Sovranismo e vino, un pericolo reale

Sovranismo e vino, un pericolo reale

di Redazione

Ulrich Kohlmann ci ha inviato questo articolo che pubblichiamo volentieri.

La Germania ama il vino italiano. Dal rapporto 2017/2018 del Deutsches Weininstitut risulta che circa un terzo del vino importato in Germania proviene dal Bel Paese che occupa il primo posto nella classifica del volume, lasciando – a grande distanza – il secondo alla Francia e il terzo alla Spagna.

Dati positivi, confermati da Giorgio Dell’Orefice del Sole 24 Ore, che indica il valore del vino italiano comprato dai tedeschi con un miliardo e 37 milioni di euro. Insieme a tanti altri prodotti del made in Italy apprezzati in Germania il vino è quindi un vero toccasana per l’export italiano.

Purtroppo la situazione è molto meno rosea di quanto possa sembrare guardando solo questi numeri. Confrontando i volumi dell’export di vino italiano con gli anni precedenti, nel 2018 si è riscontrato un forte calo delle esportazioni verso la Germania: un 9,6% in meno rispetto al 2017. Giovanni Busi, presidente del Consorzio Chianti, parla addirittura di una riduzione del 20% per le vendite del vino toscano nella Repubblica Federale.

Le ragioni di questo peggioramento sono molteplici. Secondo uno studio di NOMISMA sulle tendenze dei vini italiani presso la ristorazione tedesca, le cause principali sono quattro: l’invecchiamento della popolazione tedesca, la predilezione della birra tra i più giovani, la mancanza di una più ampia conoscenza delle denominazioni e brand italiani ma anche la crescente affezione dei wine lovers tedeschi per il vino made in Germany.

Di tutti questi fattori responsabili della contrazione dell’export italiano, quest’ultimo è il più serio perché non è detto che gli anziani non bevano più vino, che le nuove generazioni non possano ancora scoprirlo e che la brand awareness non possa essere migliorata attraverso strategie di marketing mirate.

Come dimostrano i dati forniti dal sito I numeri del vino, la tendenza dei consumatori tedeschi a bere più vino made in Germany rischia invece di diventare un fenomeno strutturale.

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Certo, nel settore vino i tedeschi non sono autosufficienti. Per fortuna la loro sete supera alla grande la produzione in casa propria. Se la tendenza del bere locale fosse però spinta ulteriormente da una convinzione sovranista, il problema per l’export del vino italiano sarebbe davvero serio. Precedenti per un sovranismo del vino in Germania comunque ce ne sono.

Un esempio è la creazione della “Deutsche Weinstrasse” (la Strada del Vino Tedesco) nel 1935, che ancora oggi attraversa la regione del Palatinato. La sua apertura fu l’inizio di un turismo del vino tedesco di grande successo che ha rafforzato fino ai giorni nostri il consumo domestico superando in breve tempo una delle crisi più gravi nelle vendite del vino.

Anche nel Dopoguerra democratico il bere locale è stato spinto da numerose iniziative tra le quali va ricordato soprattutto il wine trekking. Grazie a vari progetti statali e privati negli ultimi decenni sono stati realizzati numerosi sentieri di trekking, soprattutto lungo i fiumi dove si trova la gran parte delle aziende vinicole tedesche. In questa maniera si sono uniti in un connubio perfetto la grande passione dei tedeschi per le camminate e la loro non meno importante sete di Riesling,  Grauburgunder o Pinot Nero.

Per molti anni questi tentativi di accrescere il consumo domestico sono rimasti inosservati all’estero. L’amore profondo dei tedeschi per il cibo e il vino italiano sembrava fornire una solida base per la vendita. Infatti, per un lungo periodo l’ampia diffusione della ristorazione italiana in Germania ha garantito una naturale richiesta di massicce quantità di Soave, Valpolicella, Bardolino e Chianti.

Ancora oggi la cucina italiana è la più amata dai tedeschi. A casa pizza e pasta guidano la classifica dei piatti preferiti e il 31,5% indica la ristorazione italiana come la più apprezzata mentre quella tedesca riscontra il favore solo del 16,1 % degli intervistati.

