Giovanni Sedilesu e le ghiradas di Teularju

Giovanni Sedilesu e le ghiradas di Teularju

di Alessandra Corda

LA SOVRASTRUTTURA
Torno a Mamoiada e incontro Giovanni Sedilesu e suo padre Francesco.
Mi prometto di essere impermeabile a qualsiasi fascinazione.
Come spesso succede, quando si ha a che fare con una quota di storia recente del Cannonau in Sardegna, si hanno due possibilità: o prepararsi alla retorica trombona o prendere atto della lucidità barbaricina educata al concreto, che alle parole fa sempre seguire i fatti. La seconda è il caso che riporterò in queste righe.

Cosi comincio a buttare giù i miei cantoni, anzi lo fa Sedilesu e senza tanto rumore. Il primo quando arriviamo nel nuovo vigneto che Giovanni sta seguendo insieme al padre. Francesco è uno pratico per intendersi, ma non basta a capire la persona che mi sta accompagnando. Varcato il cancello della tenuta, mi dice “Il posto lo abbiamo scelto perché è bello, ma bello nella sostanza” (testuale). Infatti, penso, non si poteva spiegare il percorso che stanno compiendo con questo nuovo progetto (ma neanche tutto quello che ha fatto finora questa famiglia di viticoltori a Mamoiada), senza quella finissima sensibilità che si muove come lo farebbe una volpe o un riccio o una lepre, o tutte e tre le cose insieme, nel territorio che è la loro vita. Istinto, velocità di pensiero e quando serve anche riservatezza.

Teularju è dannatamente bello. Di una dolcezza che se nascessi un’altra volta vorrei crescerci, con quei livelli e quelle pendenze che accompagnano lo sguardo fino al profilo del monte Gonare. Gli alberelli di cannonau potati alti, lambiscono il bosco di querce, dove affiorano graniti grigi. Selezione massale, conduzione in biologico. Comincia ad affacciarsi nella narrazione l’esprit francese (finezza di ingegno), proprio dalla partizione della tenuta, che qui chiamano ghirada: parcella di vigneto ben definita per il suo carattere proprio, suggerito da una pratica agronomica esperenziale.

A Teularju, le ghiradas Ocruarana, Cara’Gonare, Rizza e Erula sono dei veri e propri clos, cosi come li si potrebbe intendere in Borgogna. Ogni ghirada è una micro vinificazione. Auspicano i Sedilesu un futuro del Cannonau in cui emergano le specificità del luogo quasi da dimenticarsi il varietale, ma imprimersi molto bene il territorio nella testa, anzi nell’anima. Ci sta, per vini come i loro che di fatto sono esperienze di carattere emotivo.

LA STRUTTURA
Assaggiamo in cantina su nou, il 2020: una creaturina che passata la malolattica si prepara a maturare in legno come un puledro di razza. Cade il secondo cantone, quello più tenace a morire nel binomio Mamoiada/Cannonau: la potenza alcolica. Tredici gradi alcol e una finezza di beva che fa vacillare tre o quattro preconcetti in una manciata di minuti. Il terzo colpo lo assesta l’età del vigneto, 5 anni, giovane, troppo per un altro “marcatore mitico” mamoiadino ovvero le vecchie vigne.

La profondità di questo Cannonau però non si discute. Tutto quanto inteso come tradizione recente è stato abbondantemente rivisto nelle pratica enologica: incluse le macerazioni con una percentuale alta di raspi. Il raspo se a giusta maturazione non cede note verdi, assorbe sostanza colorante, da profondità e struttura, conferisce elegante freschezza, premia vini da lungo affinamento e idrata i mosti, bilanciando la dote alcolica.

Possono permettersi questo come i cugini della valle del Rodano con le loro Grenache? Siamo davanti a un nuovo capitolo della storia dei Cannonau e soprattutto di quelli di Mamoiada. Non si tratta di emulazioni acritiche, ma di misurare una materia prima di grande qualità con altre possibilità produttive. “Non siamo abituati a questi profumi, a questa fragranza sottile, ci stiamo lavorando”, mi dice Giovanni. Fermentazioni spontanee con lieviti indigeni e maturazioni in legni francesi di media pezzatura, lavorate a vapore e con tostature poco spinte.

Scelte di stile che tornano nel primo assaggio di bottiglia.

Cannonau 2019 Ocruarana (occhio di rana), nome suggerito a questa ghirada dalla pietra verde scuro di origine sedimentaria, emersa fra i graniti durante l’impianto del nuovo vigneto. Delizioso ovvero che procura delizia: penso di non aver mai usato questo termine per descrivere un vino, tanto meno bevendo un Cannonanu di queste parti. Fa riflettere sul dove sto e cosa sto bevendo, ma ci sta talmente bene nel suo significato più onesto che arriva come un descrittore spontaneo. Questo succo odoroso, teso e alcolico quanto basta, è un balsamo che fa pensare più a un mondo arcaico ma estremamente raffinato, che a una tecnica enologica recente e puntuale.
Un “cannonache” di cui sentiremo parlare ancora.

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Alessandra Corda

Folgorata dalla visione di Mondovino, in un pezzo di vita londinese ottiene il primo certificato enofilo (WSET). Laurea in lettere, copywriter, è sommelier AIS responsabile dell’accoglienza per una cantina in Gallura. Collabora con il sito AIS Sardegna dal 2016, intravinica dal 2018. Pensa il vino come esperienza di bellezza totale, narrato con la contaminazione di ogni linguaggio creativo possibile.

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