Nell’intervento di Umberto Trombelli ce n’è per tutti: “L’ignoranza fa più danni dei lieviti e dei solfiti”
di Alessandro MorichettiPubblicato un paio di ore fa su Facebook, è uno dei rari casi in cui un tecnico di settore – in questo caso un enologo dal curriculum importante, allievo di Giacomo Tachis – interviene nell’agone col suo punto di vista, fermo ma esposto alle osservazioni da destra e sinistra, dalla curva sud alla tribuna VIP nessuno escluso.
Tantissimi gli spunti di riflessione, così tanti che non saprei da dove cominciare quindi chi ha tempo si metta seduto, legga e cominci pure lui :-).
Grazie.
L’ignoranza fa più danni dei lieviti e dei solfiti, di Umberto Trombelli
Prendo spunto da alcune riflessioni e commenti postati negli ultimi giorni sui Social per approfondire alcune tematiche a cui tengo particolarmente e a cui non posso più voltare le spalle. Nei giorni scorsi stata pubblicata un’intervista ad un produttore vitivinicolo fautore dei vini naturali. In essa l’intervistato esprimeva dissenso su quei produttori di vini naturali che vedono nei difetti organolettici un simbolo distintivo della loro naturalità e della territorialità. Nello stesso tempo, difendendo la buona gestione della cantina, esprimeva il suo disappunto su chi utilizza lieviti selezionati e /o coadiuvanti vari in vinificazione.
Il succo dell’articolo pubblicato voleva, in qualche modo, sostenere che il difetto, così come l’uso di coadiuvanti e additivi, altera l’originalità di un vino e il suo legame con il territorio. Questo punto di vista, tra i meno estremi in circolazione, sta diventando il tema dominante tra molti enoappassionati a cui si aggiungono fantomatici esperti che alimentano il dissenso mettendo alla gogna imprenditori vinicoli ed enologi.
Vediamo di fare un po’ di chiarezza.
Nei miei 30 anni di attività di enologo ho avuto modo di approfondire le tecniche di produzione per vini prodotti da uve coltivate in bio, in biodinamica o in agricoltura convenzionale; su vini senza solfiti aggiunti, senza l’uso dei lieviti selezionati, su vini cosiddetti “industriali” e vini commercializzati con sedimento in bottiglia. Ritengo di aver fatto una discreta esperienza ma non mi sento né appagato né arrivato, anzi, sono talmente appassionato a questo lavoro che continuo a leggere e a studiare perché troppe sono le lacune che la scienza ancora non riesce a spiegare, nell’approfondimento dei chimismi fermentativi e conservativi dei vini.
Mi fa male vedere criminalizzare l’enologia in generale da chi di enologia non sa un fico secco. Come enologo sono felice di sentire finalmente che tra i produttori di vini naturali si riconoscano i difetti per quello che sono: non esprimono un territorio ma bensì lo sviliscono. Molti, però, tra cui alcuni opinionisti, anche di grido, li esaltano e ne fanno un punto di forza per scoprire nuovi astri nascenti. Il difetto, come dice un famoso collega, è identificabile in ogni luogo e in ogni dove; quindi, oltre ad essere svilente è anche un carattere omologante. Non sono nuovi questi temi: negli anni sono stati “divinizzati” vini che un produttore metteva in bottiglia senza nessun controllo, così che ti capitava di comprare o ordinare una bottiglia che aveva fatto una malolattica in bottiglia o era rifermentata per qualche residuo zuccherino mal considerato: guai ad avanzare qualche critica perché eri segnato come barbaro e ignorante; paradosso dei paradossi.
Mentre sono d’accordo sul riconoscere che i difetti sono difetti, non posso condividere invece il concetto che un vino, per essere originale e riconoscersi in un territorio deve essere prodotto senza l’uso di coadiuvanti e/o additivi. Riconosco che nei vini di massa se ne fa uso e, in certi casi, dai quali prendo le distanze, un uso esagerato. Se, però qualcuno cercasse di approfondire i temi, l’ABC della biologia, della chimica e di tutti i fenomeni che stanno alla base delle trasformazioni che ci portano ad ottenere un vino, forse sarebbe più disposto a riconoscere che il motore biologico che ci permette di vinificare va guidato dall’uomo. L’evoluzione naturale dell’uva infatti quella di riprodurre da un seme un’altra vite: il vino un prodotto regolato, voluto e condotto dall’uomo. In Natura non esiste se non per un breve intermezzo nell’arco del processo di deperimento biologico dell’acino d’uva.
L’uva prodotta in un vigneto posto in un territorio vocato fa l’unica differenza. Il vitigno autoctono è un elemento in più ma solo se ben selezionato.
