TerroirMarche, le nuove sfide. Intervista al presidente Rocco Vallorani

TerroirMarche, le nuove sfide. Intervista al presidente Rocco Vallorani

di Jacopo Manni

TerroirMarche è un consorzio costituito da vignaioli che si propone di valorizzare e promuovere la viticoltura biologica delle Marche, la difesa del territorio e dei beni comuni, la diffusione di culture e pratiche per un’economia sostenibile e solidale. Il consorzio oggi conta 19 aziende sparse in tutte le Marche con 200 ha di vigneto e circa 800.000 bottiglie prodotte, tutte rigorosamente bio.
Ogni anno, dal 2013, questo gruppo di appassionati vignaioli si riunisce in una festa per raccontare i vini e una visione della viticoltura, oltreché il piacere dello stare insieme. Il 24 e 25 luglio scorsi si è svolta presso Villa Malacari a Offagna la prima edizione post Covid della manifestazione. Invece del consueto report dal fronte con la sfilza dei vini degustati ho deciso di intervistare il nuovo presidente del consorzio, Rocco Vallorani dell’azienda Vigneti Vallorani, perché i temi tirati fuori nella due giorni erano caldi e meritevoli.

Rocco Vallorani

Ciao Rocco, partirei proprio dal vostro comunicato: “Lasciateci lavorare vogliamo solo fare vino.
Biologico si, biologico no, la biodinamica è esoterica, la biodinamica non è esoterica, tentativi di dare definizioni su cosa è o cosa non è il vino naturale, polemiche, discussioni per l’approvazione di iter legislativi da parte di opinionisti di professione bravi a parlare di tutto ma che nello specifico non conoscono nulla: adesso la parola la prendiamo noi che facciamo vino con le mani nella terra e, per favore, lasciateci lavorare che vogliamo SOLO fare vino.” Capisco il messaggio ma personalmente non sono d’accordo. Secondo me voi non fate SOLO vino, per quanto mi riguarda questa affermazione la possiamo traslare e utilizzare per l’industria. E cito la Treccani: “l’industria è l’attività umana diretta alla produzione di beni e servizî, anche nelle sue forme più semplici”. Io credo che voi non facciate SOLO vino ma agricoltura, cultura, politica e molte altre cose, ma ti chiedo di spiegare la vostra posizione in merito.
La nostra voleva essere una provocazione, siamo consapevoli dell’importanza del nostro lavoro. In TerroirMarche il confronto è di vitale importanza, discutiamo di tutto, dalle pratiche agronomiche in vigneto alle operazioni in cantina fino a quello che succede nel mondo del vino. Sempre più spesso però abbiamo la sensazione di non essere liberi nel poter fare il nostro lavoro perché ci sentiamo dire, da gente esterna, cosa fare e cosa non fare. Viviamo nell’era dei social e del clickbait in cui tutto è concepito con l’intento di attirare l’attenzione ed il modo più facile per riuscirci è creare due fazioni contrapposte alle quali applicare un’etichetta: sì vax/no vax, difensori della patria/buonisti, bio/convenzionale, naturale/industriale, ecc.
Nel mondo del vino ritroviamo le stesse dinamiche che animano quotidianamente i temi di attualità, ma noi vignaioli sappiamo bene che esistono migliaia di sfumature e che dividere il mondo in due fazioni sia non solo fuorviante ma anche ipocrita: sono proprio queste sfumature a determinare la complessità del mondo in generale così come in quello enoico.
Sicuramente ricorderai lo scontro in parlamento sull’agricoltura biodinamica, alcuni parlarono di stregoneria ed altri si schierarono a favore ma la discussione si è fermata lì, non si è parlato di fertilità dei suoli, di biodiversità e di rigenerazione ma solo di corna, luna e streghe: per l’ennesima volta le due fazioni si sono confrontate ad un livello da tifo da stadio evitando gli argomenti più complessi che avrebbero annoiato il lettore da social. Le stesse dinamiche le ritroviamo ogni volta in cui si cercano di definire le pratiche per la produzione di vino naturale  (controllo della temperatura si/no, lieviti selezionati si/no, filtrazioni si/no )  dando per scontato che ci debba essere per forza un protocollo dettato da qualcuno, spesso esterno al nostro mondo, nonchè basato il più delle volte su preconcetti anzichè su conoscenze e competenze. Ci sono persino degli organizzatori di fiere che decidono quali tecniche di vinificazione sono ammesse in quel determinato evento senza indagare affatto la provenienza dell’uva. Si è giunti all’elogio della tecnica (o sarebbe meglio dire non tecnica) dimenticando il pilastro della questione: l’uva!
Mi torna in mente “Fermento Marche, confronto laico su lieviti e terroir” a cura di Fabio Giavedoni e Walter Speller, uno dei laboratori che organizzammo durante la prima edizione TerroirMarche Festival (Ascoli Piceno 2015): 10 vini da degustare alla cieca di cui la metà fermentati con leviti selezionati e l’altra metà con fermentazioni spontanee; oltre ai relatori parteciparono alla degustazione circa 60 persone del settore e nessuno fu in grado di riconoscere i vini prodotti con lieviti selezionati. Quello che risultò invece evidente era l’impatto del terroir sulle scelte di vinificazione.
Stiamo assistendo all’ascesa dei vini fatti “senza niente” ma dal nostro punto di vista è solo un trend che perde totalmente di significato se slegato da una corretta gestione dei vigneti. Acquistare uve da vigneti lavorati in maniera non sostenibile per poi vinificarli “senza niente” è una digressione che non condividiamo.
Questa promisquità tra moda ed etica fa si che la sostenibilità perda totalmente la sua accezione.

