Montetino | I vini introvabili di Marco e Benedetta sui Monti Marsicani

Montetino | I vini introvabili di Marco e Benedetta sui Monti Marsicani

di Jacopo Manni

Nel cuore aspro dell’Abruzzo, la regione marsicana si estende nella parte occidentale della provincia de L’Aquila, abbracciando il Parco Regionale Sirente-Velino e affacciandosi sull’ampia Piana del Fucino, un tempo sede del terzo lago più grande d’Italia.

Il prosciugamento del Fucino ha una storia pazzesca, un’impresa già ipotizzata da Cesare e poi tentata praticamente da chiunque avesse potere ampio su quei territori, come l’Imperatore Claudio, Federico II di Svevia, Alfonso d’Aragona, Filippo I Colonna, Ferdinando IV di Napoli. Opera che fu invece portata a termine solo il 1° ottobre 1878 dal banchiere romano Alessandro Torlonia, che, grazie a tale impresa, guadagnò il titolo di Principe, come sanno bene tutti i romani, elargitogli da re Vittorio Emanuele.

Dominata da imponenti montagne che salgono a quasi 2.500 metri sul livello del mare, quest’area di notevole bellezza naturale è punteggiata dal caratteristico comune di Celano, noto per la sua roccaforte medievale che domina la valle sottostante.

valle

È qui che nel 2020 nasce il progetto Montetino di Marco Carone e Benedetta Nicomede, una coppia lavorativa di giovani imprenditori, che hanno il giusto mix tra follia visionaria tipica della primavera della vita e la capoccia dura abruzzese, altrettanto tipica, che speriamo li possa guidare verso il ringiovanimento delle antiche tradizioni viticole di questa regione ricca di storia.

Marco, classe 1984, ha solida formazione scientifica, nonché una strabiliante carriera come birraio presso Birra del Borgo, e Benedetta, classe 1992, enologa esperta formatasi a Pisa e a Udine con esperienze lavorative in giro per il mondo – dall’Oregon alla Nuova Zelanda, passando per Arianna Occhipinti, Emidio Pepe e Federico Staderini – si sono imbarcati in un’impresa che riporta al centro una marginalità, una piccola fiamma capace forse di attivare un positivo processo di sviluppo territoriale.

Il catalizzatore del progetto Montetino è stato il cambiamento climatico, una sfida globale che ha paradossalmente aperto nuove strade alla viticoltura nella Marsica. Storicamente nota per i suoi inverni rigidi, la regione ha sperimentato negli ultimi anni una sottile ma persistente tendenza al riscaldamento, che ha reso la viticoltura nuovamente praticabile in aree un tempo ritenute inadatte.

Nell’anno di esordio, il 2021, Marco e Benedetta hanno prodotto circa 2.000 bottiglie, che sono diventate 4.200 nel 2022 e che, nel 2023, secondo i loro piani, dovevano essere circa 7.000; ma una delle peggiori annate di sempre, soprattutto in Abruzzo, li ha fermati alle 5.000 bottiglie. I ragazzi di Montetino hanno da subito aperto le loro rotte commerciali non solo al mercato interno, riuscendo ad entrare in mercati complicati e affollati come Stati Uniti, Danimarca, Austria, Slovenia e Francia. La cosa interessante è che, parlandoci, non traspare nessun timore e anzi la loro visione sembra ben chiara, con prospettive di ulteriore espansione internazionale.

La filosofia di Marco e Benedetta, parole loro, è ovviamente modellata sui dogmi del vino metamoderno, biodiversità, vigna come ecosistema, fermentazioni spontanee come se piovesse ma senza camicie a scacchi e Blundstone ai piedi.

Ho assaggiato i loro vini a Terni, a Viniamo Facenno, una bella manifestazione del vino e del cibo agricolo e artigianale organizzata dalla new wave artigianale del ternano, capitano di ventura in carica Giampiero Pulcini, negli spazi dell’Istituto Tecnico Tecnologico Allievi-Sangallo di Terni, che per chi conosce un minimo la città e il suo hinterland è da sempre solo stato fucina di giovani braccia da forgiare e regalare alle fornaci delle locali acciaierie.

