24 ore a Le Macchiole (e tutto quel che ho capito di Bolgheri nel frattempo)

24 ore a Le Macchiole (e tutto quel che ho capito di Bolgheri nel frattempo)

di Alessandro Morichetti

Adesso che più o meno tutti siamo in vacanza, a Bolgheri si prepara la vendemmia. Concentrare il picco di lavoro e tensione annuale quando chi ti sta intorno va in ferie non è il massimo. Ma il mondo del vino visto da Bolgheri è un’oasi felice. E Bolgheri, vista da fuori, è terra che crea invidia e molte discussioni sintetizzabili coi soliti luoghi comuni: “La Maremma è il Bordeaux d’Italia. Oppure: in Maremma fanno i più grandi rossi d’Italia (possibili tafferugli)”.

Sono stato quasi 24 ore a Le Macchiole lo scorso giugno per un approfondimento aziendale solitario guidato. Avevo sconsigliato la cosa anche perché con l’azienda lavoricchio ma hanno insistito quindi tolgo la divisa da enotecaro e indosso quella da blogger d’assalto: “Le Macchiole è un’azienda leader nel panorama di Bolgheri”, ad esempio, è un genere di frase pur vera da cui però cercherò di tenermi lontano per non alimentare l’ovvio senza valore aggiunto.

Parentesi metodologica: ho fatto tante domande, ho ricevuto tutte le risposte, abbiamo assaggiato tanti vini ma non ho preso nessun appunto. Zero. Nemmeno qualche miniregistrazione. Una roba terribile. Mi sono goduto il flusso, ho ormai rimosso tutti i dettagli e quel che rimane è un ricordo soffice e ovattato.

viale dei Cipressi

Arrivare alle Macchiole è abbastanza facile. Venendo da nord sulla Vecchia Aurelia, si svolta a sinistra per imboccare il meraviglioso viale dei Cipressi nel comune di Castagneto Carducci (qui sopra), un lunghissimo rettilineo che conduce al centro storico di Bolgheri, incorniciato da quasi 3.000 cipressi e già all’imbocco griffato San Guido, cioè Sassicaia, sia Osteria che Tenuta. A un certo punto del viale (tecnicamente Strada Provinciale Bolgherese, occhio!) si svolta a destra in direzione Castagneto Carducci, sempre Strada Provinciale Bolgherese, e trovare La Macchiole sulla destra, dopo aver superato Ornellaia sulla sinistra, sarà un gioco da ragazzi. Io per affrondire la conoscenza del luogo sono riuscito a sbagliare strada due volte e ricorderò a lungo la vecchia via Bolgherese (una carrareccia infima, nefasta, crudele, che si imbocca alla fine della S.P.Bolgherese in prossimità di Castagneto Carducci svoltando a sinistra verso il Camping Le Pianacce) che non è la Strada Provinciale 16B Bolgherese, 189/A – 57022 Castagneto Carducci.

Alla fine ce l’ho fatta.

L’ingresso alle Macchiole è ordinato e confortante, trasmette una idea di buon gusto discreto e geometrie, una cura del dettaglio che tornerà spesso fuori.

Macchiole

A dire il vero, su una parete 15×6 campeggia il murales di Ozmo, uno dei rappresentanti più riconosciuti della street art contemporanea, e  manifesta uno spirito aziendale sereno e maturo eppur mai domo. Dettaglio ma non troppo. (Per apprezzare l’opera, leggete qui.)

Ozmo

Il capo della baracca è lei, si chiama Cinzia Merli e questa foto di Maurizio Gjivovich, un fotografo professionista che da circa 20 anni segue Le Macchiole per creare uno storico di immagini aziendali, la rappresenta benissimo.

