Acadèmie de Champagne: i tre vitigni base con Andrea Gori

Acadèmie de Champagne: i tre vitigni base con Andrea Gori

di Andrea Gori

All’insegna del numero tre prosegue il nostro resoconto dell’ultima edizione della Acadèmie de Champagne. Stavolta sul palco si analizzano e si approfondiscono, dopo le tre fermentazioni e le tre età dei profumi, i tre vitigni attualmente maggioritari in Champagne ovvero chardonnay, meunier e pinot nero che da almeno 80 anni monopolizzano la regione con le loro caratteristiche complementari, capaci di dar luce a combinazioni sempre nuove grazie al lavoro di maison e vigneron. Come sempre caratterizza la struttura di queste lezioni una parte introduttiva teorica iniziale e poi la degustazione di ben sei cuvèe per approfondire il discorso sui singoli vitigni e le loro combinazioni.

Ripercorrere la storia climatica e agronomica della regione ci permette di capire molto bene come mai parlare oggi di questi vitigni è in realtà un incidente storico climatico molto particolare, che ha portato in questa fase i tre vitigni come il miglior bilanciamento tra capacità di maturazione delle uve, riserva di acidità e gamma di aromi tra loro combinabili.

La vite compare in Champagne molto prima dell’era cristiana e da allora c’è sempre stata una costante alternanza di uve rosse e bianche con la stabilizzazione attuale con pinot nero, chardonnay e meunier solo di recente a partire al 1600 (più o meno l’epoca in cui l’abate Dom Perignon si applica al vino). La Champagne è sempre (almeno dai tempi dei romani e fino al 1500) una regione famosa per i vini rossi poi (con la piccola glaciazione di inizio 1600) per i bianchi e solo relativamente di recente per le bollicine. I vigneron e gli abati della zona hanno del resto sempre avuto in mente la salvaguardia del terroir piuttosto che dei vitigni stessi. La caratterizzazione semplificata delle tre uve ha sempre visto il Pinot noir, con i suoi tipici aromi di frutti rossi e di bosco, capace di apportare corpo e potenza, il meunier ad aggiungere rotondità e aromi fruttatti e lo chardonnay baluardo della florealità e agrumi, a livello di aromi la principale fonte di finezza ed eleganza nelle cuvée.

In particolare del Pinot nero si hanno le prime prove della sua presenza in Champagne dal XIV secolo nella  “Ballade de la Verdure de Vins” di Eustache Deschamps e viene citato come “Pinot Vermeil” in un registro borgognone del 1375 per poi passare con i sinonimi di vert doré, plant doré e inoltre Pinot d’Ay, pinot de Fleury, Pinot de Cumieres nella letteratura tecnica dei secoli successivi. Oggi copre quasi il 40% della superficie vitata, resiste al freddo fino a -20 anche se ne soffre abbastanza, necessita di clima fresco e secco, versanti a levante. Le esposizioni migliori per coltivarlo sono i pendii al riparo dai venti del nord, quindi quelli ad est sudest o sud. In regione è sempre l’ultimo ad essere vendemmiato e difatti spesso le grandi annate sono le annate da pinot nero.

Il meunier è “secondo” storico per ordine di importanza e superficie coltivata, il suo nome deriva dall’aspetto farinoso biancastro delle foglie su cui si stagliano i frutti rosso scuri a maturazione. Nonostante sia una mutazione antica di pinot nero, ormai è una varietà diversa tanto che la si chiama ovunque meunier che ne è diventato il nome ufficiale a partire dal 2017. La prima citazione è nel XVI secolo nel  “Vinetum in quo varia vitium, uvarum, vinorum antiqua, latina vulgaria quel nomina” di Charles Estienne (1539) e come “meunier” è per la prima volta nel “Abregè des bon fruits avec la manière de les connoistre et de cultiver les arbres divisés par chapitre selon les espèces” di Jean Merlet dove viene chiamato “Morillon-Taconè o Meunier” per distinguerlo dal Morillon hâtif (più precoce) e dal Morillon Noir (il pinot nero). Veniva  considerato all’epoca migliore del Pinot Nero per ottenere vino in Champagne e aveva molti sinonimi a seconda dei villages: blanc Meunier, Meunier noir, blanc bec, gris Meunier, bleu Meunier, mousseux, plant de Brie, plant de Saint Mard e ancora bourguignon, plant de Bourgogne.