L’uso di lieviti selezionati, quelli identificati come veloci e sicuri attivatori della fermentazione, l’uso di batteri malolattici, magari ottenuti dalla conservazione in cantina nell’anno precedente, l’uso dei solfiti in modo corretto e non invasivo, non è il male. La barrique e il contenitore in legno in genere sono nati per uno scopo: affinare, illimpidire e stabilizzare naturalmente il vino; non conciarlo su un gusto di legno!
Tutte queste sono tecniche e strumenti che l’uomo ha escogitato nei secoli per migliorare e rendere fruibile nel tempo il vino. Non ci vedo niente di male in questo, anzi, lo ritengo il modo ideale per valorizzare un vino in un territorio purché si usino con il contributo di una viticoltura attenta e mirata, in un legame indissolubile.
Questa sarà la sfida del futuro per l’Italia: emergere su un mercato globale legando i nostri vini ai propri territori di produzione e con essi unirci la nostra storia, il nostro patrimonio gastronomico e culturale. Oggi più che mai, è importante avere una coscienza comune per imporci su un mercato sempre più difficile e complesso. Ridurre il problema pensando che i lieviti selezionati siano un fatto negativo è fuori tema e controproducente. Se è vero che sono stati selezionati ceppi di lieviti che caratterizzano e generalizzano il bouquet di un vino è anche vero che ne esistono tantissimi che sono solo buoni fermentatori che non intaccano le peculiarità originali delle uve. La scelta è ampia. Pensiamo solo per un attimo a che cosa sarebbe oggi la produzione di Champagne o di spumanti, di qualsiasi zona del mondo, se non ci fossero i lieviti selezionati: sono stati selezionati appositamente per raggiungere quel risultato enoico e senza snaturare, anzi, per valorizzare gli stessi.
Che dire poi di come si selezionino nell’ambiente “cantina” i lieviti cosiddetti “spontanei” che fermentano i mosti di quei produttori “naturali”: essi sono microorganismi che vivono in quiescenza nelle loro cantine (non nei loro vigneti!), si risvegliano a contatto dei mosti e si propagano durante tutto l’arco della vendemmia per poi ritornare, alcuni, di nuovo dormienti. In una cantina non esiste un lievito unico che inizia e porta a termine un processo fermentativo, nemmeno quelli selezionati possono fare ciò.
Per caso, chi sostiene il contrario ha mai fatto fare delle ricerche microbiologiche per capire chi sono e che origine hanno i loro agenti lievitanti? A loro posso dire che se facessero delle indagini, delle mappe genetiche di quei ceppi “indigeni”, scoprirebbero che quei lieviti si trovano anche commercializzati e venduti come buoni vinificatori; troverebbero dei comuni Saccharomyces Cerevisiae, il microorganismo appartenente al mondo vegetale, un fungo, l’agente della fermentazione. Troverebbero anche colture di lieviti apiculati, lieviti “non buoni”, “pericolosi”, non perché mostri ma perché in determinate condizioni ambientali preferiscono mangiare altro oltre agli zuccheri, e questo “altro” è un problema, un difetto 9 volte su 10. Scoprirebbero semplicemente che ciò che dicono è senza fondamento.
Come dicevo, ho provato a vinificare uve e ad affinare vini senza l’uso dei solfiti per più vendemmie. Il risultato che ne ho tratto che si possono produrre ma con un risultato qualitativo privo di personalità. Per un effetto ossidativo i profumi si perdono rendendo i vini insignificanti rispetto ai tradizionali. A oggi non esiste una tecnica che permetta di produrre vini di pregio, soprattutto a lungo invecchiamento, senza l’uso di questo complesso additivo che funge da antisettico, da conservante e da stabilizzante. A che prezzo poi? Perché se proprio si volesse evitarne l’uso bisognerebbe usare altri additivi quali tannini, tannini e ancora tannini. Che dire poi dei vini bianchi senza l’uso dei solfiti: aiuto!
È vero: i solfiti aggiunti sono fastidiosi, tossici. Se usati in modo accorto, però, non arrecano tutto il fastidio di cui si sente vociferare. I limiti legali di essi sono stati abbassati nei vini negli ultimi tempi e subiscono continui ritocchi al ribasso mano a mano che cresce l’esperienza degli operatori ma non è, al momento, possibile farne a meno. A chi ne contesta l’uso vorrei chiedere se compra e consuma crostacei freschi, senape, sottoli, sottaceti, salse in genere ecc. Ci si chiede mai quanti solfiti aggiunti ci sono in gran parte dei cibi conservati? E quando si fa un conto della dose massima ingeribile per chilo corporeo di solfiti si considerano mai quelli ingeriti attraverso i cibi tutti? Troppo facile parlare senza sapere!