Cinzia Merli

Una donna giovane e mingherlina, con due figli e una cantina pionieristica nell’areale di Bolgheri (anno di fondazione 1983) che da oltre 20 anni è sulla bocca di tutti a livello mondiale. Galeotta fu una degustazione al Vinitaly 1995 organizzata da Paolo Valdastri ed Ernesto Gentili per celebrare il primo anno dall’inaugurazione della Strada del vino Costa degli Etruschi. Bordeaux vs Bolgheri alla cieca, millesimo 1992, con giornalisti di settore italiani extra-Toscana ed anglosassoni. Risultato: primo Ducru-Beaucaillou, immediatamente dietro il Paleo del giovane Eugenio Campolmi. Apoteosi.

Io Cinzia Merli in realtà me la ricordo tanti anni fa quando ero ancora un lurker silenzioso. Esattamente nel 2008, il Messorio 2004 (100% merlot aziendale) prendeva i favolosi 100/100 di James Suckling in quota Wine Spectator: la manna dal cielo. Video ormai d’epoca, ancor più giovane e timida Cinzia e da soli sei anni intrapreso il cammino aziendale in solitaria dopo la scomparsa prematura del marito Eugenio.

Alle Macchiole tutto inizia e finisce da Cinzia Merli. A lei fanno riferimento il fratello Massimo, che si occupa della campagna insieme al figlio maggiore di Cinzia, Elia, l’enologo interno Luca Rettondini, Gianluca Putzolu che si occupa della parte commerciale e tutti gli altri che non ho conosciuto.

Le Macchiole è tappa privilegiata per approfondire la storia di Bolgheri. Luogo del vino bifronte, famosissimo ma osteggiato, economicamente florido seppur poco associato all’idea di terroir, costitutivamente enosnob ma inviso al purismo enosnob con rare eccezioni. Bolgheri è terra del vino che prende le mosse col Sassicaia, capostipite e modello di una zona in cui l’utilizzo dei vitigni rossi internazionali ha preso strade e stili molto diversi. (Su tutti: Sassicaia è un feudo a sé stante, autonomo e poco avvezzo alle pubbliche relazioni, Ornellaia/Masseto l’estremo opposto).

Visto che Bordeaux è il modello di riferimento dichiarato per i vini di Bolgheri, ci sta un ripassino di Giovanni Ascione e Maurizio Paparello a proposito di riva destra e sinistra a Bordeaux partendo dal minuto 4:23. È fondamentale per capire le uve del luogo, qui come là, cabernet e merlot su tutti.

Fondata nel 1983 da Eugenio Campolmi col sostegno di Cinzia, agli albori poco attiva in azienda, Le Macchiole è a tutti gli effetti una delle aziende capostipite di Bolgheri – Ornellaia fu fondata nel 1981 da Lodovico Antinori – pur non avendo quell’origine nobiliare che è croce e delizia della zona e arriva alla concezione attuale per aggiustamenti progressivi.

“Nel 1994 nascono Messorio (100% merlot) e Scrio (100% syrah) e nel 2001 Paleo Rosso si trasforma in 100% cabernet franc”: sarà questa, il monovitigno, la cifra distintiva di Macchiole. Ancor più ricercata perché a ciascuna etichetta non corrisponde una singola vigna bensì una accurata selezione di uve provenienti dai diversi appezzamenti (che sono cambiati negli anni secondo necessità) i quali, in via generale, contengono tutte le diverse uve in proporzioni variabili per avere la massima possibilità di scelta al momento della raccolta e degli assaggi per i tagli finali. Tante vigne e, all’interno di ciascuna, tante varietà.
A completare il cerchio, Bolgheri Rosso Le Macchiole nasce nel 2004, è oggi il vino d’ingresso e di gran lunga prodotto nella maggior tiratura (circa 140.000 bottiglie) da uve – merlot 50%, cabernet franc 20%, cabernet sauvignon 15%, syrah 15% – vendemmiate con leggero anticipo. Etichetta sempre molto significativa e rappresentativa per la denominazione, non ultima la 2016 come rilevato da Ernesto Gentili (Bolgheri Rosso DOC, prime impressioni sull’annata 2016)

La fotografia prende sempre più fuoco: famosa e celebrata per i 3 vini da singola uva, Macchiole ha nel blend bolgherese uno zoccolo durissimo per quantità e posizionamento (20 euro sullo scaffale).

