Led Zeppelin e altri scampoli di fiera – Parte I
di Emanuele GiannoneMercante in fiera
La fiera è mercato per definizione. Ne è la fenomenologia più variopinta ed esemplare. La presenza massiccia di certi ammennicoli rischia però di rendere le fiere, nella fattispecie quella di Verona, più variopinte che esemplari: penso alle cravatte trompe-l’œil e a quelle per affetti da discromatopsia, ai sorrisi-crampo e a quelli scivolosi, che si atteggiano a cortesia ma evocano dispepsia. Penso soprattutto ai florilegi di luoghi comuni, svarioni, autoreferenze e pavoneggiamenti che distinguono i mercanti in fiera dalle figure commerciali più capaci e moderne. Ad esempio: una pertica abbronzata e pettoruta, indice al labbro secondo l’atteggiamento romantico, mi recita il suo credo di territorialità e un estratto dalla scheda tecnica, guardando altrove e col trasporto di un numero verde chiamato nottetempo. Grande marchio, grande produzione, grande taglia. La Triade.
Led Zeppelin
Lo Zeppelin, o dirigibile, è una creazione affascinante: imponente per corpo e struttura, solenne nel movimento e tuttavia naturalmente aereo, leggero e aggraziato. Così l’ossatura del Pinot Nero 2006 di Fulvio Bressan è un costrutto da aeronave, fitto di travature e anelli, forti e resilienti nelle rispettive essenze minerali e fenoliche, ed essa fa da scheletro a un corpo poderoso. Pressione e calore, marasca e cassis, cera vergine e pepe nero, propoli e tabacco latakia. Un volume imponente, eppure si libra grazie alla freschezza diffusa e lieve, sottesa a una materia ampia. Dal dirigibile si differenzia per la velocità di crociera infinitamente maggiore: moto rapido e tempo serrato, evoluzioni da volo acrobatico e oscillazioni tanto ardite e imprevedibili quanto le variazioni in 5/4 di Black Dog. Infatti a un ascolto più attento questo vino è Led Zeppelin, più che un semplice e pur affascinante dirigibile.
L’Ubriaco in Primavera (Der Trunkene im Frühling)
Titolo appropriato per un resoconto sulle tre fiere venete. Sfortunatamente non è originale: lo hanno già usato un poeta cinese dell’VIII Sec. d.C. e poi Mahler, quando ai primi del Novecento lo mutuò per il quinto movimento del suo Canto della Terra. Il Lied di Mahler è costruzione formale raffinata e complessa; il vino, se è canto della terra anziché di un vocoder, può rendere i medesimi caratteri di finezza e complessità. Questo è il tweet di un incontro con Stefano Cinelli Colombini, auspice una regista di classe ed eccezione, durante il quale si è discusso di Consorzio, caste ilcinesi e autodeterminazione, vagheggiato un INAO italiano per recepire la certezza che, malauguratamente, a Montalcino sarebbe malaccetto, posto l’età degli impianti tra i fondamenti del carattere territoriale e dell’attitudine all’invecchiamento, disquisito del rapporto virtuoso tra acidità fissa, volatile e SO2. Tutto ciò, mentre passavano in rassegna sette vini: la Vigna del Fiore ’07 già degustata all’anteprima di febbraio e ovviamente riservata, tuttavia non inaccessibile nella ricognizione più che intuitiva di frutti rossi, giglio, pancetta, colla di riso, rosmarino e muschio; chiaramente più distesa nello sviluppo rispetto alla Riserva 2006, compressa e ritrosa, avviluppata a un fondo silvano, terroso e balsamico; in bocca un saggio d’impulsività. Quindi V.d.F. ’03, più accomodante, ampia e calda già al naso (ciliegia, cipresso, fieno caldo), complessa e suadente, lunga e non declive. La coeva Riserva è piena, muscolare, più scabra nella dote tannica – che negli altri è altrettanto robusta ma più infusa – ampia e articolata al naso (chinotto, sopra ogni cosa, poi confettura di ribes, ciliegia sotto spirito, fieno, genziana