È vitigno con medio vigore ma comunque più del pinot nero, molto resistente ai grandi freddi ma non ama suoli secchi e troppo poveri. Dà il suo meglio su terre ricche, fertili, silicee, siliceo argillose o dove il calcare è raro, ovvero, esattamente al Vallèe de la Marne ma anche il Massif de Saint-Thierry, alcuni cru della Montagne e Monthelon nella Côte des Blancs. Il suo mosto ha poca acidità ma tanta vivacità, frutto e ricchezza giovanile, fondamentale per l’equilibrio delle cuvée in annate molto ricche, ma può anche essere troppo esuberante.

Sua maestà lo chardonnay, invece, ha preso lo scettro molto di recente, grazie alla sua maturazione tardiva rispetto ad altri bianchi locali, sfiora oggi il 30% del vigneto champenois. Si hanno ben poche notizie storiche, le sue origini sono piuttosto tenebrose tra i vini e vitigni bianchi in Champagne che comunque erano già noti e citati dal XII secolo, anche se non esiste nessuna menzione sul vitigno in specifico. Forse per averne una prima citazione si deve arrivare al 1541 come “jauge de Rivière” in un panorama dove le uve bianche erano comunque già importanti, tant’è che la “Côte blanche”, antenata dell’odierna Côte de Blancs, esisteva già dal XVI secolo. E’ solo dal XVIII secolo  che le uve bianche diventano fondamentali per i vini di Champagne e già Nicolas Bidet nel 1759 scriveva del “Bourguignon blanc” ma forse la prima citazione dello chardonnay risale al 1820 come “èpinette blanche” in “Ampelographie française” di Victor Rendu, mentre “chardonnet” arriva nel 1851 nel “Glossaire ancien et moderne du calamitare et vigneron de Champagne” dell’abate Tarbè. È il  più esposto alle gelate perchè  fiorisce precocemente rispetto a pinot nero e meunier e, soprattutto, in pericolo quelli piantati ai piedi delle colline e fondovalle; con la sua maturazione precoce è inoltre esposto a muffe se ci sono calore e umidità eccessive. Dona vini bianchi finissimi, su terreni non umidi né troppo ricchi, argillo-calcarei e gessosi con alta resa per ettaro, e il suo raccolto si salva quasi ogni anno, viaggia benissimo come mosto senza ossidarsi e nelle cuvèe riesce quasi sempre a dare leggerezza, eleganza, longevità.

Per scoprirli in dettaglio abbiamo degustato alcune cuvèe messe a disposizione dalle Maison al Comitè.

Champagne Pommery Apanage Blanc de Blancs Brut
100% chardonnay, assemblage con un’alta percentuale di vin de reserve, scelti in prevalenza gli chardonnay dai terroirs su craie sia dalla Montagne de Reims che dalla Côte de Blancs – dosage 8gr/lt.
Vino ammaliante, fresco, pimpante con le note gessose sapide subito in grande evidenza, mette in pratica la classicità dello chardonnay con un ventaglio piacevolissimo di agrumi tra lime, cedro e arancio che si allargano al palato in note speziate e briosciate con bella componente speziata e di miele. Beva fresca ed equilbrata che ha al centro la piacevolezza innanzitutto.

