Elogio del vino semplice

Elogio del vino semplice

di Thomas Pennazzi

Il vino semplice non ha cittadinanza su queste pagine. Bevitori di châteaux, appassionati puntigliosi, professionisti del settore, critici e guidaroli, tutti lo snobbano. Perché lui, poverino, non ha etichetta – che orrore! – e lo vendono a litri. Diamogli voce, per una volta.

Il vino semplice è il proletario dell’enologia, non ha pretese di blasone né rappresentanti azzimati e ciarlieri. Al massimo gli è permesso sfoggiare una paternità di vitigno ed una DOC, ma ormai un cavalierato lo si dà a chiunque, che sarà mai? Se ci pensate bene però, è la colonna portante del vino italiano: la massa ettolitrica la costituisce lui, insieme all’infame fratellastro, il vino da bottiglione.

Quando arriva la fine dell’inverno, i vignaioli che lo producono aspettano il cliente che arriva con le sue damigiane nel baule. Tutto uno sciame di macchine dalla pianura allora risale i primi colli a prendere il vino nuovo in cantina. Lo faceva tuo padre, forse perfino tuo nonno, ed ora lo fai anche tu. E anche il produttore probabilmente è figlio o nipote di quello che per primo fornì la tua famiglia, e ti conosce da una vita.

Il vino semplice nasce in cantine modeste, arruffate magari, ma sincere. Non è destinato a finire sulle tavole domenicali, ad essere esibito sui social, recensito, vivisezionato, punteggiato, no. È il vino della mensa quotidiana, della bicchierata spensierata, del quartino che spegne la sete estiva, e della fetta di salame all’osteria. E non disdegna il vetraccio infrangibile, lui che è nato nudo.

Già, perché il vestito glielo darai tu che te lo porti via e lo imbottigli a casa tua. Capiterà perfino che il vino semplice non riceva nemmeno quella minima dignità: basta che siano entrambi veneti, ed il bevitore poco distante dalla cantina, cosa facilissima, per passare in tavola direttamente da una dama o una tanichetta, e via così, in un andirivieni di settimana in settimana, come prelevare acqua da una sorgente.

Di solito però il viaggio ed il lavoro si fa una volta all’anno: certo, non è cosa da tutti, direte. Ci vogliono l’attrezzatura, gli spazi per lavorare, le bottiglie vuote e pulite, i tappi, i cartoni, la cantina fresca! Ed una schiena non troppo artrosica, se amate i dettagli.

Ma il lavoro si ripaga con tante piccole soddisfazioni, infine. Specialmente se il vino semplice è anche buono. Di sicuro è più eco-compatibile dei suoi fratelli ricchi: veste sempre le stesse bottiglie, lavate anno dopo anno, usa i cartoni recuperati da altre cantine, ha il cappello riciclabile in polietilene oppure di latta, e se è di sughero finirà nel camino. La capsula non gli si addice, mica fa lo snob come i suoi fratellastri da supermercato, lui.

Quando fa veramente divertire il vino semplice è un vino frizzante. Che è un po’ tutta la tradizione che trovate risalendo la Via Emilia bolognese, e piegando a sinistra una volta raggiunto il Po. Piemontesi e toscani bevano il tranquillo e si tacciano, per una volta. I lombardi della Bassa e gli emiliani sorridono sornioni, e brindano felici: la gioia che donano queste sciampagne dei poveri, loro la conoscono bene.

Su questi colli dietro casa si producono secondo un sistema atavico dei vini semplici, bianchi e neri, che tramandano la centenaria allegria delle osterie padane. Lo schiocco all’apertura, le quattro dita di schiuma nel bicchiere, la bollicina ruspante che raschia la gola, tutto concorre a farvi passare un’estate dissetata e ad ottenere d’inverno il palato sgrassato dalle tante porcherie che si presenteranno in tavola. Però solo se il vino semplice sarà rispettoso della tradizione potrete godere del suo gustoso brio popolano.