26,5 sono gli ettari vitati e così suddivisi: 10,5 ha cabernet franc, 8,6 ha merlot, 4,4 ha syrah, 2 ha cabernet sauvignon, 0,6 ha chardonnay, 0,4 ha sauvignon blanc. Di questi, circa 2,5 ha di merlot sono destinati al Messorio, 6 ha di cab franc diventano Paleo e circa 1 ha di syrah finisce nello Scrio.

Questo lo schema dei vigneti, il mare è poco distante a vista d’occhio sulla sinistra.

Macchiole

Vignone si smarca dagli altri appezzamenti per una densità d’impianto più alta della media, in tutte le vigne c’è una stazioncina meteo per un perfetto monitoraggio delle condizioni climatiche e questo dettaglio è indicativo dell’attenzione aziendale alla gestione viticola. “La viticoltura praticata a Le Macchiole è tra le migliori del comprensorio bolgherese” hanno scritto su Slow Wine 2018 e la sensazione è esattamente quella di una filiera produttiva pianificata con invidiabile efficienza.

Stazione meteo

Una volta in cantina, le uve fino ad ora supervisionate da Massimo Merli entrano nella sfera di competenza di Luca Rettondini. In azienda dal 2008, prima affiancato allo storico Luca D’Attoma poi dal 2014 braccio sinistro di Cinzia Merli nella registrazione del timbro Macchiole. La cui costruzione segue in cantina con una coerenza irreprensibile rispetto al puzzle di vigna. A margine, Luca Rettondini è conoscitore di legni e tonnellerie di altissimo livello, dalla solida preparazione su provenienze, caratteristiche, modalità d’uso privilegiate e durata delle diverse materie prime. Figura molto interessante di enologo che padroneggia tutto, incluse le varie sperimentazioni in contenitori di ogni ordine e grado, senza perdere quel lato necessario, salvifico, da bevitore gaudente che sa apprezzare un grande Barbacarlo. Cosa rara di questi tempi.

Barrique

Quello della gestione del legno è un argomento di riflessione costante in azienda. Il primo vino aziendale che bevvi, qualche anno fa, uno Scrio 2000, mi rimase impresso a lungo per una presenza davvero invadente della tostatura, sovrastante e non equilibrata.

Esattamente all’estremo opposto, a tavola, solo un paio di anni fa ordinammo un Bolgheri Rosso 2014 che ricordo assolutamente squisito, certamente di polpa e nelle mie corde. Ne presi anche alcune bottiglie per l’enoteca tanto era gustoso e solo col senno di poi credo di aver capito perché mi piacque così. A tal proposito, credo torni utile il parallelo con due annate di Paleo, 2013 e 2014, il cabernet franc e vino-icona.

Sulla 2013 lessi parole entusiastiche – anche qui – ne presi convintamente sulla fiducia ma all’atto pratico mi trovai ad affrontare un liquido avvolgente, denso, voluminoso, dalla grana tannica impeccabile ma al contempo in debito di agilità, particolarmente alcolico e “impegnativo”. In due non finimmo la bottiglia. Dal Paleo 2014 – figlio di annata piovosa – ho avuto invece tutt’altro feedback, tanto che a pranzo in azienda, accanto a 2001 e 2002, me ne sarei serenamente bevuto l’intera bottiglia.

Paleo

Nessuna Grande Verità da questo confronto ma una micro-riflessione: Bolgheri è zona calda e generosa, di maturazioni tutt’altro che tardive. L’annata piovosa rende tutto meno lineare ma contribuisce ad alleggerire, snellisce naturalmente. E se c’è una cosa che non si finirà mai di cercare ed apprezzare a Bolgheri sono certamente eleganza, sinuosità e articolazione. Tanto nel Bolgheri Rosso quanto nel Paleo 2014 a colpirmi è stato quel minus di matericità e peso che sulla bilancia ho trovato premianti rispetto a generosità, levigatezza e complessità delle “grandi annate”.