Siete nati nel 2013, siete una delle associazioni di vignaioli più longeve. Rispetto alle istanze di quasi 10 anni fa come è evoluta la vostra esperienza? Qual’è il senso oggi di TerroirMarche?
Ti confesso che a questa cosa non avevo mai pensato. Mi fa decisamente piacere ed è un importante spunto di riflessione. L’art.4 del nostro statuto dice che ” il consorzio non ha scopo di lucro e si prefigge la promozione e la valorizzazione della vitivinicoltura biologica/biodinamica marchigiana, la difesa del territorio e dei beni comuni, la diffusione di culture e pratiche per una economia sostenibile e solidale”.
A quasi 10 anni dalla nostra nascita siamo ancora molto legati a questi principi ed ad essi è ispirata ogni nostra iniziativa, credo che questo sia il principale segreto della nostra longevità. Inoltre, come stabilito chiaramente dai fondatori, qualsiasi dinamica commerciale deve rimanere fuori dalla politica del consorzio.
Non possiamo che essere felici e fieri del fatto che ad ogni nostra iniziativa ci siano parecchi operatori del settore, ma questo è uno degli effetti collaterali delle nostre attività il cui scopo è far capire che un’altra agricoltura è possibile e che questo approccio non va ad influire negativamente sulla qualità ma al contrario la esalta.
In TerroirMarche preferiamo definirci amici prima che colleghi, siamo animati da un forte spirito collaborativo e solidale, la ricchezza delle relazioni è essenziale e alla base di tutto. Il rispetto per il territorio non è credibile se non è accompagnato da quello per le altre persone.  Per questo motivo scegliamo con cura le aziende che possono entrare a far parte di TM. I soci, oltre a condividere la nostra filosofia di gestione dei terreni e delle pratiche di vinificazione devono avere rispetto per le altre anime del consorzio e tanta voglia di mettersi in gioco. TerroirMarche non è un fine ma un mezzo ed ognuno deve fare la sua parte per raggiungere gli obiettivi comuni. Nonostante le diversità di vedute su alcuni temi, che in passato hanno portato a scontri anche molto animati, abbiamo sempre messo il consorzio ed i suoi valori al centro della discussione riuscendo così a superare tutte le difficoltà. E sono orgoglioso di poter affermare che il senso di TM oggi è lo stesso del 2013, sono convinto che se ci fosse la necessità oggi come 8 anni fa rifaremmo la battaglia contro l’uso del glifosato sui bordi delle strade nella provincia di Ancona o il flashmob al Vinitaly contro le trivellazioni nel Piceno.

