Del perché fare il gin in Toscana è una buona idea
di Leonardo RomanelliDa Firenze si prende la strada che porta in Casentino e ben prima di arrivare al Passo della Consuma si gira a destra per arrivare alla sede di Peter In Florence, l’azienda che si trova presso l’eco resort Podere Castellare, produttrice di un gin le cui caratteristiche sono ginepro, radici e petali di iris toscani da agricoltura biologica, acqua di pozzo purificata, spezie certificate e un alambicco realizzato ad hoc.
Quattordici in tutto le botaniche che lo compongono, quasi tutte toscane: oltre al ginepro e all’iris, la scorza di bergamotto fresca, quella di limone essiccata, le bacche di rosa, i fiori di lavanda e di rosmarino freschi, la radice di angelica, il coriandolo, le mandorle amare: tutti provenienti da micro-produttori locali e bio, tranne la corteccia di cassia dalla Cina, grani del Paradiso dall’Africa Occidentale e i semi di cardamomo verde.
Perché fare gin in Toscana? La riflessione nasce tra Patrizio Pandolfi, proprietario del podere dove veniva da piccolo a trascorrere i fine settimana e le vacanze con la famiglia, e Patrick Hoffer, titolare della torrefazione Corsini e socio di Ditta Artigianale: ma se la metà del ginepro utilizzato per l’industria del gin proviene dalla Toscana e soprattutto tra le province di Firenze e Arezzo, perché non aprire una distilleria dedicata esclusivamente a questo prodotto?
Nasce così la voglia di farlo con un alambicco speciale, una versione ridotta dello storico Carterhead, mantenendo il design originale del primo, nato nel 1831, ma con caratteristiche tecnologiche che permettono di controllare con precisione il grado alcolico, la densità e temperatura.
L’utilizzo dell’infusione a vapore permette un’estrazione più delicata degli aromi. La ricetta del gin è stata creata da Stefano Cicalese, che segue la produzione con entusiasmo, essendo passato dall’altra parte del mondo dei distillati, dopo aver svolto la professione di barman. Sono due i gin prodotti: il London Dry Gin Peter in Florence, 43 gradi alcolici, nasce nel 2017 e l’ispirazione arriva dalla vicina Abbazia di Vallombrosa.
Invece Peter in the Navy, 57,7% come gradazione, che conserva le caratteristiche aromatiche del gin e trova un equilibrio tra la parte alcolica elevata con la freschezza delle botaniche. Il nome ha un’origine che va raccontata: “Molto prima che fosse possibile misurare l’alcol in volume di una bevanda, la Royal Navy si trovò a fronteggiare questo problema: assicurarsi che la polvere da sparo restasse infiammabile anche nel caso in cui una botte di gin si rompesse durante il trasporto. Ai tempi delle palle di cannone e dei moschetti, infatti, la polvere da sparo bagnata rappresentava una condanna a morte in battaglia. L’etichetta “Navy strenght” indicava lo spirito sicuro da trasportare sulle navi della Marina militare e veniva apposta solo sulle botti che superavano la prova empirica: dopo aver immerso alcuni granelli di polvere da sparo nel gin si provava a dar loro fuoco. La misurazione Navy continuò fino al 1890 e tutt’oggi indica un distillato con grado alcolico superiore al 57,15%.”
Alla degustazione: il London dry gin è gradevole nell’equilibrio tra ricchezza di profumi e gusto, che non ne viene sopraffatto ma riesce a conferire, nella miscelazione, un bel retrolfatto variegato che emerge senza coprire gli altri liquori. Il Peter in the Navy si presta ottimamente ad una degustazione in purezza ma con una tonica adeguata riesce a regalare sensazioni intriganti. Qualche curiosità: l’etichetta in pelle e la rappresentazione del cinghiale sono un richiamo diretto alla Toscana, mentre il nome è un omaggio al padre di Patrick, inglese residente a Firenze
12 Commenti
Lanegano
circa 3 anni fa - LinkPraticamente una bomba Molotov..... :)
RispondiGianni Bugatti
circa 3 anni fa - LinkMeglio quello che fanno a barbaresco, femminile, less is more
RispondiGiacomo
circa 3 anni fa - LinkSe quello di barbaresco è quello nella tola d'olio motore, direi che nella tola per quanto mi riguarda può restarci. E pure quest'altro con la sua etichetta in pelle, visto il prezzo.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 3 anni fa - LinkSi, carino, ma roba simile la fanno in millanta. Chissà perché a nessuno viene in mente di riproporre qualcosa di originale, unico e toscano come i tanti distillati aromatizzati che da bambino vedevo in ogni casa, dal podere alla villa? A Montalcino c'era ovunque la grappa al basilico e altrove intrugli diversi, ma sempre di essenze locali. Certo, alla base c'erano distillati improbabili fatti da qualunque sostanza e con attrezzature di fortuna, ma erano a loro modo affascinanti.
RispondiLeonardo Romanelli
circa 3 anni fa - LinkAffascinanti nei ricordi del passato sono d'accordo. Affrontati secondo l'idea odierna di pulizia e definizione stilistica mah..è come se dovessimo aromatizzare il tuo brunello con spezie improbabili
Rispondihakluyt
circa 3 anni fa - LinkCerto che se "l'idea odierna di pulizia e definizione stilistica" è quella che ci racconta Mazzucato nel suo post sul "whiskey invecchiato a richiesta" siamo messi bene...
RispondiLeonardo Romanelli
circa 3 anni fa - LinkDirei che non è quella che racconta Denis
Rispondihakluyt
circa 3 anni fa - LinkPer noi non sarà così, per "quelli" mi sa che è proprio così...
RispondiClaudia Gamberucci
circa 3 anni fa - LinkCiao Stefano, Concordo con te al 100% , ti invito ad assaggiare il Gin Upperhand, ne rimarrai colpito(ginepro,basilico,limone ed aneto) Unico e riconoscibile
RispondiAle
circa 3 anni fa - LinkMa a parte il raccontino avrei preferito sapere di più sui gin stessi, quali botaniche, se sono prodotti da alcol neutro acquistato o distillato in proprio, etc..
RispondiLeonardo
circa 3 anni fa - LinkLe botaniche sono scritte una per una
RispondiAle
circa 3 anni fa - LinkOvviamente intendo le botaniche di ciascuno dei due gin, non quelle geneticamente usate dall'azienda
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