Il segreto è banale: il vino semplice dell’Appennino settentrionale rifermenta una volta che cominciano i primi caldi. È la solita vecchia storia, i lieviti indigeni, un residuo zuccherino, la feccia fine, un po’ di torbido se lo versate fino in fondo, un tappo a tenuta e soprattutto una bottiglia resistente: ché quell’anno che gli gira, il vino semplice sfodererà anche lui le sue belle 6 atmosfere, che vi credete? Direte però che queste cose ce le abbiamo già sullo scaffale dell’enoteca senza scomodarci con tutto il trafficare di cantina; si chiamano Metodo Ancestrale, Sur Lie, Colfondo, No Autoclave, Vino Vivo, e via elencando. E sono pure di moda.

Vero, verissimo. Ma se farete quel tal viaggetto annuale dal vostro vignaiolo di fiducia, può anche darsi che al prezzo di un cartone da 6 già pronto, ne porterete via un’intera damigiana. E allora, mettendoci un po’ di lavoro, avrete in tavola sciampagna e festa tutti i giorni.

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Thomas Pennazzi

Nato tra i granoturchi della Padania, gli scorre un po’ di birra nelle vene; pertanto fatica a ragionare di vino, che divide nelle due elementari categorie di potabile e non. In compenso si è dedicato fin da giovane al suo spirito (il cognac), e per qualche anno ne ha scritto in rete sotto pseudonimo.

23 Commenti

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AG

circa 1 anno fa - Link

'Bianco o rosso ? Sì!' (Cit.)

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vinogodi

circa 1 anno fa - Link

...divertente lettura, come sempre ... tra l'altro sono "vittima" di amici dove lo sfuso impera da generazioni . Rispetto, per genetica, il lavoro dei vignerons ed anche dei folli imbottigliatori casalinghi , legati da un fil rouge invisibile ma inalienabile. Sorrido con tenerezza nei confronti di questa apologia del "semplice" , che riporta all'ancestrale rito semipagano del bere "il sangue del proprio lavoro" , anche se perpetrato fra le mura casalinghe per passione o tradizione. I risultati? Non sempre quelli aulici che l'eccezionale scrivente ( grazie ancora , Thomas, per le "gocce di poesia" che rallegrano , periodicamente, la lettura su Intravino) ci snocciola attingendo contemporaneamente dal nostro ipotalamo o da trascorsi spensierati , soprattutto di gioventù . La contaminazione frequente del "berealto" non aiuta , ma aiuta a comprendere che il mondo "reale" è fatto di quotidianità e sapori non sempre codificati o codificabili né dalla critica né dall'immaginario collettivo degli enoperversi . ..

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Kalosartipos

circa 1 anno fa - Link

In foto, però, il rosato di Valentini... non proprio "uno qualunque"...

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Alessandro Morichetti

circa 1 anno fa - Link

Ehhh, occhio di lince. Ho riciclato una vecchia foto, ci stava bene ;-)

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Claudio

circa 1 anno fa - Link

Appena prese due damigiane di Radice Paltrinieri...soddisfazione

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Tommaso

circa 1 anno fa - Link

Thomas, ricordati che c'è un viaggetto che ti aspetta a fine giugno! Il 24 giugno, per l'esattezza. È sabato. E la destinazione la conosci: San Giovanni delle Contee!

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Omikelet

circa 1 anno fa - Link

Che bel pezzo, quanti ricordi! A casa mia (Verona) ricordo da bambino le damigiane di Bardolino e Valpolicella da 25 litri e il mitico tubo di gomma da cui, per gioco, bevevo il mio primo vino mentre aiutavo mio padre a travasare. Era un vino certo molto più limitato e semplice di quello moderno ma non lo ricordo così difettato (anzi il Valpolicella aveva una bella acidità beverina che ora è quasi scomparsa nella incarnazione moderna). La cosa che invece aveva di più del vino moderno era il suo essere dichiaratamente un alimento. Qualcosa che sulla tavola c’era sempre come il pane e alimentava la convivialità. Amici di famiglia che potevano permettersi di andare ogni anno in Langa in autunno a riempire il baule di tartufo bianco e Barolo non disdegnavano a pranzo di aprire il bottiglione senza nome per iniziare, e poi via con il Barolo di Bartolo, e nessuno ci trovava nulla da dire. Anzi spesso il bottiglione finiva per primo. Non sono interessato all’elogio del tempo che fu perché è tutto molto filtrato dai ricordi, però credo che recuperare una maggior semplicità enologica a tavola sarebbe una cosa positiva, e forse in alcuni (molti?) casi è quello che ci manca oggi. Tempo fa si parlava su Intravino di bottiglie come il Lezér di Foradori o il Valpolicella Classico di Monte dall’ Ora, confesso che ogni volta che li bevo a pranzo mi ritrovo spiazzato da quanto un vino semplice, ma fatto bene come quelli, riesca a darmi così tanto piacere

