ministero.

A ben vedere però, nonostante quanto scritto dal Dipartimento del Ministero e ribadito dal Comitato Nazionale Vini DOP e IGP, non pare esserci negli articoli citati alcuna ragione che impedisca l’inserimento del metodo di coltivazione biologica tra i requisiti previsti da un disciplinare.

La domanda del Cava (senza alcuna obiezione dalla Commissione Europea)

Zone di produzione del Cava - da mycupofwine.com

Zone di produzione del Cava – da mycupofwine.com

Ed infatti, il 14 settembre 2021 la Commissione Europea pubblica sulla propria Gazzetta Ufficiale l’accoglimento di alcune modifiche al disciplinare del Cava, il noto vino spumante spagnolo prodotto con metodo classico. Ed il punto 1 di tale annuncio è molto semplice e ve lo riporto per intero.

Come requisito per la produzione di «Cavas de Guarda Superior» («Reserva», «Gran Reserva» e «Paraje Calificado» [3]) si stabilisce che il vigneto disponga di una certificazione biologica, fissando un periodo transitorio di cinque anni per la sua effettiva applicazione, e abbia un’età minima di 10 anni.

Com’era quella storia che inserire il requisito di certificazione biologica non era ammissibile secondo le regole europee?! Il Ministero italiano, di fatto, ha respinto la richiesta di un Consorzio adducendo che tale richiesta non era compatibile con le norme europee di riferimento. Quanto affermato dal Ministero si è dimostrato nei fatti non corretto, perché una richiesta simile, sulla questione specifica dell’inserimento della certificazione biologica in disciplinare, è stata accolta senza problemi dalla Spagna e l’Europa non avuto alcunché da obiettare.

Non solo, ma nella stessa pubblicazione in Gazzetta si può leggere il motivo per cui la richiesta di modifica del disciplinare del Cava non è stata oggetto di obiezioni da parte della Commissione. Ed anche in questo caso vi riporto per intero quanto scritto in Gazzetta Ufficiale.

La climatologia specifica della regione del «Cava», considerando fattori quali la pluviometria, le temperature medie e il soleggiamento, permette la coltivazione della vite secondo le linee guida dell’agricoltura biologica, aumentando la biodiversità dell’ambiente circostante. Nel frattempo, la richiesta da parte del consumatore di prodotti biologici ottenuti in modo sostenibile e nel rispetto dell’ambiente circostante, del paesaggio e della natura aumenta sempre di più. Tenendo conto di questi aspetti, il fatto che la fascia alta della produzione provenga esclusivamente da vigneti catalogati come biologici differenzia il «Cava» dal resto dei vini spumanti suoi concorrenti diretti nel mondo, i quali difficilmente potranno diventare biologici, essenzialmente a causa delle caratteristiche climatiche intrinseche della zona geografica in cui sono prodotti.

Perché vi ho detto di tenere presente l’approccio italiano alla questione, laddove sosteneva che la previsione di una certificazione biologica in disciplinare avrebbe rappresentato un danno per gli operatori? Perché qui, invece, si inquadra il metodo biologico inserito in disciplinare in una luce ben diversa, considerandolo un valore aggiunto per le categorie di Cava interessate dalla modifica del disciplinare. Due approcci ben diversi.

Il curioso approccio all’italiana

Che figura di ...

Che figura di …

La questione dell’approccio “all’italiana” che si evince dalla risposta del nostro Ministero è particolarmente curiosa.
Ricordo che stiamo valutando il caso in cui un Consorzio chiede una modifica al proprio disciplinare, sono quindi le aziende stesse a chiedere di potersi qualificare anche rispetto al metodo di coltivazione biologica. E lo fanno proprio in considerazione del fatto che tutti i soci del Consorzio sono già certificati bio, compresi i produttori erga omnes.
Come chiunque è in grado di cogliere, ogni disciplinare, per sua natura, contempla elementi che vincolano la libertà imprenditoriale di coloro che intendano produrre un vino di una specifica denominazione. Si tratta di limiti territoriali, relativi ai vitigni da utilizzare, l’invecchiamento etc.. etc.. Quindi l’argomento che il vincolo del biologico comprometterebbe la qualificazione della produzione con la Denominazione di Origine qualora le relative partite non riportassero l’idoneità di certificazione con metodo biologico con evidente danno per gli operatori interessati è argomento particolarmente curioso.

Si dice che a pensar male si faccia peccato, ma capiti di non andar lontani dal vero. E io per quel po’ di politica che ho fatto – anche nei palazzi – ho ben presente il modo di chi preferisce mettere a tacere una questione sul nascere per evitare di doverla affrontare nel merito. Se dovessi pensare all’imbarazzo di importanti (anche politicamente) consorzi italiani di fronte all’ipotesi di una richiesta di produrre in regime bio… beh, capisco la volontà di bloccare sul nascere il concretizzarsi di tale ipotesi. Anche a costo di addurre motivazioni inconsistenti come si sono rivelate essere quelle addotte dal Dipartimento del Ministero. Ma questa è solo un’ipotesi.

Certo, se non è così, l’unica altra spiegazione è l’incompetenza di chi ha dato quella risposta. E non mi pare ipotesi più incoraggiante.

A questo punto resta da vedere se il Consorzio del Valdarno di Sopra vedrà adesso accolte le modifiche richieste 5 anni fa.
Viste le premesse: in bocca al lupo.

