Le Macchiole, o le mille luci di Bolgheri

Le Macchiole, o le mille luci di Bolgheri

di Jacopo Cossater

Inizio dalla fine, o meglio, comincio dal vino che più di altri credo mi abbia reso chiaro il lavoro che Cinzia Merli sta portando avanti a Le Macchiole, vicino Bolgheri. Perché il Messorio 2013 mi è sembrato stupefacente, a dire poco. Un rosso a base di sole uve merlot di grandissima grazia, la cui finezza va di pari passo con una certa assenza di peso. Non un vino necessariamente giocato su quella sottrazione che a volte sembra andare fin troppo di moda, anzi: un vino dinamico, splendidamente rifinito nella sua tessitura, misurato nei modi e al tempo stesso di grande personalità gustativa. Insomma, una delizia.

Le Macchiole è una di quelle cantine che non hanno bisogno di chissà quali presentazioni, sono anni che tutte le principali guide recensiscono in termini mai meno che entusiastici i suoi vini più importanti. Dal Paleo Rosso, quello più noto, fino allo Scrio e appunto il Messorio, tre rossi che a differenza di quelli della stragrande maggioranza delle aziende lungo la Strada Provinciale Bolgherese non nascono da tagli tra diverse varietà, come da locale tradizione, ma da singole uve. Curioso tra l’altro che la dicitura “in purezza” sembri in questo caso essere quanto mai azzeccata: purezza di linee, semplicità, sobria bellezza è la definizione del Garzanti, e la mia impressione è che possa calzare alla perfezione.

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A Le Macchiole un soffio di vento sembra portare quel sollievo necessario ad affrontare un’altra calda giornata d’estate, una di quelle senza una nuvola in cielo e con il mare all’orizzonte, quando sembra più vicino di quello che realmente è. Manca qualche giorno a Ferragosto e fa piacere ritrovare a 6 anni di distanza sensazioni già vissute, quella piacevole consapevolezza di poter contare su alcuni punti fissi, cantine di particolare valore il cui percorso è tutt’altro che statico e al tempo stesso caratterizzato da quelle virtù che nel 2010 avevo probabilmente solo intuito. Da allora, da quella prima visita raccontata qui su Intravino, gli ettari sono diventati 24 e l’impressione, parlandone, è quella di una sempre maggiore conoscenza delle potenzialità di ogni singolo appezzamento, così vicini e al tempo stesso così diversi per età.

Parcelle coltivate in regime di agricoltura biologica (e in piccolissima parte anche biodinamica, prove di cui Massimo, il fratello di Cinzia che si occupa degli aspetti agronomici, sembra particolarmente convinto) che vengono sempre vinificate separatamente e solo in seguito unite in quello che diventerà il blend finale di ogni vino. Per quanto il Paleo Rosso, lo Scrio, il Messorio nascano infatti rispettivamente da sole uve di cabernet franc, di syrah, di merlot, l’impressione è che tutti questi vini vadano letti come il risultato di un’addizione quanto mai logica. Un puzzle che ogni anno prende forma a seconda di quella che è la materia prima a disposizione. È questo, credo, uno dei segreti che fanno sì che ci sia una tale omogeneità stilistica nelle annate assaggiate. Un timbro straordinariamente riconoscibile non solo nei profumi o nell’elegante freschezza che sempre li caratterizza ma anche nella loro architettura, energica e delicata al tempo stesso.

Paleo

Ma dicevo dei vini, squisiti. La visita in cantina mi ha permesso di toccare con mano soprattutto i 2013, quelli in uscita. Da segnalare il crescente uso di vasche in cemento, in vinificazione, che precedono le più o meno lunghe maturazioni in barrique. Eccoli qui.

Paleo Bianco 2014

Sauvignon e chardonnay per quello che è probabilmente il meno conosciuto dei vini targati Le Macchiole. A ragione, perché i rossi sono straordinariamente buoni. A torto, perché lungo la Costa Toscana di bianchi così completi ce ne sono davvero pochi. Agrumi ed erbe aromatiche, soprattutto macchia mediterranea per un vino la cui maturazione in barrique porta a una sfericità di particolare gradevolezza. Carezzevole più che morbido, sfumato, lungo. Dal 1991, a meno di 30 euro.

Bolgheri Rosso 2014

Rosso rubino scuro. Al naso è il frutto ad essere protagonista: ciliegia e più in generale piccoli frutti rossi maturi sono però il preludio a sentori balsamici che portano a una bella sensazione di profondità. Morbido e piacevolmente avvolgente, nella sua semplicità rivela una trama tannica di particolare precisione, mai eccessiva e anzi ben integrata a un assaggio di discreta freschezza, uno di quelli che girano a meraviglia e che ti ritrovi ad aver finito sempre troppo presto. In assoluto il vino de Le Macchiole che assaggio con più frequenza e da sempre uno dei miei Bolgheri preferiti. Dal 2004, sui 20 euro.

Paleo Rosso 2013

Ad assaggiarlo alla cieca mai una volta che abbia pensato immediatamente al cabernet franc. Chissà, un grande merito dei vini de Le Macchiole è forse proprio questo: la capacità di fare un passo indietro al varietale e uno in avanti al territorio, o quantomeno alla sua idea. Dal bicchiere fanno capolino note che richiamano piccoli frutti rossi selvatici, più maturi che in confettura, tracce di foglie di alloro e di erbe aromatiche in un bel contesto di macchia mediterranea e dopo, solo dopo, sentori erbacei e piacevolmente vegetali. Caldo, stupisce per articolazione e allungo: è una carezza quanto mai decisa che rivela un animo indomito, capace di concedersi ma al tempo stesso di mantenere intatta una certa inflessibilità. Buonissimo oggi come tra 10 anni, a dire poco. Dal 1989, sui 70 euro.

Scrio 2013

La ciliegia è anche sotto spirito per (colpa?) di una scodata di calore più incisiva rispetto ai bicchieri che lo affiancano. Quella che impressiona è comunque la nitidezza del frutto, così precisa nel raccontare diversi gradi di maturazione. E poi mirtilli, tabacco in essiccazione, alloro. In bocca ha grip da vendere, il tannino è incisivo e a tratti graffiante, come se non volesse concedersi con facilità. Potrebbe essere solo una questione di tempo per un rosso che oggi, a guardare i bicchieri ai suoi lati, sembra faticare un po’ in termini di grazia. Dal 1994, sugli 80 euro.

Messorio 2013

Il colore è bellissimo, appena più chiaro e sfumato dei precedenti. Piccoli frutti rossi si fanno rincorrere da note aeree di macchia mediterranea, di salsedine, di erbe aromatiche. E poi aromi lontanissimi tra di loro come quello del tabacco, del ginepro, dell’arancia matura. Un incanto, aggraziato come non credevo potesse essere, assaggio sostenuto da una trama tannica definita ma solo accennata, una carezza che contribuisce a dare spessore e tridimensionalità al sapore del vino. Una leggera succosità che invita al riassaggio, non caldo e non eccessivamente fresco. Goloso. Costa moltissimo ma probabilmente vale ogni euro speso. Dal 1994, sui 130 euro.

Con un grande grazie ai già citati Cinzia e Massimo Merli e Luca Rettondini per la disponibilità e la gentilezza.

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

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