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Littlewood

circa 1 anno fa - Link

Il fatto e' che nella nostra valpolicella tanti hanno "sporcato,, le nostre varieta' con cabernet e rossissimi vari ossessionati dal colore e da appassimenti imperanti. Il valpolicella classico dovrebbe essere il vino semplice ma non banale! Quello di Carlo( ma nn solo quello per fortuna...) Ne' e' un' esempio fulgido!

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marcow

circa 1 anno fa - Link

Bell'articolo di Thomas P. __ Vorrei dire qualcosa sul cd. VINO "SEMPLICE". Distinguerei. C'è il vino che vendono le cantine, dalle meno blasonate alle più blasonate. C'è il piccolo produttore privato che vinifica le sue uve e vende privatamente il suo vino senza etichette: è sempre un vino "semplice" ma è diverso, secondo me, dal vino semplice delle cantine. Questo vino potrebbe essere la nuova versione, la versione "contemporanea" di quello che si chiamava "vino del contadino" sul quale ho letto ettolitri di insulti sul wine blog italiani. Il discorso su questi vini del contadino andrebbe approfondito ma non è questo il momento. Poi, infine, a queste 2 tipologie di vini "semplice" bisognerebbe, secondo me, aggiungerne un'altra: il vino che il produttore di uva fa per se stesso, quello che beve a tavola in famiglia. Allora, è sempre una questione di manico: lo abbiamo visto anche a proposito delle UGA del Chianti: l'importanza del manico, cioè della tecnica, cioè delle abilità tecniche. Quindi, per concludere, immaginate un produttore di uva che è anche un ottimo vinificatore. Uno che sa fare il vino. Ecco bisognerebbe andare alla scoperta di questi vini per provare "nuove emozioni". Vi ricordate Maule quando parlava di vini che devono emozionare? I vini di cui parlo ... emozionano... perché non sono VINI OMOLOGATI... non seguono un DISCIPLINARE. Ripeto ci vuole un manico bravo e si possono produrre e bere vini ... SEMPLICI...senza etichette... che e m o z i o n a n o.

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vinogodi

circa 1 anno fa - Link

...CITO (Veronelli) : ..." il peggior vino del contadino sarà sempre migliore del più buon vino "industriale" ... forse doveva assaggiare quello di mio nonno materno (che aveva la vigna e vinificava) ...mamma mia...

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marcow

circa 1 anno fa - Link

PS Considerazione correlata I DISCIPLINARI sono uno dei più potenti strumenti di OMOLOGAZIONE dei vini. E non è vero che sono a favore del consumatore-bevitore. Tanto è vero che viene "cambiato" quando... fa comodo... al produttore di vino. Conosco una mozzarella di bufala che non ha il marchio Dop perché non aderisce al consorzio ... e che da più garanzie di qualche caseificio che si fregia dell'etichetta con il marchio: una mozzarella di bufala... SEMPLICE.

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Carolaincats

circa 1 anno fa - Link

Ho passato tutta la mia giovinezza dai 12anni ai 20 a riempire damigiane di vino rosso e bianco, con il loro bidello coi nomi delle varietà, tutti i sabati pomeriggio e le domeniche da febbraio a giugno... Mio papà ci ha mantenuto così. Solo adesso capisco il sacrificio suo e mio e di mia madre e mio fratello. Per scelta non faccio più sfuso, però non si sa mai...

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Andrea C.

circa 1 anno fa - Link
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Andrea C.

circa 1 anno fa - Link

A me non piace pasteggiare con vini violenti e furiosi, che si gloriano di forti attrattive e hanno famosi sapori speciali. A me piacciono soprattutto i vini paesani puri, leggeri, modesti, senza nomi particolari: se ne può bere molto e hanno un sapore buono e amichevole di campagna, di terra, di cielo e di piante. Un buon bicchiere e un pezzo di pane, ecco il migliore dei pasti. cit.