e cipresso), souple e lunga nello sviluppo. La V.d.F. Riserva ’93 mostra la sferza ma con garbo: raffinata nelle note terrose e di confetture, entra tesa e procede a ritmo grazie a un patrimonio di acidità succosa e battente, agrumata, e a tannini di contrappunto arrotati e non alleganti. La sosta nel calice la arricchisce di note d’erbe aromatiche e pepe rosa. All’ultimo passaggio, due ore dopo, si sono aggiunti ossidi di ferro, tabacco dolce e nappa. Più rarefatta la V.d.F. Riserva ‘83, che profuma di fiori macerati, liquore di lampone, mate, curcuma, aloe e carne secca, il tutto ben definito. La bocca è evoluta, dulcinea: l’asprezza residua della ciliegia matura, il tè (anche per dolcezza dei tannini svolti) e l’amarulenta fragranza della linfa rubata a D’Annunzio. Chiude il Brusco, prodotto nato nella sesta decade del secolo scorso, sangiovese in purezza rifermentato con governo e antesignano dei supertoscani. Le due bottiglie di ’83 testimoniano di un vissuto diverso: quella più integra è un compendio di terziarizzazione corretta, la seconda è risolta su note di decozione, richiami di fortificazione, trementina e tannini centrifughi.
D’Annunzio, redux
Altri piacevoli incontri nella zona dedicata a Montalcino. Poi gli occhi si posano su un nome ignorato a Benvenuto Brunello. Vado: uno, due, tre assaggi, ne fuoriesco rappreso e contrito. L’inquilino del Vittoriale, citando un altro suo componimento, li avrebbe descritti come i vini-belletta: «Or tutta la palude è come un fiore / lutulento che il sol d’agosto cuoce / con non so che dolcigna afa di morte». “Cosa ne pensa?”, mi chiede lei? Io ammutisco come la rana dei versi dannunziani, saluto e riparo al ViVit, dove mi aspetta il Paradiso di Manfredi, che è poema e, nomina sunt consequentia rerum, paradisiaco.
Vino e parafilìe
Va bene la visibilità. Tuttavia, ritto all’opra intento, guardi questo ritaglio appeso al tubo dello scarico e pensi: a ciascuno le sue piccole perversioni. Sono fatti privati. Se non di sabotaggio si è trattato, vorrei parlare all’ardimentoso consulente d’immagine, o responsabile per la comunicazione, che ha focalizzato il messaggio sulla nicchia di mercato degli urofili (o undinisti); vorrei chiedergli se anche le caratteristiche organolettiche del suo prodotto lo rendono particolarmente adatto ai suddetti appassionati.
Opinioni di un Clown
Dice Hans Schnier, l’io narrante del romanzo di Böll: «Io sono un clown, colleziono istanti». Oppure «sguardi», letteralmente “colpi d’occhio”, secondo il duplice senso della parola Augenblicke usata dall’autore. Il colpo d’occhio al banco di Cantina Giardino è proprio cosa da ammiratori o collezionisti: le etichette – istoriate, allegoriche e versicolori – riportano alla memoria il Carosello e altre buone anticaglie, le figurine Bon Marché, Liebig o Nestlé. Sono tra le poche di fantasia che io non trovi, applicate a un vino, bugiarde o pretenziose. Forse perché rappresentano con veridicità i vini di Antonio e Daniela Di Gruttola: otto in tutto al ViVit, iniziando dalla buvabilité rustica e sovranamente facile di Paski ’09 (coda di volpe), profumato di acqua di fiori, tarassaco e melone d’inverno, elevato da una particolare sensazione vaporosa, sulfurea; e arrivando attraverso un Greco, due Fiano e tre Aglianico al quarto, il vero collezionista di istanti. Clown Oenologue ’08 è un vino caleidoscopico, sfaccettato e complesso, formidabile per compressione aromatica, ampiezza e continuità nello sviluppo gustativo. Si colgono succo di ribes nero, aronia, radici, torba umida, rabarbaro, alghe ed erbe amare, finemente diffusi e fluenti, indici e inviti di una complessità alla quale concorrono senza esaurirla.
