London Cru, se aprire una Urban Winery nel centro di Londra è tradire il territorio
di Jacopo CossaterIn realtà si tratta di notizia piuttosto datata, è iniziativa che ha mosso i suoi primi passi quasi un anno fa, ma in cui mi sono imbattuto solo ieri: l’apertura di una vera e propria cantina nel centro di Londra, Inghilterra. Una urban winery (quanto suona meglio, vero?) nata nei locali che una volta ospitavano una distilleria e che importa direttamente da Francia ed Italia uva o mosto poi vinificati in loco. Quattro vasche da millecinquecento litri che in questo momento contengono chardonnay, syrah e cabernet sauvignon provenienti dal Languedoc-Roussillon ed una barbera proveniente dalla provincia di Cuneo. Il progetto si chiama London Cru ed è iniziativa che mi entusiasma non poco, capace di portare lo straordinario mondo della vinificazione nel centro di una metropoli di un paese solo marginalmente produttore. Cosa forse scontata per noi che abbiamo le migliori denominazioni a due passi da casa, un po’ meno per chi è abituato a prendere un Prosecco nei bar Earls Court (o di Brooklyn -un’iniziativa simile è nata qualche anno fa nel cuore di Williamsburg, a New York- Vancouver e Portland, e il fenomeno è in espansione).
Mi entusiasma, esatto. Rispondendo ieri ad un commento su Facebook ho scritto che trovo molta più passione in una cosa del genere che in tantissime altre realtà, magari solo imbottigliatrici, che operano in Italia e che vendono centinaia di migliaia di bottiglie ad inconsapevoli acquirenti al supermercato, soprattutto all’estero. C’è sostanza. Ci sono le vasche, le botti, le pompe e le tante incognite che la vinificazione porta con sé. Per non parlare di quanto venga sottolineato, anche sul sito, il ruolo centrale dei diversi fornitori, gli agricoltori che si occupano di tutta la parte relativa alla campagna (nel caso di cabernet sauvignon e barbera si parla di agricoltura biologica), dalla prime potature fino alla spedizione, in camion refrigerati, di quanto vendemmiato. In questo modo London Cru si fa ambasciatore non soltanto di una varietà, in questo caso dell’italianissima barbera, ma anche di una storia e non così marginalmente di un territorio. Certo, mi rendo conto di avere un approccio forse eccessivamente laico. Penso sia la prima volta infatti in cui mi imbatto in una vicenda che soverchia così radicalmente quel rapporto intimo ed irreplicabile che esiste tra un vino ed il luogo in cui nasce. Tuttavia non posso che cedere al fascino dell’avventura, in particolare quando si mette a giocare con le verità cui siamo più affezionati.
Oh, e tra l’altro in tutto questo non ho scritto neanche una riga sui vini, che non vedo l’ora di assaggiare. Potrebbero anche essere buoni, pensate che sorpresa.
[foto: The Epoch Times]
18 Commenti
armin
circa 10 anni fa - Linki miti sono fatti per essere distrutti.
Rispondigraziano
circa 10 anni fa - Linki miti devono lottare per restare tali, questo vale anche per la vita
RispondiRossano Ferrazzano
circa 10 anni fa - LinkLa cultura a distruggerla ci vuole poco, a costruirla millenni. Io non penso di vivere fino alla soddisfacente costruzione della prossima, quindi se da qui a quando mi tocca togliere il disturbo me ne avanzate un pezzetto sano, ve ne sarei grato. Se in questo pezzetto ci fosse il vino, anche di più.
RispondiEnodreams
circa 10 anni fa - LinkLa trovo una iniziativa interessante, pensate un pò, potrebbe avvicinare all'agricoltura ed al mondo del vino persone che vivono in grandi metropoli e non hanno mai visto un grappolo d'uva o l'attrezzatura che occorre per fare il vino. Ben venga, creiamo interesse su un prodotto, il vino, ed in questo caso su un territorio, quello del Piemonte e della Barbera
RispondiNelle Nuvole
circa 10 anni fa - LinkIo rimarrei leggera ne giudizio, lasciando perdere i miti e il farsi ambasciatori di vitigni lontani dalla zona di piantagione (non produzione, quella è in Central London). Si tratta di una buona idea commerciale che probabilmente rivaluta una zona e degli edifici dismessi. Tale e quale a quella concepita da chi apre a raffica food hall (i.e. grandi magazzini del cibo) in tutta la galassia con l'intento proclamato di rivalutare produzioni autoctone, cibo del territorio, libertà produttiva, eco-verde ovunque e viva l'Italia! That rings a bell, doesn't it?
RispondiRossano Ferrazzano
circa 10 anni fa - LinkMa parliamo brutalmente di economia. Questa è la birrificazione del vino. Quante volte più della più economica birra industriale costa, la più costosa birra che esista? E il vino? Ognuno faccia quel che gli piace di più, ma non facciamoci cinesizzare pure noi del vino, con l'illusione che più se ne parla e meglio è, a prescindere da quello che si dice - e si fa.