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cavciofodi

circa 1 anno fa - Link

Concovdo!! Anch'io adovo pasteggiave con vini paesani come Montvachet, Petvus e Monfovtino, ne bevvei a ettolitvi... E devo confessavle un segveto: più viesco a scvoccavne più sono felice, ecco...

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Andrea C.

circa 1 anno fa - Link

Ho riportato una citazione tratta da un libro poco conosciuto, aspetti mi sembra che si intitoli Il Lupo della Steppa, ma sì, il romanzo di quel fallito scrittore tedesco, un certo Hesse. Mi sembrava si adattasse perfettamente a questo articolo veramente godibile e largamente condivisibile. Evidentemente non lo ha trovato appropriato, ma mi creda, quando ne capirà lo spirito, avrà probabilmente imparato a bere il vino senza dover guardare all’etichetta. Prosit

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marcow

circa 1 anno fa - Link

Andrea C, i, veramente, avevo INTERPRETATO in un altro senso le parole di cavciofodi. ---- A proposito di ... INTEPRETAZIONE. ---- Cosa voleva dire Luigi Veronelli con quella famosa frase sul VINO del CONTADINO? E cosa intendiamo per Vino del Contadino? ---- Ebbene, sulla frase di Veronelli, se vi fate una passeggiata nel Web, si può facilmente constatare che ci sono mille sfumature. C'è anche un podcast della RAI(che potete rintracciare) dedicato al vino del contadino e alla frase famosa di Veronelli con interventi di Carlo Petrini e Luca Maroni. (Alla fine del Podcast non si capisce cosa aveva voluto dire veramente Veronelli con quella provocazione e... cosa intendiamo per ... vino del contadino) ---- Ma anche su cosa sia OGGI il vino del contadino ci sono delle sfumature semantiche che, secondo me, sono anche emerse nel dibattito. Veronelli dovremmo rispettarlo non "interpretando" a modo nostro quello che ha detto decenni fa. Ma, soprattutto, non facendogli esprimere delle opinioni sulla realtà del vino... di OGGI... che è molto, radicalmente, diversa dalla realtà che ha visto e vissuto Veronelli. In questo senso, alla luce delle profonde trasformazioni del mondo e del mondo del vino, voi pensate che il contadino di oggi è lo stesso contadino di 50 anni fa? E fa il vino come lo faceva il nonno? (Veronelli, comunque, in quella famosa frase... che va "interpretata"... non lo denigrava... come ancora si continua a fare oggi). Dicevo dei cambiamenti EPOCALI. Tanto per evidenziarne alcuni. Ma perché un contadino deve vendere sempre in damigiane da travasare? Non può vendere in pratici Bag in Box? Un contadino "contemporaneo" può fare un vino che non diventi aceto dopo alcuni mesi? Si. Non soltanto. Ma può fare anche di più ... se si impegna... si informa bene... studia ... approfondisce... si aggiorna ecc ... ---- Per concludere. Non è vero che per mangiare un buon dolce bisogna andare soltanto in pasticceria e per bere un buon vino semplice bisogna andare soltanto in una cantina. O, per fare un altro esempio, non è vero che per degustare la famosa focaccia barese bisogna andare soltanto nei posti segnalati dalle classifiche perché ci potrebbe essere, e c'è, nelle famiglie baresi chi fa una focaccia migliore dei più blasonati panifici baresi. O bere un negroamaro, un primitivo, un nero di troia ... fatto da un contadino "contemporaneo" ... fatto "come si deve"... e rimanere sorpresi.