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Quest’anno è stata la prima edizione post covid del vostro festival, nato nel 2015 col chiaro intento di fare comunità e coinvolgere un ampio pubblico per divulgare le vostre istanze. Da quest’anno avete, mi pare, deciso di cambiare quella che era più una fiera e di farla diventare invece più una festa. Quale processo ha generato questo cambiamento?
Quella appena passata è stata la sesta edizione dell’evento TM, siamo partiti nel 2015 ad Ascoli per arrivare ad Ancona nel 2019 passando per Macerata. L’idea originale era quella di raccontare la nostra idea di agricoltura, in maniera itinerante, nei posti più belli e caratteristici della nostra regione, consolidando così anche il forte legame con il territorio. Assistiamo però alla nascita, ogni anno, di nuove fiere con format spesso simili a quello delle precedenti edizioni di TM e ci siamo accorti che per un avventore poco esperto era difficile cogliere le differenze tra la fiera organizzata da la qualunque al TerroirMarche estival.
Ci siamo interrogati e confrontati sull’argomento durante una delle nostre riunioni e la risposta, come spesso accade, l’abbiamo trovata nelle nostre radici: ai tempi della mezzadria, assai diffusa nelle Marche, i pochi i momenti di svago erano rappresentati dalle feste di campagna, eventi conviviali che celebravano i raccolti o particolari ricorrenze,  momenti di gioia ed aggregazione ma anche di confronto.
E da questo concetto siamo partiti per organizzare una festa di campagna, un evento schietto, sincero, in cui possiamo spogliarci da formalità e cerimoniali per confrontarci con curiosi, appassionati ed operatori senza barriere di alcun genere, riuscendo così ad avvicinare sempre più persone al nostro lavoro.
Senza dimenticare che per noi che parliamo di agricoltura è fondamentale far respirare l’aria delle nostre campagne e calpestare i terreni dove quotidianamente ci sporchiamo le mani, per questo abbiamo deciso di spostare l’evento dalle città alle nostre aziende. Anche l’idea del banco comune è legata alla nostra idea di consorzio, non vogliamo essere visti come tante aziende che fanno un’iniziativa insieme ma come un’entità unica composta da vignaioli animati da un obiettivo comune.

Ti cito una frase di Baumann:”La nostra vita è un’opera d’arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare (almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l’impossibile.”siete nati con chiari intenti “politici”. State ancora tentando l’impossibile? Qual’è il vostro impossibile oggi?
Vogliamo contribuire a sensibilizzare colleghi e consumatori sull’importanza delle pratiche agricole rispettose dell’ambiente, vorremmo che tutti gli agricoltori si trasformassero da sfruttatori a difensori della terra. Questa è la nostra missione impossibile, oggi come lo era 10 anni fa.
Dalla nascita di TerroirMarche crediamo di aver contribuito a far riflettere tante persone sul tipo di agricoltura che intendono sostenere. E sicuramente l’interesse che altre aziende vitivinicole marchigiane hanno dimostrato nei confronti di TM ne è una prova. Per noi il marchio BIO è solo un punto di partenza, da lì occorre impegnarsi per fare di più; non possiamo però negare che siamo contenti di notare che diverse aziende da sempre convenzionali stiano convertendo le loro produzioni in biologico.
Sicuramente queste scelte sono dettate dalla richiesta dei mercati ma siamo anche noi, con le nostre iniziative, che facciamo cultura sui consumatori condizionando di conseguenza i mercati. Siamo consapevoli di essere una goccia in un oceano, ma potremo assistere ad un reale cambiamento solo quando saranno tante le gocce ad andare nella stessa direzione.

Ultima domanda e chiudo il cerchio (provocandoti): se voi fate SOLO vino… che cos’è il vino per voi?
Conosciamo l’importanza del nostro lavoro e per questo lo amiamo e lo portiamo avanti rispettando i principi che ci animano e ci uniscono in questo consorzio. Il vino ha una natura poliedrica, ha origine nell’agricoltura per sfociare poi nella cultura. Ogni bottiglia, oltre a raccontare il terreno, l’esposizione, il vitigno, l’annata e la tradizione può e deve esprimere anche valori, cultura ed etica del vignaioli.  Ognuno di noi si impegna affinché i nostri vini siano impregnati di questi ideali.
Non siamo produttori di una bevanda, siamo interpreti di un territorio e di un idea. Difficilmente durante i nostri eventi ci troverete a parlare di tonalità di colori o di note di sottobosco ma piuttosto di tradizione, di etica e di ecosistemi.

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Jacopo Manni

Nasce a Roma ma si incastella a Frascati dove cresce a porchetta e vino sfuso. L’educazione adolescenziale scorre via in malo modo, unica nota di merito è aver visto dal vivo gli ultimi concerti romani dei Ramones e dei Nirvana. Viaggiatore seriale e campeggiatore folle, scrive un libro di ricette da campeggio e altri libri di cucina che lo portano all’apice della carriera da Licia Colo’. Laureato in storia medievale nel portafoglio ha il santino di Alessandro Barbero. Diploma Ais e Master Alma-Ais, millantando di conoscere il vino riesce ad entrare ad Intravino dalla porta sul retro.

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