Verticale mitologica: il Clos de La Roche del Domaine Dujac (1993-2020)

Verticale mitologica: il Clos de La Roche del Domaine Dujac (1993-2020)

di Andrea Gori

Clos de la Roche è un celeberrimo vigneto che si trova tra Morey-Saint-Denis a sud e Gevrey-Chambertin a nord e che a suo tempo fu tra i candidati per completare il nome del comune di Morey, di cui rappresenta il Grand Cru con la maggior estensione (16,9 ettari). Si tratta di un vigneto mitico come pochi in Borgogna, celebre per il suo carattere acidulo, teso ed elettrico, un vero “vino dell’inquietudine” ma che al suo interno ha una comunità di produttori che ama confrontarsi in maniera serrata.

Tra gli aneddoti di vita vissuta (ma non dal sottoscritto), la famosa cena annuale a casa di Laurent Ponsot con assaggio alla cieca dei vari vini dell’ultima annata e che (secondo il padrone di casa) si risolve sempre con la sua vittoria. Confrontarsi con i vini di questo vigneto mette i brividi a chiunque perché significa affiancare mostri sacri come Rousseau, Leroy, Lignier e Louis Remy oltre Ponsot e Dujac, in pratica un giardino delle delizie.

Nel Clos de la Roche non tutte le parcelle sono uguali, con una pendenza che varia dal 4 al 23%; resta fissa invece l’esposizione magica ad est. Cambia di poco ma sensibilmente l’altitudine, da 276 a 308 metri. Ciò che cambia maggiormente è il suolo: ad est abbiamo 50 cm di terra bruna quasi rossa, con frammenti di calcare angolare e smussato, poi procedendo verso ovest aumenta la parte ghiaiosa e calcarea. Varia anche il substrato calcareo con nella parte orientale il calcare di Premeaux (risalente all’epoca Bajociana) a grana fine, di colore chiaro, con macchie di noduli di selce siliceo (chailles) raccolti in importanti blocchi di pietra mentre nella parte occidentale (più ripida) il calcare diventa Comblanchien, ovvero un ghiaione calcareo stratificato (grèzes litées) risalente al Bathoniano.

Famoso per essere epitome di eleganza maschile e forza (sopratutto rispetto al vicino Clos Saint Denis, il cosiddetto “Mozart” della Cote d’Or), Clos de la Roche offre vini sempre complessi, intensi e soprattutto profondi, un gorgo di sensazioni terrose e fruttate avviluppanti che rimandano ad arance rosse, fragole in confettura, note fumé, legno di cedro e tante sensazioni piccanti che richiamano quasi il vicino Chambertin. Assaggiando un grande Clos de la Roche potreste essere sconquassati inizialmente dalla sua durezza e scontrosità ma verso la fine della degustazione emergerà il suo lato suadente e potreste arrivare a sentirvi come Kevin Spacey nella vasca da bagno tra i petali di rosa insieme a Mena Suvari.

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Domaine Dujac
qui ha quasi 2 ettari con parcelle sparse tra il cuore del vigneto (che in origine non arrivava a 5 ettari, per cui i restanti 12 sono sempre stati accettati con qualche riserva), Monts Luisants (la parte più in bassa, ovvero quella non piantata a bianco) e nel sub climat di Les Chabiots. La generosità e gentilezza di Jeremy Seysses ci hanno concesso un tuffo nel recente e meno recente passato della produzione aziendale da questa vigna, come sempre estratta e vinificata con intenso uso di grappolo intero.

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Clos de là Roche 2020
Cinereo e cupo, prugne selvatiche, rosa e frutta di bosco, noce moscata, cioccolato, cassis, come sempre tannino duro e roccioso in questa fase con un lato dolce per ora nascosto ma pronto ad esplodere. Profondo e sublime, florealità debordante nel finale, più sereno e pacato dell’esordio. 97

Clos de la Roche 2018
Tiene fede alla sua reputazione di vino acidulo teso ed elettrico, inquieto, qui reso più dolce e abbordabile dall’annata, arancia sanguinella e bergamotto, cannella e mon cheri, mostra un lato selvatico ed animalesco, sorso piacevole e ritmato, sempre scontroso e caratteriale. 96

Clos de la Roche 2016
Incenso, rosa, alloro, vetiver e cannella, cassis e pepe, cuoio e menta ma anche vaniglia e mela rossa, ciliegia mon cheri, classico con una ampiezza sublime e rigorosa, si espande in lunghezza fino a conquistarti. Vino da attendere a lungo ma in una annata che strapperà applausi. 98

Clos de la Roche 2013
Annata fredda e tardiva vendemmia a ottobre, cassis e more, profluvio di frutta, pepe verde e nero, aloe, sandalo, sorso di cannella spezia ebanisteria e rilascia una serie di sensazioni uniche e speziate, piccantissimo e risoluto, rivoli di frutto di tantissime speziature , tannino arrivato a bella definizione . Vino quasi pronto ma che può riservare sorprese eccome 97

Clos de La Roche 2010
Salamoia e fragole in confettura, cannella, sottobosco, alloro e ribes nero, senape e cumino, di nuovo annata tardiva, acciuga e olive, il frutto torna nel finale boschivo, ginepro e rabarbaro, tannino piacevolezza e tratto dolce si sentono e bene, forse solo un poco più rilassato e piacione della media. 95

Clos de la Roche 2008
Bottiglia un po’ ridotta e vegetale, non significativa. nc

Clos de la Roche 2006
Naso che ci mette un poco ad aprirsi, ciliegie in confettura, alghe profumate e tono fumé ma al sorso ha tenerezza e piacere, sensualità e ricchezza stupefacente, tannino che comincia ad addolcire ma è sempre avvolgente e pulsante, profondissimo ma che non accenna a rendersi pronto. 98+

Clos de la Roche 2001
Humus e sottobosco iniziali, caramello e ginepro, cumino e cannella, sorso di maestosa grazia e fittezza ancora, rabarbaro menta e mirra, tannino fitto ancora scalcia bene e tiene il vino in forma strepitosa. 96

Clos de la Roche 1993
Il colore sottilissimo e sfuggente, l’annata è di quelle grandiose con frutto e potpourri floreale, chinotto, prugne, lato ematico e quasi meditteraneo, pepe di Selim, etereo e sottile, resina di pino e ginepro, in bocca rivela una stupefacente grazia, armonia e tensione con un lato muschiato che si svela a poco a poco mentre un gorgo di sensazioni eteree ipnotizzanti ritorna via naso al cervello e da lì non accenna a smuoversi. 99

Clos de la Roche di Dujac è un vino affascinante, fatto di intensità e armonia, con un prezzo allineato ai grandi di Borgogna ma ancora non del tutto irraggiungibile. Pare avere una vibrazione inesauribile e se la matrice del Grand Cru lo fa spesso partire da note spigolose, acide e aspre, Jeremy riesce sempre ad evocarne l’intima carnale dolcezza unendola al lato minerale in maniera davvero mirabile.

[Credits foto: Jasper Morris, Winehog e The Drinks Business]

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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