RispondiRossano Ferrazzano
circa 10 anni fa - LinkPer non parlare del valore aggiunto. Se vogliamo farci vampirizzare tutto il valore aggiunto che eccede il mero prezzo delle uve da chiunque nel mondo possa mettere insieme un tino e una barricaia, prego, accodiamoci pure. Dopo i cervelli in fuga all'estero, anche il valore aggiunto. Riattaccare il cervello, valorizzare il valore. Il sistema paese è tutto, almeno per queste cose. Vogliono farlo, lo facciano. Not in my name, thanks.
Rispondiwww
circa 10 anni fa - Link"la birrificazione del vino" ecco appunto col tuo stesso ragionamento allora paesi storicamente produttori di birra (Germania, Belgio, UK etc...) dovrebbero cinicamente sparare a zero sul fenomeno birra artigianale italiana (ottenuta in quasi totalita' con luppolo importato). Se sia solo trovata commerciale o "vera passione" sara' il tempo a dirlo ma lasciami sperare che si tratti solo di giovani appassionati a cui augurare semplicemente buona fortunaaaaa
RispondiInDivenire
circa 10 anni fa - LinkQuest'estate in Toscana, ho avuto modo di assaggiare vino fatto in Svezia. Ebbene si, il progetto prevede la raccolta, rigorosamente a mano, di uve Sangiovese, Merlot e Cabernet da parte di svedesi appassionati in vacanza studio in Maremma. L'uva viene poi trasportata a Stoccolma in un camion-frigo alla temperatura di 8 gradi. Nella periferia di Stoccolma avvengono tutte le trasformazioni, invecchiamento in barrique di rovere svedese, americano e ungherese per 12-15 mesi. Si, succede anche questo;)
Rispondicalogero
circa 10 anni fa - LinkCiao, interessante, mi sai dare qualche dritta (sito o e-mail?) dei produttori svedesi? grazie ciao
RispondiValentina
circa 10 anni fa - Linksentite sono aperta a tutto ma quando sento parlare di "trasporto delle uve" mi giro ad ascoltare altro......secondo me non ha proprio senso
RispondiDamiano
circa 10 anni fa - LinkConcordo. Bella iniziativa
Rispondimodels_suck
circa 10 anni fa - Linkvado un filo fuori tema per segnalare un articolo della robertson sul ft di sabato in merito al tema del trasporto del vio sfuso e imbottigliamento in loco, tema con risvolti interessanti sia dal pdv della logistica che fiscali (almeno per UK). ciao
Rispondigianpaolo
circa 10 anni fa - Linkquello del trasporto del vino sfuso e dell'imbottigliamento nel paese di arrivo e' un grande tema, con risvolti veramente importanti. A Bristol c'e', credo, l'impianto di imbottigliamento piu' grande del mondo. Cito a memoria, mi pare una capacita' di un milione di bottiglie al giorno (ovviamente fanno BinB, PET, ogni cosa). Asda, uno dei piu' grossi supermercati, ha progettato di imbottigliare in inghilterra il 40% del vino che vende (e ne vende tanto). Ci sono ovviamente risparmi, economie di scala, ma anche aspetti di sostenibilita' ambientale, il trasporto dello sfuso (molto tecnologici tra l'altro) hanno un impatto ambientale molto minore delle bottiglie, e in qualche modo e' anche piu' facile conservare la qualita', visto che quei vini sarebbero in mare per 45 giorni in containers non refrigerati. E' una tendenza che sicuramente aumentera', almeno per i vini di una certa fascia di prezzo.
RispondiAlessandra Biondi Bartolini
circa 10 anni fa - LinkA me sembra un'idea geniale. Tutto il resto sono discorsi. Vampirizzare? Ma di cosa stiamo parlando? Questi ragazzi hanno avuto un'idea che funziona, cosa c'entriamo noi? Se pensiamo di poter impedire agli altri di realizzare le loro idee siamo messi davvero male. Queste sono storie che io trovo bellissime, parlano di passione, voglia di mettersi in gioco con qualcosa di nuovo. Noi questa passione l'abbiamo persa forse. Del resto cosa c'è di diverso tra questi ragazzi e i primi pionieri della birra artigianale italiana? Penso solo alle migliaia di vincoli (burocratici soprattutto) che ci sarebbero se solo si pensasse di replicare quest'idea in una città italiana.
RispondiValentina
circa 10 anni fa - Link"Del resto cosa c’è di diverso tra questi ragazzi e i primi pionieri della birra artigianale italiana?" ma come si fa a non vedere la differenza?
RispondiValentina
circa 10 anni fa - Linkla cosa triste è che funzionerà
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