Tassello dopo tassello, ora dopo ora, si è andata gradualmente articolando una eterogeneità espressiva che a Bolgheri ha un profumo vagamente anarchico in terra di nobili. Taglio maggioritario di cabernet sauvignon il Sassicaia, 53% cabernet sauvignon, 23% merlot, 17% cabernet franc, 7% petit verdot per Ornellaia 2015, 100% merlot per Masseto, 100% cabernet franc il Paleo e chi più ne ha più ne metta. Strade diverse per trovare la grande bottiglia, da uve diverse con caratteristiche diverse: quale quella privilegiata?

Per taluni, ad esempio, il merlot a Bolgheri è una forzatura. Concetto difficile da articolare visto il florilegio di 100/100, firmati quasi sempre Suckling/Spectator, che negli anni ha lanciato nell’empireo lo stesso Messorio di casa Macchiole. Vino per ammissione aziendale destinato a un circuito di collezionisti e investitori ormai solido, al contrario di Paleo che invece è vino da appassionati. Dovendo scegliere, non avrei dubbi, e nemmeno in azienda ne avrebbero. Detto questo, con pochi assaggi sulle spalle in zona e in via impressionistica, ho generalmente trovato più soddisfazione in alcuni blend di merlot e altro piuttosto che nella purezza. Abbiamo anche fatto il gioco del piccolo enologo in azienda per capire dove poter orientare il taglio finale di Paleo, Scrio e Messorio ma nemmeno lì il merlot mi ha fatto godere.

Merlot

23esima ora. Sono rimaste fuori tutte le signore toscane che lavorano in vigna, una squisita cena di benvenuto allo Scoglietto di Rosignano da Claudio Corrieri, le tante note d’assaggio mai nate ma quel che porto a casa è l’idea di un’azienda blasonata e solida, molto umana e mai seduta sugli allori di un successo planetario. Qualcosa cambierà perché alle Macchiole negli anni qualcosa è sempre cambiato. Chissà che gli artefici non siano proprio Elia (a sinistra), già in azienda, ancora nella fase “tanta voglia di imparare, sono giovane e voglio capire” e il fratello minore Mattia, agli inizi (è invecchiato rispetto alla foto eh) ma già col piglio di chi il vino lo sa assaggiare. Occhio a quei due, cuori di mamma.

Campolmi Bros

 

[Credits: le foto belle sono di Maurizio Gjivovich, le altre sono mie]

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

6 Commenti

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Montosoli

circa 6 anni fa - Link

Excellent report..!

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Renato

circa 6 anni fa - Link

Che tristezza quei due cipressucci in quei vasini a cornice del logo aziendale.

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Anulu

circa 6 anni fa - Link

Q: Ma è vero che la vigna originale del Paleo in realtà da 3 anni ce l'ha D'Attoma?

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Cinzia Merli

circa 6 anni fa - Link

Gent.mo Anulu, La vigna originaria di Paleo e ancora di nostra proprieta. Saluti

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Lorenzo

circa 6 anni fa - Link

Bellissimo articolo, per prodotti eccellenti. Complimenti, nei vini altre alla qualità si sente passione ed amore per il territorio

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Gigi

circa 6 anni fa - Link

Grande azienda, grandi vini, bel post. Complimenti a tutti. I due tizi che parlano dei Bordeaux sono spassosi ma un po' di parte nell'eterna contrapposizione tra Bordeaux e Borgogna, ci mancava solo di aggiungere il discorso dei protestanti e dei cattolici. Speriamo che in Italia non ci venga voglia di fare la stessa cosa tra Bolgheri e i terroir classici monovarietali.

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