Vini dritti, snelli, golosi e mai smussati, direi spigolosi, trapezoidali anzi. Vini non banali che ho bevuto con gioia. Ovviamente è una microproduzione gestita commercialmente, come sento sempre più spesso da aziende di queste dimensioni e prospettive, senza intermediari. Per cui vini complicati da trovare sul mercato, almeno finora. Vini che si portano dietro quell’aura di mistero e di irreperibilità che fa tanto accattivante quanto respingente, soprattutto per chi il vino poi lo deve acquistare.

bottiglie

Sono tre le etichette prodotte: un bianco da trebbiano senza macerazioni, a differenza di quanto ti aspetteresti, affinato in cemento; un rosato da montepulciano con uve diraspate e pressate direttamente; e un rosso, sempre e ovviamente da montepulciano, fermentato con acini interi, semi-carbonica quindi, per sei giorni e poi torchiato a mano.

Ogni vino fa un solo travaso, col minimo di solforosa aggiunta. Le etichette di Montetino, ideate da Sofia Sguerri, riflettono l’unicità del territorio e la specificità di ogni vino, legando indissolubilmente il prodotto alla sua origine geografica e culturale.

Le Foci, Tralumescuro e Lemàrie sono nomi che raccontano storie di gole carsiche, di tramonti e di antiche vigne, inserendosi perfettamente in un discorso di valorizzazione territoriale che va oltre la semplice produzione vinicola.

montetino

Progetti come quello di Montetino sono la chiave di lettura positiva di come le sfide globali possano essere territorializzate anche, o forse verrebbe da dire soprattutto, in aree interne e marginali, aree di cui il nostro paese è pieno. Zone che stanno sperimentando un’enorme crisi demografica e di spopolamento, ma che progetti come questo rimettono al centro di una nuova idea di sviluppo rurale e anche sociale, evidentemente possibile.

Montetino è uno straordinario caso di trasformazione delle sfide poste dal cambiamento climatico in opportunità per riscoprire e valorizzare antiche tradizioni, in questo caso viticole. I vigneti di Montetino, nell’idea dei loro nuovi custodi, sono ben integrati con alberi da frutto e altre piante autoctone, non solo quindi centri di produzione, ma ecosistemi vibranti che dimostrano come le pratiche sostenibili possano garantire una nuova continuità ed evoluzione nel settore agricolo montano dell’Italia centrale.

La cosa molto interessante è il modello. Con l’ambizione di aumentare la produzione annuale fino a 10-12.000 bottiglie e il progetto di trasferire la produzione in una nuova cantina nel 2024, il progetto nella mente dei creatori di Montetino ha cercato da subito di creare un modello funzionale alle nuove comunità rurali per mettere a terra un sistema nel quale queste realtà possano adattarsi e prosperare in un contesto climatico in continuo cambiamento.

Le montagne marsicane, ora ringiovanite con il vigore della viticoltura, simboleggiano forse un futuro in cui resilienza e innovazione si fondono, tracciando in maniera gentile ma ben indirizzata nuovi orizzonti per una buona parte del futuro del settore agricolo del Paese. Una piccola ma notevole trasformazione che sottolinea il potenziale di rivitalizzazione attraverso un impegno ponderato e armonizzato con il nostro ambiente.

L’augurio è che Montetino e la Marsica diventino attori chiave nella narrazione di nuovi modelli di agricoltura e viticoltura sostenibile e, soprattutto, della prossima, obbligata resilienza climatica.

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Jacopo Manni

Nasce a Roma ma si incastella a Frascati dove cresce a porchetta e vino sfuso. L’educazione adolescenziale scorre via in malo modo, unica nota di merito è aver visto dal vivo gli ultimi concerti romani dei Ramones e dei Nirvana. Viaggiatore seriale e campeggiatore folle, scrive un libro di ricette da campeggio e altri libri di cucina che lo portano all’apice della carriera da Licia Colo’. Laureato in storia medievale nel portafoglio ha il santino di Alessandro Barbero. Diploma Ais e Master Alma-Ais, millantando di conoscere il vino riesce ad entrare ad Intravino dalla porta sul retro.

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