Coi Riesling di Martin Tesch ci vorrebbe un <i>MTV Unplugged</i> dei Rolling Stones

Coi Riesling di Martin Tesch ci vorrebbe un MTV Unplugged dei Rolling Stones

di Nicola Cereda

Meglio sapere un briciolo di tutto o tutto di una briciola? Dice il saggio: non importa quanto tu conosca, sappi solo che non sarà mai abbastanza. Questo è un post ignorante che nasce dall’ignoranza di uno che da anni è alla ricerca del segreto del Riesling e che sta per gettare la spugna. Alsazia a parte, gli esemplari più pregiati affondano le radici in Germania (Mosella uber alles) coi suoi vini in miracoloso equilibrio tra dolcezza, acidità e mineralità, e con la fama di reggere il tempo come pochi altri bianchi del pianeta.

Considerato il fatto che un certo tenore zuccherino nel vino non è molto apprezzato sulle tavole italiane, come è possibile operare una scelta districandosi nella farraginosa classificazione tedesca? Per dovere di semplificazione, diciamo che le tipologie beerenauslese, trockenbeerenauslese e eiswein appartengono alla categoria dei vini da dessert o da meditazione. Un Riesling trocken (letteralmente “secco”) o dry (da non confondersi con la nostra classificazione degli spumanti) può contenere fino a 9 grammi litro di zucchero residuo, e fin qui tutto ok, sebbene la distanza tra 0 e 9 grammi resti significativa.

Vini kabinett, spatlese e auslese possono essere indifferentemente secchi o dolci e allora la questione si complica. A parere dello scrivente il problema di fondo delle versioni (più o meno) abboccate è l’abbinabilità col cibo. Si legge ovunque: “perfetto con la cucina orientale”, sorvolando sul fatto che la reperibilità nei ristoranti etnici è nulla e che preparare una cena thai al solo scopo di gustare un Riesling rappresenta per i più un ostacolo insormontabile. Infine il tema solforosa, rimedio più semplice (con la filtrazione sterile) onde evitare la rifermentazione in bottiglia in presenza di zuccheri residui. Quanta ce ne sarà nella mia dolce bottiglia? L’equazione +zucchero=+solforosa ha una base di verità.

È in questo oceano di perplessità che ho incrociato il mio calice con i Riesling di Weingut Tesch, azienda di 25 ettari (per 150 mila bottiglie annue) situata nella valle della Nahe, affluente del Reno. Gestita dalla famiglia sin dai primi del ‘700, la tenuta è oggi condotta da Martin Tesch, che a partire dal 2002 ne ha rivoluzionato strategia, processi e catalogo, con l’eliminazione (piaccia o meno) di tutti i vini a tendenza dolce.

L’Unplugged è il suo biglietto da visita: “a wine that rejects the temptations of technology and artificial sweetening”. Come negli spettacoli rock nei quali gli strumenti elettrici vengono accantonati per dar voce alla vera essenza delle canzoni senza trucchi né ritocchi (chi non ricorda il mitico MTV Unplugged in New York dei Nirvana?) questo Riesling è insieme scarno e di sostanza, prodotto senza aggiunte al mosto in fermentazione, dopo che in vigna si è già fatto a meno di erbicidi, insetticidi e fertilizzanti minerali. Un vino austero e asciutto con un’acidità vivida messa in risalto dalla componente salina che ne caratterizza in maniera davvero unica il sorso. Sembra quasi di sentirci il mare. Se i più grandi giacimenti di salgemma si trovano in Polonia, Austria e Germania, azzardo, chissà che non ci sia una correlazione. Acquistato on-line per 10 euro. Salato sì, ma non nel prezzo.   

In realtà ogni singolo vigneto, anche a distanza di poche centinaia di metri, è in grado di generare (a parità di manico e tecnica) vini con sfumature assai diverse. Afferma Martin: “Il riesling è la nostra finestra sulla natura. Il terreno è diverso in ogni vigneto. Solo il riesling riesce a rispecchiare perfettamente questo fenomeno grazie alle radici profonde delle vecchie viti che gestiamo in maniera rispettosa dell’ambiente”.