_______________________

[1] Oggi Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.
[2] Art. 94.2 Il disciplinare di produzione permette agli interessati di verificare le condizioni di produzione relative alla denominazione di origine o all’indicazione geografica. Il disciplinare di produzione contiene almeno: a) il nome di cui è chiesta la protezione; b) una descrizione del vino o dei vini: i) per quanto riguarda una denominazione di origine, la descrizione delle principali caratteristiche analitiche e organolettiche; ii) per quanto riguarda una indicazione geografica, la descrizione delle principali caratteristiche analitiche e la valutazione o indicazione delle caratteristiche organolettiche; c) se del caso, le pratiche enologiche specifiche utilizzate nel l’elaborazione del vino o dei vini nonché le relative restrizioni applicabili a detta elaborazione; d) la delimitazione della zona geografica interessata; e) le rese massime per ettaro; f) un’indicazione della o delle varietà di uve da cui il vino o i vini sono ottenuti; g) gli elementi che evidenziano il legame di cui al paragrafo 1, lettera a), punto i), oppure, secondo i casi, al paragrafo 1, lettera b), punto i) dell’articolo 93; h) le condizioni applicabili previste dalla legislazione unionale o nazionale oppure, se così previsto dagli Stati membri, da un’organizzazione che gestisce la designazione di origine protetta o l’indicazione geografica protetta, tenendo conto del fatto che tali condizioni devono essere oggettive, non discriminatorie e compatibili con il diritto dell’Unione; i) il nome e l’indirizzo delle autorità o degli organismi che verificano il rispetto delle disposizioni del disciplinare di produzione, nonché le relative attribuzioni.
[3] Cava Reserva (minimo 18 mesi di affinamento), Gran Reserva (minimo 30 mesi di affinamento) e Cava de Paraje Calificado (realizzati in un determinato territorio e con un minimo di 36 mesi di affinamento).

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Tommaso Ciuffoletti

Ha fatto la sua prima vendemmia a 8 anni nella vigna di famiglia, ha scritto di mercato agricolo per un quotidiano economico nazionale, fatto l'editorialista per la spalla toscana del Corriere della Sera, curato per anni la comunicazione di un importante gruppo vinicolo, superato il terzo livello del Wset e scritto qualcos'altro qua e là. Oggi è content manager di una società che pianta alberi in giro per il mondo, scrive per alcune riviste, insegna alla Syracuse University e produce vino in una zona bellissima e sperduta della Toscana.

9 Commenti

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Nelle Nuvole

circa 1 anno fa - Link

Che belle queste inchieste di Tommaso, hanno un che di investigazioni "sudamericane". Quanto ai vini del Valdarno di Sopra, questi continuano a crescere in qualità e consapevolezza da parte dei produttori. I quali produttori saranno sì nomi prestigiosi, ma sono comunque sempre dodici gatti circa. Chi compra e beve quei vini "prestigiosi" spesso manco lo sa dove si colloca il Valdarno nella cartina dell'Italia. Ma non sarà ancora a lungo così, i consorziati si stanno muovendo molto bene e con dinamismo, l'importante è che restino compatti e non si demoralizzino dell'inanità ministeriale

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Tommaso Ciuffoletti

circa 1 anno fa - Link

Grazie! E la penso allo stesso modo sul Valdarno di Sopra. Più in generale mi pare un momento molto interessante per la Toscana del vino. Tanto quelle storiche e blasonate, quanto le "nuove" e meno "centrali".

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Rolando

circa 1 anno fa - Link

Eh no, non è una cosa molto edificante, e le conclusioni, pur ovvie, le hai ben espresse. C'è sempre la solita domanda: quanto fa vendere in più la fascetta sul collo? vale ancora la pena starci dentro?

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Tommaso Ciuffoletti

circa 1 anno fa - Link

Bella domanda. In generale credo siano poche le fascette che fanno la differenza sullo scaffale. Nel caso specifico il Valdarno Superiore è una zona che sta cercando di costruire una propria riconoscibilità. È una denominazione giovane e da tenere d'occhio. A breve voglio fare un piccolo report sui sangiovesi delle denominazioni toscane "minori".

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Giuseppe

circa 1 anno fa - Link

Davvero curioso... Ma quindi adesso il consorzio, alla luce di quanto successo per il Cava, ha deciso di riprovarci? Nel caso sarebbe interessante monitorare l'evoluzione... Grazie e buona giornata a tutti

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Tommaso Ciuffoletti

circa 1 anno fa - Link

Come si dice in questi casi: monitoriamo la situazione! :)

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Paolo

circa 1 anno fa - Link

in ogni caso la determina che respinge la richiesta di modifica è un atto amministrativo. E gli atti amministrativi sono soggetti ad apposita procedura di verifica tramite apposita magistratura, chissà se...

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gabriele

circa 1 anno fa - Link

Posso azzardare una critica anche a Tommaso? "niente di nuovo sotto il sole" per quel che riguarda la burocrazia italiana, di che ti meravigli? (ovvio: non è una vera critica! anzi, bravo che non ti rassegni)

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Tommaso

circa 1 anno fa - Link

La cosa interessante da notare è che la strategia adottata dopo la topica presa, è quella di fare finta di nulla. Nè scuse, nè inviti a trovare soluzioni di mediazione. Nulla. Il silenzio. Come se a loro nulla fregasse. Complimenti. Complimenti. Complimenti.

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