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Giuseppe

circa 1 anno fa - Link

Non ho sottomano dati precisi ma sono convinto che lo sfuso ...ERA la colonna portante del vino italiano... 40 anni fa praticamente tutti quelli che conoscevo, parenti, vicini di casa, genitori di amici e compagni di scuola imbottigliavano ad oggi, nella stessa platea di conoscenze, rimangono solo 2 stoici amici (e il loro sfuso in effetti non e' niente male). Ricordo con piacere la ritualita' e tutto il resto ma oggi sarebbe improponibile, tanto per dirne una, significa rinunciare alla varieta`/scoperta/novita` a meno di organizzarsi in "gruppi d'acquisto" e suddividere l'imbottigliato. La generazione prima della mia beveva praticamente (e con soddisfazione) le stesse 2 o 3 cose per anni e anni. Verrebbe meno uno dei motori principali della nostra passione... Con dei colleghi facciamo parte di uno di questi gruppi che acquista direttamente da una grande cantina Friulana che fa un po` di tutto. Ricordo i primi anni... arrivava un camion da 12mt per 3/4 pieno di damigiane da 54lt!!! L'anno scorso e' arrivato un furgone con una dozzina di damigiane da 28lt (quelle da 54lt dovrebbero essere fuori uso mi pare) e il resto solo cartoni. Sto sperimentando la bag-in-box, con formati da 2lt molto piu` gestibile, la speranza era di tenerne 3 o 4 aperti direttamente in un angolo fresco della dispensa da cui spillare direttamente alla bisogna. soluzione purtroppo bocciata dalla moglie per logistica ed estetica GRRrrrrr... buona giornata a tutti

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Nelle Nuvole

circa 1 anno fa - Link

"Evviva Noè, il grande patriarca..." così cantava mia nonna nella macchina carica anche di noi ragazzini, imbenzinati dall'assaggio dello sfuso della Cantina Valpiana. Non ho idea come potessero entrare 4-6 damigiane, 2 genitori, 3 figli al di sotto dei 10 anni e 1 nonna, appunto Nonna Gina. Tornavamo al mare dopo un pomeriggio passato in un ambiente che odorava di vino e basta. Dopo una settimana saremmo tornati in città e dopo due settimane la Mamma e io avremmo passato un pomeriggio intero a infiascare, nello spazio umido e privato della nostra cantina di condominio, appt. 11 e 12. I fiaschi fasciati di paglia erano stati accuratamente lavati e messi ad asciugare in attesa del riempimento. Nello spazio ristretto trovava posto una damigiana per volta, sistemata su di un tavolino alto e due sgabelli più bassi, dove la mamma e io ci sistemavamo per ciucciare da una canna di plastica il vino, poi inserire la canna in un fiasco vino alla colmatura. Via così fino all'ultimo goccio travasato nell'ultimo fiasco. Alla fine eravamo un po' instabili, soprattutto io che amavo ciucciare [imprinting], ma molto soddisfatte. A gennaio tutti i fiaschi erano vuoti, gli ultimi ci avevano regalato un vino un poco "spuntato", il liquido si era "girato" ma era andato giù lo stesso. Thomas, come sempre ti riveli un ottimo narratore di cose semplici e vere.

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Mattia Grazioli

circa 1 anno fa - Link

È la storia di tutti. Non rinnegarla è un dovere, così come lo è il guardare oltre. Da nerdaccio maledetto quale sono, mi viene da parlare di scelte tecniche ed estetiche di questi vini. Personalmente non amo i vini figli di seconde e terze pressate. Penso che quelle frazioni abbiano una prepotenza gustativa e olfattiva che non mi muove in senso positivo. E non riesco ad usarle.

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Vinogodi

circa 1 anno fa - Link

....mi chiedo..."sapori antichi", vecchie tradizioni, il piacere dei ricordi...siamo sinceri: se anche lo sfuso esce dalla cantina in condizioni di potabilita', dopo l' insulto dell' imbottigliamento casereccio, il piu' delle volte ti trovi dopo l' estate un vino con tutti i difetti del vocabolario enologico. La forca caudina a cui sono periodicamente soggetto dai suddetti "amici" gia' menzionati , secondo me piu' con velato sadismo, conoscendomi, rispetto ad una condivisione edonistica, mi rendono poco propenso alla nostalgia, seppur intrisa di sana poetica del tempo che fu. Dato lo sbatti che si fa ad imbottigliare, non capisco perche' non si passi dalla cantina sociale piu' vicina e se ne prenda una tanica alla settimana da bersi bello fresco dopo sversamento in caraffa trasparente " Bormioli" o simile " da tradizione" ...

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vinogodi

circa 1 anno fa - Link

...chiaramente , salvo la damigiana non provenga da Loreto Aprutino ....

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Thomas Pennazzi

circa 1 anno fa - Link

Vinogodi sei un inguaribile snob!

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