Perché si deve sempre pensare che la ricerca, lo studio e chi cerca di applicare il frutto di tale lavoro siano dei pericoli, dei terroristi speculatori che vogliono avvelenare il prossimo?
Sono un Enologo e cerco di valorizzare al meglio i vini dei miei clienti lavorando sulle peculiarità delle uve che producono in uno specifico territorio. Uso pochi coadiuvanti e solo quando sono necessari. Nonostante questo non si può trovare una identità comune tra tutti i vini a cui lavoro, passando dal Nord al Sud dello Stivale e non per questo credo di essere un “Alchimista”: credo di essere solo un buon “Pilota” che usa le tecniche che la Scienza mi dà per svolgere bene il mio lavoro.
Non solo, mi ritengo fortunato.
Tanti miei colleghi non possono dire lo stesso perché sul mercato del vino non ci sono solo i vini famosi, ci sono anche i vini normali, quelli che si bevono tutti i giorni, come si beve una semplice birra; perché c’è anche un consumatore che qualche volta vuole bere soltanto un buon vino senza fare elucubrazioni se sta bevendo un Cabernet o un Sangiovese. Ci sono dei consumatori novizi che per arrivare ad un vino importante devono educare il proprio palato iniziando a bere vini semplici. I vini semplici non sono dei veleni! Sono dei vini ottenuti da uva! I loro mosti sono vinificati con tecniche moderne e affidabili usando anche coadiuvanti e additivi alimentari autorizzati per ottenere anche vini “perfetti” e “piacioni”. E allora? Dovremmo lasciare questo mercato? Dovremmo dire a migliaia di operatori di cambiare mestiere perché qualcuno che non conosce e non si informa pensa che stiano facendo qualcosa di inaccettabile? Che stanno perseguendo un business contro natura?
Assurdo! Il vino deve essere considerato in tutte le sue varianti qualitative e commerciali da un paese che è il primo produttore mondiale. Se la tecnologia ci permette di contenere i costi ed essere competitivi anche sulle fasce di prezzo più convenienti non c’è niente di male. Nel mercato c’è posto per tutti e il nostro intento deve essere quello di migliorare sempre. Farsi la guerra per un pugno di lieviti mi sembra un modo per voler cercare un capro espiatorio che non risponde alle domande importanti.
Concludo facendo presente che le mie riflessioni da professionista sono principalmente una mano tesa a chi si rivolge al mondo del vino con passione e competenza con il quale non vedo l’ora di confrontarmi in modo costruttivo.
48 Commenti
daniele cernilli
circa 6 anni fa - LinkPer quel che vale condivido anche le virgole.
RispondiEttore del Lupo
circa 6 anni fa - LinkCarissimo Daniele Cernilli..io condivido di più!! Anche gli spazi!!
RispondiClaudio M
circa 6 anni fa - LinkAlla fine sembra sempre la solita diatriba tra convenzionale contro "naturale", dal mio punto di vista il problema non sono i lieviti indigeni o la solforosa ma l'incapacità di diversi produttori (sia convenzionali che naturali) di fare dei buoni vini. Gravner o Valentini usano lieviti indigeni, ma i lori vini sono riconosciti da molti come grandi, la cosa fondamentale per fase un grande vino è l'esperienza, che comprende tecnica di vinificazione, conoscenza del territorio e dei vitigni. Chi ha "esperienza" riesce a fare un grande vino in qualsiasi modo, gli altri sanno sono discutere tra di loro.
Rispondidavid
circa 6 anni fa - LinkQuoto tutto.
RispondiFederico
circa 6 anni fa - LinkIntervento niente male, in buona parte anche condivisibile per me. Mi rimane solo un dubbio, quando dice: "...negli anni sono stati “divinizzati” vini che un produttore metteva in bottiglia senza nessun controllo, così che ti capitava di comprare o ordinare una bottiglia che aveva fatto una malolattica in bottiglia o era rifermentata per qualche residuo zuccherino mal considerato: guai ad avanzare qualche critica perché eri segnato come barbaro e ignorante; paradosso dei paradossi." parla di Maga e il suo Barbacarlo?
Rispondizzz
circa 6 anni fa - LinkNe dubito altamente.
RispondiAlvaro pavan
circa 6 anni fa - LinkAnche Quintarelli in fatto di rifermentazioni... in ogni caso non capisco dove sta il problema. A questo mondo vi è posto per tutti. Torno a ricordare che bisogna conoscere bene l'enologia per farne a meno. Dire che si fanno vini banali senza i suoi strumenti significa non conoscerla bene. Ma io non sono enologo, potrei quindi sbagliarmi... oltrettutto sono dell'idea che il vino lo si pensa e non lo si fa. Mi piace pensare che il grande vino sia uno stato della mente...
