Damiano Ciolli, vignaròlo

Damiano Ciolli, vignaròlo

di Marco Colabraro

“La cosa più bella di Roma è il treno per tornare a Milano”.
Scherzo ovviamente, tanto è vero che l’affermazione nasce al contrario e basta invertire le due città per trovare una delle espressioni tipiche del romano quando una trasferta lo porta nella città del Duomo.

Ve lo dice un uomo del nord, sangue misto di polenta e soppressata, milanese per nascita e calabrese di padre: fai una cinquantina di chilometri a sud-est di Roma e l’orizzonte ti sembra un Monferrato più selvatico. Perché anche noi rimpiangiamo i posti del cuore. Boschi con una vegetazione bassa frammisti a piccoli borghi sormontati da rocche, case che poggiano anche sulla roccia e poi vigne: pare che qui ogni famiglia possieda una terra che coltiva da sempre. Peccato per certa imprenditoria del vino sfuso improvvisata negli anni Ottanta, un bel tornado che ha spazzato via gran parte dei vigneti di qualità per sostituirli con vitigni da quantità. Addio a cesanese e malvasia, benvenuti trebbiano e merlot.

Arrivo in uno dei paesi d’elezione del cesanese: Olevano Romano si trova proprio a ridosso del monte Celeste, circondato dagli Appennini e in prossimità della valle del fiume Aniene. La zona è riparata, al mattino spira un vento leggero proveniente dal Mar Tirreno che evita i marciumi e l’irrigazione naturale è data dai temporali frequenti e mai troppo rabbiosi; la viticoltura ne guadagna.

Pochi chilometri di auto dal piccolo centro città e raggiungo la cantina Damiano Ciolli. Damiano mi accoglie in jeans e maglioncino grigio, il volto da attore del cinema romano, più Monicelli che Vanzina, anche se lo vedrei bene in un film dell’ultimo Verdone. La parlata è sciolta, l’accento è marcato, più ciociaro che romano, dice anche “bevere” che all’orecchio di un milanese dà il gusto di una porchetta d’Ariccia, di una foto con i gladiatori davanti al Colosseo.

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L’azienda ha 7 ettari in produzione più 2 appena piantati in gran pendenza, il tutto per 3 vini: 2 Cesanese di Olevano Romano Doc (Silene e Cirsium) entrambi da cesanese di Affile in purezza, e un Bianco igt (Botte Ventidue) da 70% trebbiano verde e 30% ottonese. In vigna, biodinamica senza estremismi. Siamo a 400 metri circa sul livello del mare, esposizione prettamente a sud.

L’ettaro dal quale si fa il Cirsium è una meraviglia. Piante ad alberello per lo più anni ’50 che modificate in parete disegnano tanti cristi da pietà michelangiolesca con le dita tese alla Edward mani di forbice verso l’alto. Poco distante, uno dei quattro vigneti da cui proviene il Silene: Damiano mi mostra anche gli altri tre, tutti diversi per età delle viti, esposizione e terreno.

Nell’ultimo, il più giovane e ripido che consta di argille bianche, incontro Letizia Rocchi, intenta a potare in tenuta tecnica antifreddo. Tecnica è anche lei, con in tasca studi di enologia e un dottorato di ricerca che l’ha portata pure in America e che non si è esaurito in una cerimonia: qui continua e sperimenta, insieme a Damiano (che è pure suo marito), alla ricerca dell’eleganza. In cantina lieviti indigeni, fermentazioni spontanee, tecnica ed esperienza.

Letizia Rocchi

Degustiamo dal cemento le singole parti che poi messe insieme diventeranno il loro Silene, vino ottenuto da circa 10 giorni di macerazione sulle bucce e una sosta in cemento per un anno.

Vigna nuova di fianco alla vigna del Cirsium (40 ettolitri)
Si deve ancora fare, ma quello che si nota è la freschezza, buona sapidità, corpo snello, sentori ferrosi, non a caso il terreno è vulcanico.

Vigna Colle Amici (40 ettolitri)
Qui corpo, struttura, una nota balsamica molto presente, non ancora in equilibrio.

Vigna nuova (20 ettolitri)
Struttura ma soprattutto naso e bocca, bella complessità. Spezie dolci, terra, erbe e una nota affumicata. Questi sono odori e sapori che ritroveremo più eleganti in Silene, il mio assaggio preferito!

Vigna Cerreto (20 ettolitri)
Frutta e succo, viola e ciliegia, bella materia viva.

Immagino i vini assemblati e con un esercizio d’immaginazione ci ritrovo, al netto delle annate, i Silene fatti e finiti bevuti negli anni passati. Affascinante.

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La Riserva Cirsium è un altro vino, come diversa è la vigna singola da cui proviene. Un anno in botte grande, poi un anno in cemento, infine un anno di bottiglia. Più struttura, più complessità, più capacità di invecchiamento. Un vino con meno bevibilità, più importanza, da attendere, che nelle annate buone corre il bel rischio di stupire per eleganza e guadagna molto in beva.

Questi gli assaggi dei futuri Cirsium:
2022 (da botte)
Grande sostanza, pienezza, complessità; il frutto è ben presente, emerge la ciliegia, il tannino è scalpitante; si deve fare ma le premesse ci sono tutte.

2021 (in cemento)
Meglio, come deve essere d’altronde. Il sorso si alleggerisce e acquista eleganza, sia al naso che in bocca, una bella nota di pepe e sentori di liquirizia in stecca, note ferrose e incenso, tannino più integrato e finale già lungo.

Il Cirsium 2020 se ne riposa in bottiglia ma non l’ho assaggiato mentre il 2019 al momento è il mio preferito. Se lo trovate pijatevelo o, come diciamo a Milano, catel sù!

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Marco Colabraro

Nato a Milano, sangue misto polenta e peperoncino. Di ritorno da un viaggio in Eritrea si iscrive all’Accademia d’Arte Drammatica e fa l’attore per un po’, poi fugge nella Parigi dei bistrot, a Roma corregge romanzi in qualche casa editrice e cambia lavoro ogni tre mesi circa. Torna a Milano, beve per amore dell'ebrezza e della conoscenza, il suo piatto preferito è la pastasciutta al pomodoro.

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