Il meglio della settimana in cui ormai queste 5 bugie sul Web* sono letteratura consolidata

di Alessandro Morichetti

I post più letti degli ultimi sette giorni.
1 – Le 100 migliori cantine d’Italia secondo Intravino, la “bibbia” italiana.
2 – Una recensione alcolica a La grande bellezza.
3 – E’ svedese il servizio sugli ingredienti nel vino che sta facendo discutere in tutto il mondo.
4 – Ciao, io sono Bruno, il cavallo che lavora per l’ES di Gianfranco Fino. Questa è la mia storia.
5 – Il meglio della settimana in cui per il Wine Spectator* queste sono le 100 migliori cantine d’Italia.
6 – Benvenuto Brunello 2014. Ho visto gente, ho fatto cose. E questi assaggi li voglio segnalare.
7 – Siam tre piccoli porcellini. Pornostar.
8 – Ci mancava lo spottone televisivo per il vino senza solfiti di Massimo D’Alema. Poi dici l’anti-politica.
9 – Cosa pensa Valerio Massimo Visintin delle pseudo-recensioni di ristoranti all’inaugurazione (o anche prima)?
10 – Storie di Langa, favole di vino. E sei Barolo da raccontare.

* E’ uscito venerdì su Wired un articolo dal titolo “Giù le mani dal web”. Interessantissimo, da consigliare a chi parla di web con la competenza di un fabbro messo a riparare orologi di precisione. Prendendo spunto da domande malposte (“Ma cosa vale di più, la libertà di internet o la vita di una ragazzina?”. Se lo domandava qualche settimana fa lo scrittore Ferdinando Camon sulla Stampa, sull’onda emotiva del suicidio di un’adolescente insultata su un social network) e ripescando insulti e minacce spuntati sul web all’indirizzo di Boldrini, Kyenge e ultimamente Bersani, questo è il punto di partenza:

La retorica dominante che ne è derivata è una sola: la rete è un Far West senza regole, in cui criminali “protetti dall’anonimato” possono insultare, minacciare, diffamare senza timore di essere puniti. Una narrazione falsa, come vedremo, ma che ha radici profonde.

Il divieto di immettere contenuti in anonimo (Gabriella Carlucci, ex PDL) o l’idea di chiudere Facebook e YouTube (Gianpiero D’Alia, Udc, ministro alla Pubblica amministrazione nel governo Letta) dimostrano come la politica italiana sia riuscita ad ipotizzare risposte superficialmente di buon senso ma in realtà prive della grazia di dio, fuori dal tempo, ingiustificabili e reazionarie.
Leggere l’articolo originale vale i 10 minuti necessari ma le 5 bugie sul Web vanno necessariamente condivise.

BUGIA NUMERO 1: La rete è un Far West selvaggio, servono norme che portino la civiltà
Non è vero. Valgono online le stesse leggi che ci sono offline, spesso con l’aggravante.

Un caso per tutti: il 13 giugno 2013 Dolores Valandro, consigliere leghista di quartiere a Padova, scrive su Facebook: «Mai nessuno che se la stupri?», riferendosi al ministro Kyenge. Il 13 luglio, un mese dopo, viene condannata a un anno e un mese di reclusione (pena sospesa) e all’interdizione dai pubblici uffici per tre anni per “istigazione a commettere atti di violenza sessuale per motivi razziali”.

Quindi, occhio a quello che scriviamo sul nostro profilo Facebook perché a pestare una merda ci vuole poco. Quale sia esattamente il confine tra pubblico e privato, stando così le cose, al momento credo non lo sappia nessuno.

BUGIA NUMERO 2: L’anonimato in rete esiste e favorisce l’incitamento all’odio
In rete non è affatto facile essere anonimi. Ad esempio, per commentare sta molto alle policy dei siti mettere barriere ex ante (iscrizione necessaria) o ex post (moderazione “a mano” tipo Intravino).