La cerimonia del tè
Proprio nell’ora di punta, una seconda regista di classe ed eccezione mi chiama al suo stand, fuori dal bailamme. Nonostante il numero di visitatori, presso il Consorzio Vintesa l’atmosfera è di surreale compostezza: nel tramestio del circondario sembra svolgersi una cerimonia del tè, sebbene io sia seduto al cospetto di un tagliere e di quattro bottiglie, non già di un maestro col suo armamentario. Tre dei vini sono di Fattoria Castellina, buono il Chianti Montalbano ’10, sangiovese in purezza dalla dinamica affascinante: passaggi ben modulati tra attacco fresco, secondo tempo caldo e morbido, ravvivato però da sapidità e tannini netti e duri, allungo arioso per sviluppo aromatico (frutto rosso, giglio, muschio e felce) e chiusura su frutto, creta e note boscose. L’IGT Terra e Cielo ’06 si presenta più raccolto, compreso di richiami umidi di terra e sottobosco, bacche rosse e malva, incastellati su un fondo denso di composte, sabbioso, serico nei tannini. La novità è Ipogeo ’09 da sangiovese con saldo di syrah e cabernet sauvignon: un piccolo esempio della differenza tra giusta pretesa e pretenziosità. Qui, a differenza di altri, la parte alloctona non edulcora il carattere del sangiovese e l’attacco è la migliore dimostrazione: una freschezza preliminare e vivace, vettore per l’espressione del frutto scuro, delle spezie e di tutte le voci forestiere che, fortunatamente, trascendono il consumato frasario varietale. Infine Il Barbaresco ’08 di Punset – mi dicono sia l’unica azienda biologica certificata della denominazione – è di orchestrazione più essenziale rispetto al cru Campo Quadro, bruckneriano, ma è classico ed elegante. Ha tutto quel che deve avere e molto di più: nerbo e tensione, una soave, paradigmatica apertura floreale, screziata di spezie, una dinamica che palesa il temperamento del vino senza le malizie di effetti speciali. C’è proprio tutto: velluto e zigrino, scorzone e macis, rosa tea, un tocco di viola, uno di cacao.
[Immagini: Vinitaly.com]
20 Commenti
Daniele
circa 12 anni fa - LinkLed Zeppelin e Pinot Nero...praticamente il paradiso
RispondiNelle Nuvole
circa 12 anni fa - LinkEmanuele Giannone, mi chiedo dove saresti se non vivessi in un paese popolato da gente distratta e superficiale. Un altro paese in grado di apprezzare la ricchezza e complessità della tua prosa. Ma forse stai bene dove stai, pure su Intravino. Sei un autore da meditazione, da lento assaporare, anche se la spina acida e sferzante delle tue parole è quella che sostiene tutta la struttura dei tuoi paragrafi tridimensionali. Donando così leggerezza ed allegria ad un testo altrimenti troppo impegnativo. Veramente molto bello.
RispondiEleutherius Grootjans
circa 12 anni fa - LinkLa sorpresa per l'uovo di pasqua
RispondiEleutherius Grootjans
circa 12 anni fa - Linkovvero: mercì.
RispondiAlberto G.
circa 12 anni fa - LinkBella prosa "ricca e complessa"come affermato da NN,molta competenza, e' quasi uno scritto d'antan.Complimenti ma. Ma per amanti del genere,per altri e' un articolo pesantuccio. Per me,dipende anche dallo stato d'animo in cui mi trovo prima di una tale lettura.