Unplugged

È così che da 6 differenti appezzamenti, veri e propri cru aziendali, la cantina Tesch declina 6 versioni con caratteristiche uniche e distintive. Ho apprezzato particolarmente il Karthäuser (16 euro) da un vigneto con esposizione a sud-est che garantisce una perfetta maturazione delle uve, in anticipo rispetto alle altre zone. Frutto pieno e deciso, albicocca, mela e pesca bianca. Struttura importante e trama speziata che si sviluppa con l’affinamento in bottiglia (in questo momento sto consumando un’ancora giovanissima vendemmia 2016). Il comun denominatore è comunque il sale che accompagna in sottofondo anche l’assaggio (ahimè prematuro) del più ricco e agrumato St.Remigiusberg 2019 (20 euro), dalla parcella più piccola e rinomata dell’intera proprietà.

Martin Tesch è particolarmente attento alla sostenibilità anche in fase di imbottigliamento. Si legge nel sito aziendale: “I nostri vini sono confezionati con oltre il 95% di materiali riciclati (cartone, vetro, alluminio) e imbottigliati in vetro leggero ad alta tecnologia, che richiede quasi il 25% di energia in meno rispetto al vetro convenzionale sia per la produzione che per il trasporto. Siamo stati tra i primi produttori tedeschi a passare ai tappi a vite Stelvin. Decisione basata sulla capacità di questo sistema di tappatura di conservare il vino senza alterarne il gusto a differenza di quanto avviene con il tappo naturale. Anche la freschezza e la longevità sono garantite in modo più affidabile”.

Un’ultima curiosità. Dal 2019 è in commercio un Riesling dal nome programmatico Weißes Rauschen (rumore bianco) dedicato alla band di Dusseldorf Die Toten Hosen. Non l’ho assaggiato ma in tutta sincerità spero sia meglio dell’orribile miscuglio pseudopunkrocknazionalpopolare che ho avuto modo di scoprire grazie a YouTube. Ma come Paolo Conteio non parlo il tedesco, scusa, pardon”… può essere che i testi nascondano parole preziose purtroppo per me totalmente incomprensibili.

Preferisco godermi i Riesling di Tesch buoni per la mia lingua e dannatamente marchiati dal sale della terra tanto caro alla coppia Jagger/Richards (che in fatto di lingua …).

Brindiamo a coloro che lavorano duramente
Brindiamo agli umili di nascita
In alto i calici per buoni e cattivi
Brindiamo al sale della terra
(Rolling Stones “The Salt of the Earth”)

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Nicola Cereda

Brianzolo. Cantante e chitarrista dei Circo Fantasma col blues nell'anima, il jazz nel cervello, il rock'n'roll nel cuore, il folk nella memoria e il punk nelle mani. Co-fondatore di Ex-New Centro di arte contemporanea. Project Manager presso una multinazionale di telecomunicazioni. Runner per non morire. Bevo vino con la passione dell’autodidatta e senza un preciso scopo. Ne scrivo per non dimenticare e per liberarmi dai fantasmi delle bottiglie vuote.

7 Commenti

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Lanegano

circa 2 anni fa - Link

Da 'Beggars Banquet', capolavoro degli Stones insieme a Sticky Fingers ed Exile on Main Street. Lo riascoltavo di recente, Nicola, e pensavo che è il disco che di fatto inventa l'Alternative Country e che dopo tanti anni resta decisamente maestoso ! Adoro anche i Rielsling ben fatti, comunque :)

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Nic Marsél

circa 2 anni fa - Link

Assolutamente d'accordo. E a Beggars Banquet aggiungerei il gemello Let it Bleed :-)

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Lanegano

circa 2 anni fa - Link

Altro grande disco.

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Emanuele

circa 2 anni fa - Link

Il più recente singolo dei Toten Hosen non nasconde parole preziose, bensì le ostende e lo fa già nel titolo.

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Nic Marsél

circa 2 anni fa - Link

Forse sono stato frettoloso nel giudizio immaginando un fenomeno squisitamente locale e musicalmente trascurabile. Ci tornerò sopra ;-)

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...certo che Tesch è al centro dei vostri pensieri...

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Invernomuto

circa 2 anni fa - Link

Beh a Dusseldorf di band teutoniche a cui dedicare un vino, un nome su tutti i Kraftwerk.

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