Questo uomo (Daniel Burns) cambierà la vostra percezione sul tema “bere ottima birra al ristorante”

di Alessandro Morichetti

Praticamente tutto quello che c’è da sapere su birra buona e alta ristorazione lo ha già scritto Stefano Ricci aka @BeerSheriff sul Cucchiaio.it (“Birra artigianale e alta ristorazione: 6 cause del divorzio breve“) per cui rimando al link per un’indagine approfondita.
Se invece avete poco tempo, saltiamo i preliminari e veniamo all’oggi, perché è di pochi giorni fa l’exploit milanese di Daniel Burns, “una specie di vichingo hipster, sorridente e gentile, capace di una delle migliori cucine di New York. Ma soprattutto un formidabile testimonial per la birra artigianale”, per dirla con Antonio Boco su Tipicamente. Burns è uno chef dal curriculum stellare e a Greenpoint, Brooklyn, gestisce Luksus: unico ristorante stellato al mondo senza vino, solo grande birra: 21 spine, 150 etichette.
Pazzo? Nemmeno per un cavolo. Ascoltatelo nell’intervista di Francesca Ciancio, doppiato dal Boco.

Bene, ora abbiamo un po’ di elementi in più per riprendere punto per punto le sei cause del divorzio breve secondo il Ricci.

L’ignoranza dei sommelier riguardo al prodotto birra
Poco da obiettare: categoria formata per girare calici di vino e spaccare capelli che poi con troppa frequenza svacca vergognosamente parlando di birra. Spesso con casi di ignoranza orgogliosamente manifesta. Applicare metodo e curiosità, frequentare i posti giusti, leggere cose rilevanti sarebbe già un buon inizio.

L’inadeguatezza dell’offerta formativa
I corsi sulla birra sono pochi e poco strutturati e la colpa non è mia. Ci sono pochi operatori ben formati anche perché (anche perché) ci sono pochi formatori validi. Nel mondo della birra vale la legge del pub e della strada, si impara più al banco e girando che seduti come pecorelle. Per cento corsi sul vino organizzati da chiunque ce n’è uno sulla birra. Vogliamo anche dire che chi potrebbe farli non li fa? O che ne fa troppo pochi? Boh, non so se sia corretto però resta da capire chi potrebbe farli, e non mi è del tutto chiaro. Certo, se un corso lo organizza Heineken o chi per lui che cavolo lo fai a fare? Chieditelo.

La conservazione
Ni. Dice Ricci: “Punto cruciale questo e forse insormontabile. La birra è un prodotto diverso dal vino, nel 99% dei casi non è pensato per essere conservato a lungo e in moltissimi casi pochi mesi bastano a penalizzare la freschezza irrimediabilmente”. Se non alta magari, è pensabile una media ristorazione che proponga spine ma sappiamo per certo che il 90% e più dei vini in bottiglia non deve aspettare chissacché. Avere birre con un anno di scadenza garantisce una buona rotazione senza accumulare troppo stock, è fattibile insomma. Non sarà il top ma tra non bere, bere schifo e trovare roba decente ci sono 50 sfumature di malto in mezzo.

La selezione
Per avere un minimo di assortimento sensato, anche una pagina con 15 referenze pescate ad arte, non serve essere laureati in fisica quantistica né essere Manuele Colonna. Sapere chi è Manuele Colonna invece potrebbe aiutare. Farsi un gusto proprio, variegato e non ingombrante non ha ucciso mai nessuno. Poco più di 150 birre fisicamente in stock, 12 bottiglie per 15 etichette ti fanno essere pronto per qualsiasi occasione e se proprio non sei capace a venderle sai con cosa rifoccilarti degnamente a fine serata.

Gli abbinamenti
Io sono per la teoria poco scientifica per cui quasi ogni vino va bene per quasi ogni piatto quindi possiamo smattirci a far quadrare i triangolini della scheda di abbinamento Ais oppure andare a gusto e suggerire cose buone da mangiare con cose altrettanto buone da bere. Birra o vino non cambia poi molto da questo punto di vista. Se poi uno la sera vuole addormentarsi con gli abbinamenti cibo-birra di Garrett Oliver, male non fa.

Sintesi finale: la birra al ristorante si può bere eccome e l’Italia è piena di grandi birre da bere con ottimi piatti di qualsiasi natura.

Postilla. Invece che parlare di birre artigianali e alta ristorazione probabilmente avrebbe ancora più senso parlare di birre artigianali e ristorazione, non necessariamente alta. Più se ne parla, più ci si incusiosisce, più si bevono buone birre con buoni piatti e più tutto risulterà facilmente fluido.
Alla faccia della mega corporations che ormai per fare marketing puntano lo sguardo sulle craft beer per prendersene gioco. Più segno di debolezza di così? È solo questione di tempo. Che poi la birra nasca e muoia per davvero al pub, non ci piove.

[Crediti foto e video: Francesca Ciancio. Riferimenti: Tipicamente, Cucchiaio.it, Cronache di Birra]

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

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