Monserrato 1973 e i rossi della Campania, quelli buoni

Monserrato 1973 e i rossi della Campania, quelli buoni

di Jacopo Manni

Monserrato 1973, tutto nasce indovinate in quale anno…
Francesco Zecchina è un imprenditore nelle costruzioni con un piede anche nel mondo agricolo. Amante di Bacco e Tabacco, e da quel che ho capito anche di Venere, decide per sfizio e per passione di dedicarsi alla sua terra producendo quindi tabacco, vino e olio nel beneventano ai piedi del monte Serrato.

Siamo nella valle Telesina, famosa più per la maledetta strada a due corsie, dove autovelox e camion rendono il tragitto un vero inferno, che per la produzione agricola di qualità. L’azienda per anni è strutturata più come un divertissement di famiglia che come un vero e proprio business, finché la figlia Paola non decide di rivoluzionare la sua vita e la sua azienda. Per Campania Stories mi sono approcciato alle loro bottiglie e da subito ho intuito il grande lavoro fatto già a livello di grafica e comunicazione.

Le etichette e tutto il packaging sono bellissimi, con uno studio grafico accurato, molto attuale e futuristico. Ma niente a che vedere con le etichette fatte disegnare dai bambini dei produttori ormai tanto di moda nei vini artigianali. Qui c’è uno studio profondo e si vede. Tutta la comunicazione aziendale è incentrata sulle storie, i miti e le leggende popolari delle streghe beneventane. Un grande lavoro di ricerca e di reinterpretazione dei racconti orali e ancestrali tramandati da generazioni sulle famose streghe beneventane. E se l’amaro ci ha costruito i suoi successi perché no anche i vini.

Bellissime le etichette e molto interessanti i vini. Ho assaggiato molti rossi in questa tornata di Campania Stories e devo dire che li ho trovati mediamente sempre tutti sbilanciati, poco bevibili al contrario dei bianchi che raggiungono invece livelli eccelsi, Fiano e Greco su tutti. Quindi Campania bianchista per me. Ma i rossi di Monserrato 1973 mi hanno molto colpito proprio per la loro sbalorditiva beva. Tutti i vini assaggiati in realtà viaggiano su una filosofia di vino godibile, fresco e conviviale. Sono vini di movimento, agili e scattanti, per niente Serrato questo monte direi.. anzi. Le serrature della beva sono state scardinate con forza!

Gli assaggi

Levata 2019
Falanghina in purezza che dal primo approccio fa intendere perfettamente lo stile aziendale. Simboleggia la levata delle streghe all’alba e quella frescura di rugiada che la fredda notte beneventana si porta dietro te la ritrovi perfettamente nel bicchiere già nel colore con dei riflessi di clorofilla. Un vino freschissimo, godibile, senza troppe sovrastrutture e pippe mentali dietro.

Rintocco 2019
Aglianico tagliato con un 25% di Barbera del Sannio, di cui parleremo meglio dopo, per renderlo meno spigoloso, duro e austero e più godibile e fresco. Qui si gioca sul simbolismo del rintocco delle campane, talmente centrale nella sociologia italica da aver coniato un neologismo, il campanilismo. E’ un vino che già nel colore si svela come agile e snello rispetto alla tipologia, alle latitudini e alle tradizionali lavorazioni dell’aglianico. Meno struttura e fruttone e più beva, che non vuol dire meno complessità, persistenza e serbevolezza. In bocca gioca tutto sulla balsamicità, è nervoso e scalpitante, una bella lama fresca. È un aglianico irriverente e opposto, sta tracciando la nuova via e speriamo che altri lo seguano.

Falanghina 2019
Sempre in purezza ma selezione in vigna, basse rese e alta qualità per il bianco di punta dell’azienda. Il nome in etichetta è strillato con molte vocali. Un urlo apotropaico che scaccia le streghe, la sfortuna e porta freschezza e pulizia in bocca. La struttura cambia ovviamente ma lo stile rimane sempre bello dritto e tutto improntato sulla bevibilità e l’agilità. Come le vocali dell’etichetta anche il sorso va lungo e corre via agile, snello e equilibrato. In bocca è pulitissimo e le freschezze si alternano e si fondono bene con l’alcolicità e l’estratto. Anche questo ha fatto centro.

Barbera del Sannio 2019
E qui veniamo al fuoriclasse. Ho scritto questo pezzo soprattutto per parlare di questo vino.
Che nasce da un equivoco come tante cose belle. I piemontesi dopo l’unità d’Italia hanno chiamato questo vitigno Barbera del Sannio perché gli ricordava la loro barbera, anche questa fresca, fruttata e piacevolmente speziata. Notizia fresca è che farà presto un cambio all’anagrafe e si riprenderà il suo antico nome, Camaiola del Sannio. Un vitigno capace di vini taglienti ma fruttati, corposi ma leggiadri. Un vino dicotomico come questo di Monserrato 1973 che viaggia dunque su un doppio binario di freschezze e di complessità, di agilità ma di materia, di finezza ma di struttura, di sciabola e fioretto. Per renderlo più complesso, equilibrato e forse longevo l’azienda lo fa riposare in anfora per 6/8 mesi. E’ succoso e croccante, ti fa veramente venir voglia di strillare e ululare al cielo con forza per provare a scacciare le streghe beneventane.

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Jacopo Manni

Nasce a Roma ma si incastella a Frascati dove cresce a porchetta e vino sfuso. L’educazione adolescenziale scorre via in malo modo, unica nota di merito è aver visto dal vivo gli ultimi concerti romani dei Ramones e dei Nirvana. Viaggiatore seriale e campeggiatore folle, scrive un libro di ricette da campeggio e altri libri di cucina che lo portano all’apice della carriera da Licia Colo’. Laureato in storia medievale nel portafoglio ha il santino di Alessandro Barbero. Diploma Ais e Master Alma-Ais, millantando di conoscere il vino riesce ad entrare ad Intravino dalla porta sul retro.

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