Champagne A. Bergère Bergère Les Clos
Un rarità da Ferebrianges, a metà tra la Côte de Blancs e la Côte de Sezanne, questo meunier in purezza da una maison diventata famosa per i suoi grandi chardonnay. Maturazione sui lieviti per 36 mesi con un bassissimo dosaggio da 4 gr/lt. Si tratta di un millesimato 2014 non dichiarato, vinificato in acciaio inox con malolattica, che trasferisce nel calice la fragranza fine e delicata di quest’uva che anche in vinificazione separata sta ottenendo crescente consenso. Sorprendente profilo floreale con note di ginestra, osmanto e fior di frangipane, sfumature di mela disidratata e miele allo zafferano, lunghezza appagante dalla trama agrumata e dal finale di brioche.

Champagne Pol Roger Réserve Brut
Un opera certosina perfetta per far capire la sinergia delle tre uve che “lavorano” insieme integrandosi e potenziandosi a vicenda. La maison Pol Roger qui assembla ogni anno 30 cru diversi con 25% di vins de réserve andando ad attingere dal pinot noir dei crus de la Montagne de Reims, il meunier da la Vallée de la Marne e dalla regione attorno ad Epernay, dove ha sede la maison e lo  chardonnay d’Epernay e dall Côte des Blancs. Dopo 48 mesi sui lieviti è un modello perfetto e quasi insuperato che riassume le note fresche e piccanti della Champagne con quelle più mature e dolci con torrefazioni, nocciole, caramello, pepe e zenzero a chiudere un palato che partiva di lontano tra agrumi, sambuco e anice leggeri e penetranti. Quando si dice “classico” in senso positivo si intende qualcosa di simile.

Champagne Veuve Clicquot Brut Rosé
Uno degli assemblaggi più complessi della Champagne per un prodotto dalla tiratura imponente ma che è capace di sorprendere, specie chi non lo assaggia da tempo. Prevalenza 50-55% di pinot noir completato da una quota di 28-33% chardonnay e 15-20% meunier con un 12% pinot noir vinificato in rosso. Il totale dei vini di riserva quota per un 30 – 45%  e il dosaggio di 10gr/lt può apparire abbondante mentre invece lo rende spigliato e irresistibile senza troppa dolcezza. Si avvertono bene le note del pinot nero con lampone, fragolina di bosco e  ciliegia ma anche note biscottate e di mandorla. In bocca aggiunge corpo e succo di albicocca e tocco di bergamotto nel finale

Champagne Ernest Remy Grand Cru Blanc de Noirs
Dal meraviglioso terroir di Mailly ecco un pinot nero 100% che passa 36 mesi sui lieviti per una maison che omaggia Ernest Remy, personaggio che  fu anche sindaco dal 1947 al 1959 di Mailly-Champagne. La sua pronipote Alice con il marito Tarek portano oggi avanti la maison che esalta il terroir con una cuvèe in cui emergono note floreali di rosa e iris, lavanda e arancio rosso ma anche le classiche note di frutta di bosco rossa e nero del pinot nero. Poi spazio alle erbe aromatiche, il  pain d’épices e note burrose intriganti. Bocca diretta, immediata, profondissima che detta un ritmo vorticoso alla beva e prelude a grandi abbinamenti.

Champagne Laurent Perrier Cuvée Rosé
Un grande ode al piacere immaginata da  Bernard de Betancourt nel 1968 come inno al piacere in rosa è ancora oggi un riferimento importante della categoria. Da uve  pinot noir 100% che pescano tra 12 cru diversi tra Sud e Nord della Montagne de Reims, Côte de Bouzy, Ambonnay, Bouzy, Louvois, Tours-sur-Marne. La macerazione dura dalle 48 alle 72 ore per estrarre ogni anno la stessa percentuale di colore e aroma che vengono quindi ottenuti senza l’aggiunta di vino rosso, caso molto raro nella regione e rarissimo se non unico nelle grandi maison. 60 mesi sui lieviti lo completano e lo esaltano a dovere  rendendolo elegantissimo con note di fragole, amarene, lamponi e mandarini. Poi arrivano anche tabacco dolce e vanigliato, cipria, rose e verbena che al palato si esaltano con un centro bocca balsamico e fruttato che appaga, seduce e lascia sempre voglia di un altro bicchiere.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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