«Essere veramente anonimi in rete richiede un grado di conoscenza del funzionamento della stessa che va oltre le capacità di una persona media», commenta Andrea Ghirardini, tra i massimi esperti di informatica forense in Italia. «Il problema di rintracciare una persona online non è quasi mai tecnico, ma in genere burocratico», dovuto cioè alla lentezza nell’ottenere risposte da aziende estere.

BUGIA NUMERO 3: Il cyberbullismo è un’emergenza per i nostri giovani
Falso. E’ vero semmai che potrebbe esserci un’inversione di tendenza nel tasso di suicidi giovanili.

Il professore Dan Olweus dell’università di Bergen, esperto mondiale del tema, ha analizzato oltre 450mila studenti americani e norvegesi per cinque anni. Le sue conclusioni sono che l’allarme sul cyberbullismo è esagerato dai media; che si tratta di un fenomeno assolutamente minoritario rispetto al bullismo nella vita reale; e che non sarebbe neppure aumentato negli anni analizzati. La rete, poi, non incrementa il tasso di suicidi tra i giovani: al contrario, certificava l’Istat nel 2012, se nel 1993 si attestava, tra i ragazzi fino a 24 anni, a quota 3,9 su 100mila per i maschi e 0,9 per le femmine, nel 2009 i numeri erano scesi rispettivamente a 2,1 e 0,6.

BUGIA NUMERO 4: Facebook e Twitter sono i responsabili dell’odio in rete
Tema ricorrente ma deriva fuorviante.

Molto netto l’avvocato esperto di digitale Guido Scorza: “Se l’intermediario è chiamato a rispondere dei contenuti postati dagli utenti, inesorabilmente inizierà a filtrarli, lasciando pubblicare quelli a “basso rischio” o quelli provenienti da soggetti con spalle sufficientemente larghe da poter rispondere al suo posto, qualora qualcosa vada storto”.

Per il Web Index Report 2013 le leggi sulla “responsabilità degli intermediari” ricadono nella categoria di «restrizioni della libertà di opinione ed espressione».

BUGIA NUMERO 5: La rete è un ambiente diverso dal mondo fisico, è intrinsecamente libera e democratica
Quella del “dualismo digitale” è una credenza dura a morire e online si verificano gli stessi fenomeni riscontrabili offline. Odio, molestie e insulti cambiano nella forma ma non nel contenuto e la coscienza civile che usiamo online è la stessa che ci guida nelle scelte offline. Serve una educazione digitale, bisogna fornire il tool kit che aiuti giovani e non ad utilizzare propriamente le tecnologie oggi disponibili perché, molto spesso, sono proprio gli adulti ad offrire modelli di comportamento online discutibili.

[Fonte: Wired

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

3 Commenti

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Nelle Nuvole

circa 10 anni fa - Link

In perfetta sintonia con la sostanza del contenuto di questo post. Non mi capita spesso. Potere positivo del Web.

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maurizio

circa 10 anni fa - Link

non condivido la numero 3. E' un problema reale e non una bugia, e lo studio del professore norvegese mi sembra la classica notizia balenga del mese di agosto. Non che il problema sia facile risolverlo, e di certo non con nuove leggi. La restaurazione del nerbo di bue come mezzo correttivo nelle scuole potrebbe esser un'idea.

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Paolo

circa 10 anni fa - Link

Ecco, il solito antico, passatista, fuori linea rispetto ai tempi moderni. Stacippa, il nerbo di bue: bue americano, gonphyato a ormoni? o bue di kobe, razza wagyu, nutrito a birra a bassa gradazione? O bue romagnolo, razza riconosciuta, di quelli che mentre te lo danno sul dorso delle mani ti dicono "cio... patàca, non è niente, che dopo ci facciamo una piadiiin"... Vedi di essere un poco preciso, maurizio, che "nerbo di bue" lo sanno dire tutti, soprattutto quelli senza nerbo nella schiena! Poffarre e perdincibacco!

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