Intravino intervista Niko Romito

Intravino intervista Niko Romito

di Leonardo Romanelli

Nell’epoca dei cuochi televisivi Niko Romito è quello che rifugge da una ribalta mediatica: non è una forzatura voluta, semplicemente il suo carattere, concreto e preciso, dove ciò che deve risultare è il suo lavoro, la sua capacità di progettare sempre nuove avventure, con attenzione affinché non vadano disperse energie.

Sarà stata forse la sua formazione in economia a Roma che gli ha fornito basi solide per immaginare in grande senza perdere di vista gli obiettivi, certo che l’autodidatta che ha trasformato la trattoria di famiglia in un laboratorio di start up tutte andate a buon fine ne ha fatta di strada. Ma la centralità è rimasta in Abruzzo, il luogo che riesce a fornirgli l’equilibrio necessario per pensare al futuro senza sognare ma in maniera concreta e reale: sarà per questo che non ha mai cambiato il nome del ristorante?

Sei stato un precursore sull’idea di cucina territoriale e valorizzazione dei prodotti locali. Quali sono le prospettive per il 2021: cambiamenti o grande stabilità tra i fornelli?
Io credo che la stabilità tra i fornelli sia garantita proprio dal cambiamento, che è endemico e per certi versi necessario. Mi spiego; se per stabilità intendiamo una coerenza di visione, di filosofia e di pensiero gastronomico, non possiamo pensare ad un approccio ‘immobile’ nel tempo, poiché ciò che è contemporaneo e funzionale oggi, potrebbe essere obsoleto domani.

L’idea è stabile, fedele a sé stessa, l’approccio, e qui parlo di approccio alla trasformazione degli alimenti che definisce lo stile di una cucina e di un cuoco, cambia, si evolve seguendo le indicazioni che emergono da studio e ricerca continua.

Come è avvenuta la trasformazione da cuoco a imprenditore di successo con progetti articolati e vari?
Lo dico sempre tra me e me, io mi sento cuoco prima di imprenditore. Non direi che c’è stata una trasformazione da cuoco ad imprenditore, direi piuttosto che il mio spirito imprenditoriale, la mia passione per i numeri, per la progettualità e l’organizzazione sono cresciuti, si sono definiti e implementati parallelamente alla crescita e al consolidamento del mio percorso gastronomico.

Tutti i progetti sono collegati e il mio ristorante Reale funziona come il mozzo di una grande ruota: le tecniche le sviluppiamo qui, e da qui si diffondono agli altri reparti, adattandosi. Mi piace il percorso dall’alto al basso, dal centro a “fuori”, raggiungere un pubblico sempre più vasto. Un po’ come fa il design, quando in risposta a esigenze ordinarie progetta oggetti in cui la piacevolezza va di pari passo alla funzionalità, alla replicabilità. È un flusso continuo e autosostenibile, quello del mio gruppo, perché spesso dagli altri progetti nascono idee che tornano ad attecchire al Reale.

Quanto conta il team che ti circonda?
E’ fondamentale, è come in cucina, da solo non potrei mai servire 30 coperti con gli stessi standard di eccellenza che ci impegniamo a raggiungere ogni giorno.

Diventi ministro dell’Istruzione e puoi cambiare le scuse alberghiere pubbliche. Cosa faresti?
Oggi sono sempre più convinto che lo sforzo di innovazione e ricerca che il nostro settore quotidianamente compie sia il volano per trasferire nuovi concetti, nuovi processi, nuovi protocolli dalla ristorazione stellata alla ristorazione casalinga, a quella collettiva, all’industria della trasformazione agroalimentare.

Credo sia giunto il momento di costruire insieme a tutti i protagonisti della filiera della gastronomia una nuova cultura del cibo, della sua trasformazione basata sui valori della salubrità, della sostenibilità, della circolarità, della solidarietà e dell’accesso democratico.

Bisogna scrivere un nuovo linguaggio del cibo, della sua trasformazione che sia capace di conservare le qualità nutrizionali della materia prima e il suo gusto straordinario, che sia in grado di produrre benefici e non danni alla salute delle persone, rispettando l’ecosistema.

Per farlo i luoghi dove questo scambio di sapere, conoscenza e consapevolezza avviene sono le scuole, che devono formare una nuova schiera di professionisti, capaci di interpretare ovunque la materia prima si trasforma in cibo questi valori. I giovani dovranno essere protagonisti di un futuro fondato su una nuova cultura del cibo e della sua trasformazione.

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Sei mediatico tuo malgrado, ovvero si parla di te molto ma cerchi di non apparire. Poche le apparizioni televisive, parlano più i fatti. Scelta che rifaresti?
Si assolutamente, credo che tutti i cuochi siano oggi ambasciatori dei valori del cibo nella società, e per questo il loro ruolo pubblico è molto importante. Pensiamo per esempio a quanto uno chef può contribuire nella promozione di un prodotto agroalimentare o di un territorio, o a quanto può influire, con la sua cucina, nel definire tendenze alimentari e di gusto. Credo quindi che il fatto che i cuochi siano più che semplici cuochi sia solo in parte attribuibile al potere dei media: la ragione più profonda risiede nell’entità e nel senso del nostro lavoro, che sempre più ha a che fare non solo con il gusto ma anche con la salute, l’industria del cibo, l’agricoltura e la tutela della biodiversità.

Quali piatti ti rappresentano di più che hai preparato nel corso della tua carriera?
Tutti i piatti che ho preparato mi rappresentano, o quanto meno, mi hanno rappresentato nel momento e nell’epoca in cui li ho fatti. Se penso oggi a dei piatti che avevo in carta dieci anni fa, posso dire con estrema onestà intellettuale, che mi rappresentano ancora oggi a livello concettuale. In carta al ristorante Reale abbiamo dei piatti, come l’assoluto di cipolla che risalgono al 2009 e continuo a tenere questi piatti nel menu perchè sono piatti che sono sempre attuali, che rappresentano delle tappe importanti del mio percorso di ricerca sulle materie prime e le tecniche di trasformazione.

I miei piatti non sono mai fermi, con l’evoluzione della ricerca e dei processi di trasformazione della materia prima, anche i piatti iconici vengono perfezionati, corretti, migliorati. Piccole modifiche, che non stravolgono la ricetta originale ma che sono percettibili ad un gusto attento.

L’assoluto di cipolla segna l’inizio di un lavoro sull’estrazione che si è rivelato fondamentale nella mia crescita gastronomica, così come il Carciofo e rosmarino incarna ed esprime il lavoro sulla stratificazione, che parrebbe aggiungere ed invece toglie. E’ lo stesso ingrediente che si esprime in diverse consistenze, l’evoluzione del carciofo oggi è il Cavolfiore gratinato.

(Foto: Alberto Zanetti)

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Leonardo Romanelli

“Una vita con le gambe sotto al tavolo”: critico gastronomico in pianta stabile, lascia una promettente carriera di marciatore per darsi all’enogastronomia in tutte le sfaccettature. Insegnante alla scuola alberghiera e all’università, sommelier, scrittore, commediografo, attore, si diletta nell’organizzazione di eventi gastronomici. Mescolare i generi fino a confonderli è lo sport che preferisce.

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