Per poter valutare con più precisione il pericolo per l’export italiano causato dalla tendenza a bere più spesso i vini prodotti in Germania, bisogna focalizzare il punto preciso dove gli interessi vinicoli dei due paesi entrano in conflitto. Il campo cruciale non è la viticoltura del Riesling che l’Italia non esporta nella patria di questo vitigno, né è quella del Sangiovese che in Germania praticamente non esiste come neanche la produzione spumantistica, un settore in cui infatti il Prosecco riscontra da anni il favore incondizionato del pubblico tedesco.

Il vero campo su cui si gioca la partita decisiva è il Pinot Grigio. Il motivo è semplice. Dal 1970 ad oggi la Germania ha dimezzato la superficie coltivata a Müller Thurgau raddoppiando nello stesso periodo la coltivazione di Pinot Grigio.  Oggi, con 6402 ettari, è il terzo produttore mondiale di pinot grigio dopo l’Italia e gli USA. Qui l’Italia ha da perdere parecchio. Prodotto su 24501 ettari, il Pinot Grigio è il vitigno italiano che riempie un vero fiume di vino. Se questo non trova più sbocchi commerciali i guai diventano seri.

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Per questo motivo, credo, vada preso molto sul serio il grande successo con cui l’azienda Emil Bauer (azienda nota per la comunicazione aggressiva n.d.r.)ha lanciato una campagna promozionale del suo Grauburgunder con chiari toni sovranisti. Fate attenzione alle parole dell’etichetta. Il carattere colloquiale e giovanile, l’utilizzo dell’inglese al posto del tedesco, non sono gli elementi incisivi. Servono solo a catturare l’attenzione. La parola chiave invece è “real”. Al posto del pinot grigio italiano e del pinot gris francese, i due competitori più importanti, parole sbarrate sull’etichetta, si invitano i compatrioti a bere un “real” Grauburgunder, cioè roba vera, autentica.

La ciliegina sulla torta di questa campagna di marketing mi è stata svelata dallo stesso produttore durante un colloquio a Prowein: tempo fa era riuscito a convincere persino il titolare della Pizzeria locale a vendere d’ora in poi il suo Grauburgunder al posto del pinot grigio italiano da decenni sulla lista dei vini.

Se questo é potuto succedere, non rimarrà un fenomeno isolato. Una volta sciolto il legame territoriale ed emotivo tra cibo e vino, Grillo, Vernaccia di San Gimignano e Verdicchio potrebbero cedere il posto a Gutedel, Grauburgunder o Weißburgunder. La qualità dei vini bianchi tedeschi non teme la concorrenza. Di certo l’orizzonte per l’export italiano si oscurerebbe.

Attenzione però. Il rischio non è che la Germania passi ad un nazionalismo enoico che preferisce il vino locale anche quando il prodotto straniero è migliore. Poco probabile anche che torni a würstel & krauti, da abbinare solo con la birra.

La società tedesca è ormai strutturalmente multiculturale e aperta verso il mondo e non torna indietro. Un buon esempio è la grande diffusione della cucina asiatica che negli ultimi anni si è fatta largo nella ristorazione tedesca dove trova il favore del 29,1% degli intervistati. Il futuro si gioca qui. Ai piatti preparati nel wok si possono abbinare tranquillamente tutti i vini bianchi tedeschi. Una nuova voglia di autenticità nel bere si potrebbe combinare facilmente con il non meno rilevante interesse per nuovi orizzonti gastronomici. In ogni caso l’Italia ne sarebbe tagliata fuori.

Un rimedio c’è. Rafforzando il legame emotivo tra i wine lovers tedeschi e il Bel Paese si potrebbe evitare che il Grauburgunder prenda il posto del pinot grigio. Lo strumento migliore per farlo è il turismo del vino. In questo settore siamo solo all’inizio. Dobbiamo imparare in fretta. E a questo scopo guardare che cosa stanno facendo gli altri non nuocerebbe. Migliorando la qualità e la varietà delle offerte enoturistiche in tutto il paese si creerebbero le condizioni necessarie per far sì che i tedeschi rimangano innamorati dell’Italia. Solo così le sirene del “drink local!” non avranno la meglio.

Ulrich Kohlmann

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