Chateau Musar 1998 | Il Libano fra Bordeaux e Languedoc

di Mauro Mattei

splash1[1]La grandezza di un vino sta nella sua capacità evocativa e Chateau Musar 1998 – noi abbiamo provato il rosso – è un vino che riporta a sensazioni d’antan. Senza mai apparire impolverato, si rinnova nel bicchiere, sfumando i suoi tratti fermi in una modernità senza laccature. La scelta dell’assemblaggio (cabernet sauvignon, carignan e cinsault) è un intento programmatico. Un viaggio, fermi col bicchiere in mano, fino al cuore della Francia più classica e ritorno. I riferimenti non lasciano scampo: del ceppo bordofilo rintracciamo facilmente l’eleganza, nell’allure delle altre varietà scopriamo il carattere sassoso della Languedoc. Il risultato complessivo non può che essere originale: uno snodarsi continuo e spiazzante di sensazioni mediterranee, acute e calde al contempo. Eppure, parlare di Mediterraneo, in questo caso – pur sembrando doveroso – è una forzatura. Chateau Musar è, infatti, più vicino all’Asia che all’Europa, ed il mare è illusione visiva, un guardare oltre le montagne che cingono la piana di Bekaa Valley.

295px-Map_of_Lebanon[1]E’ proprio qui, in quest’altopiano a mille metri d’altezza, che si sviluppa il core aziendale. Cent’ottanta ettari di vigne inseriti in una condizione micro-climatica estremamente favorevole: inverni temperati, primavere piovose e lunghe estati asciutte. La situazione ideale affinché la vite completi i suoi cicli vitali in maniera ineccepibile e senza contrarre malattie, condizioni basilari per adottare una viticoltura naturale. Caratteristiche ambientali pregevoli e terreni vocati, gli ingredienti per la ricetta di un grande vino ci sono tutti. Non ci resta che completare il quadro, sommando alle caratteristiche pedoclimatiche una buona dose di intuito e capacità interpretativa, doti di cui Gaston Hochar (fondatore e demiurgo di questo “Chateau” libanese) disponeva in quantità.

Uno spicchio di Francia in Libano, dicevamo. Eppure questo rimando, così preciso ed evidente, non ci permette di trovare nel bicchiere qualcosa di anche lontanamente prevedibile o didascalico. Solarità, eleganza, morbidezza e bevibilità tratteggiano con piccoli tocchi un vino dal piglio deciso, ammansito solo dagli anni trascorsi in bottiglia. Il colore è granato scarico, diluito all’unghia, tanto da regalare riflessi arancio. Il naso è caratterizzato inizialmente da sensazioni cupe, di frutta rossa matura e petali appassiti. Con l’ossigenazione, il vino rivela un entusiasmante caleidoscopio di spezie e agrumi canditi, 1998 Chateau Musar[1]caratteristiche che sommandosi rendono l’olfazione imprevedibile e raffinata. Al palato, l’ingresso è morbido, sottile, tannini microscopici – quasi porosi, eppur vitali – dominano la scena sorprendendo per slancio ed equilibrio. Chateau Musar è corredato da una freschezza solleticante e, vibrando sul palato, si sgrana ad abbracciarne ogni singolo millimetro. I ricordi gusto-olfattivi rimangono a lungo e ne possiamo così godere a pieno. Senza fretta.

Sulla spinta di questa piacevolezza e sull’onda della complessità goduta, abbiamo tentato una prova di forza. Lasciata per 24 ore mezza bottiglia all’aria, eravamo curiosi di scoprire gli effetti dell’iper-ossigenazione sul liquido. L’azienda stessa, infatti, consiglia un’apertura  “programmata” del vino, suggerendone addirittura la caraffatura (vade retro satana). Beh, come al solito malediciamo la nostra voglia di indagare. Al ri-assaggio, nostro malgrado, il bicchiere ci è parso “svuotato”. A farla da padrone questa volta sensazioni ossidative, note di rabarbaro e torrefazione, che hanno rapidamente cancellato l’idea di finezza che sosteneva il bel ricordo dell’approccio precedente. Del vino che ci aveva emozionato la sera prima era – purtroppo – rimasto poco, se non la voglia di aprirlo nuovamente. Questa volta, però, per berlo tutto di un fiato.

Mauro Mattei

Sommelier multitasking (quasi ciociaro, piemontese d'adozione, siculo acquisito), si muove in rete con lo stesso tasso alcolico della vita reale.

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