RispondiEleutherius Grootjans
circa 12 anni fa - LinkGrazie. Capisco perfettamente. E dire che avrei in casa una editor professionista, popolare e generalista per esigenze di testata...
RispondiArmando Castagno
circa 12 anni fa - LinkGroot Jans = Giannone. E EG iniziali. Come non averci pensato prima?
RispondiEleutherius Grootjans
circa 12 anni fa - Linksmascherato.
RispondiMichele
circa 12 anni fa - LinkPesantuccio?!!Ehm...si, confermo! Ma comprendere l'arte non è da tutti!!!
RispondiNic Marsél
circa 12 anni fa - LinkDi Bressan io non mi fido : primo perchè mi fa paura, e secondo perchè ha i denti troppo bianchi. Il suo Pinot Nero l'ho trovato strano, molto balsamico, propoli ma anche liquirizia se non addirittura erbe officinali. Mi ha detto che "se lo trovi strano, allora chissà che cosa ti han dato fino adesso per Pinot Nero"
RispondiEleutherius Grootjans
circa 12 anni fa - LinkProvato anche il Verduzzo?
RispondiNic Marsél
circa 12 anni fa - LinkProvato e piaciuto, ma lascio a te volentieri la descrizione sensoriale della degustazione ;-) Invece non mi piacciono nè i dirigibili nè i Led Zeppelin. Infine peccato che alla fiera o mercato non si possano fare acquisti.
RispondiAlberto G.
circa 12 anni fa - LinkHai ragione Michele,faccio un po la figura... Sapevo di espormi a commenti del tipo,educato in verita'. Davvero e' scritto molto bene,traspare grande cultura e non solo coompetenza tecnica,io non ne sarai stato capace. E che oggi, magari preferivo leggere qualcosa in piu' ad es.anche sul fiano o sugli altri tre aglianico degustati da Cant.Giardino. Non volevo offendere l'autore,anzi. Buona Pasqua a tutti.
RispondiEleutherius Grootjans
circa 12 anni fa - LinkOffesa? E perché mai? Di Cantina Giardino mi piacerebbe parlare più diffusamente in un articolo a parte. Quindi, più che di offesa, si tratta di un invito che colgo volentieri. In questa sede ho preferito limitarmi a poche note, anche in vista di una seconda razione di pillole.
RispondiAlberto G.
circa 12 anni fa - LinkGrazie e auguri di nuovo.
RispondiLuca Cravanzola
circa 12 anni fa - LinkBel pezzo da rileggere più volte. Bravo! Posso solo chiederti cosa sono i tannini centrifughi? Ancora complimenti! Per la prosa e per come hai voluto raccontarci questi vini.
RispondiEleutherius Grootjans
circa 12 anni fa - LinkSono un'iperbole paroliberista: diciamo scorporati, avulsi, "staccati dal resto", dei fenoli invitati sperando che restino composti, ma che avevano finito pe' fa'n po' come je pareva. Nella bottiglia in questione era soprattutto la mancanza di unità espressiva a tradire il peso degli anni e/o una conservazione meno felice rispetto all'altra. Come se il tannino ancora grosso avesse preso le distanze da un quadro organolettico esile e fievole, segnato dalla maturità.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 12 anni fa - LinkQuando ero bambino bazzicavano in casa Brera, Soldati e Veronelli, e avevo fatto il gusto a come le buone penne gratificano i grandi vini. Poi mi sono beccato decenni di gente che misurava sé stessa e gli altri in migliaia di vini bevuti, e avevo dimenticato. Grazie per avermi ridato un gusto perduto.
RispondiEleutherius Grootjans
circa 12 anni fa - LinkGrazie a Lei. E' un giudizio che mi onora.
RispondiArmando Castagno
circa 12 anni fa - LinkGrande pezzo; lascia ferma al 100% la percentuale di veri grandi pezzi scritti da vere grandi persone.
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