RispondiNic Marsél
circa 6 anni fa - LinkTrent'anni per scoprire l'acqua calda.
RispondiCarlo Martelli
circa 6 anni fa - LinkSecondo me quando Trombelli dice che l’ignoranza fa più male dei lieviti e dei solfiti, si riferisce a Intravino
RispondiFiorenzo Sartore
circa 6 anni fa - LinkQuindi il fatto che sia pubblicato su Intravino significa cosa, che ci siamo sbagliati?
RispondiCarlo Martelli
circa 6 anni fa - Linkdirei che vi siete sbagliati a parlare di un tema senza avere le competenze, mi sembra che nello staff di intravino non ci sia nessun enologo .Meglio se parlate di vino con approcci da enotacari/appassionati quali siete . (tecnico con oltre 20 anni d'esperienza)
RispondiAlessandro Morichetti
circa 6 anni fa - LinkMartelli vai meglio come tecnico che come analista dei contenuti a occhio.
RispondiA meno che non sei laureato in comunicazione, ma non mi pare.
Meglio se parli di vino da tecnico quale sei, lascia agli altri le interpretazioni ;-)
Gigi
circa 6 anni fa - LinkIl vino e' materia affascinante e chi legge questo blog sicuramente ama conoscere come un vino e' stato ottenuto, dove, quando, con quale idea e progetto. Le idee pero' non devono diventare ideologie ne' il fascino fascinazione ipnotica. Va valutato il prodotto in quanto tale, senza il pregiudizio che botte grande, pas dose, metodo classico, anfore, lieviti indigeni, piccoli vigneron siano meglio dei loro contrari. Sul biologico in senso lato varrebbe semmai la pena di discutere sulle maggiori garanzie che puo' fornire sulla salubrita' del prodotto.
Rispondinico
circa 6 anni fa - LinkDopo la delusione di vedere censurata la discussione su "vini naturali " (FB) dell'articolo di Trombelli, spero di trovare interventi costruttivi ma vedo che i seguaci di intravino sono più trasversali del più fondamentalista democristiano...VI siete omologati, grande dispiacere...
RispondiAlessandro Morichetti
circa 6 anni fa - LinkA occhio mi sembri un seguace di Intravino, lettore e commentatore. Però senza palle e rosicone piuttosto che democristiano. Vedi tu, in amicizia chiaro ;-)
Rispondinico
circa 6 anni fa - Linkcome produttore ti confermo tutto, aggiungendo una certa frustrazione nel non comprendere lo scenario...La soluzione nella DE-APPARTENENZA. A presto. n.
RispondiPietro
circa 6 anni fa - LinkIntorno al cosiddetto vino naturale c'è solo storytelling. Sarebbe necessario anche un discorso scientifico o quantomeno empirico coadiuvato dalle Università o istituti di ricerca privati.
RispondiFRANCESCO ROMANAZZI
circa 6 anni fa - LinkSenza entrare nel merito del noiosissimo dibattito naturale/innaturale, personalmente trovo assurdo scivolare con tanta disinvoltura da un registro divulgativo-scientifico ad uno da chiacchiera da bar. Trovo assurdo saltare da giudizi analitici a giudizi di valore in uno scritto che si propone come riflessione di un uomo di scienza. L'unica mano tesa che vedo è rivolta a coloro che scelgono "la tecnologia (che) ci permette di contenere i costi ed essere competitivi anche sulle fasce di prezzo più convenienti". Nel mercato c’è posto per tutti? Sì, ma non per questo tutti hanno pari meriti e dignità. Purtroppo sarò cieco io, ma se quello che emerge da questo intervento è il pensiero di Trombelli, davvero non riesco a scorgervi nulla di appassionato. Ringrazio comunque Alessandro e Intravino per averlo pubblicato.
Rispondiamadio ruggeri
circa 6 anni fa - LinkPer quel che vale condivido anche le virgole. Con ciò che scrive Francesco Romanazzi, naturalmente.
RispondiGiovanni Segni
circa 6 anni fa - LinkRomanazzi for president. L'intervento di Trombelli denota un astio e una spocchia verso una minoranza di mercato di non più del 5-6% che è difficile, o molto facile, spiegare
RispondiAlessandro Fusari
circa 6 anni fa - LinkNell'intervento di Trombelli non ci vedo astio e tantomeno spocchia. Sono parole di un tecnico con i piedi per terra che è stufo di sentir demonizzare i materiali e i metodi con cui viene prodotta la maggior parte dei vini in circolazione. Inoltre trovo sacrosanto segnalare questi sedicenti guru che vorrebbero gabellare degli evidenti difetti per doti di eccellenti qualità. Per carità i gusti non si discutono, ma un difetto è un difetto (esistono sistemi per toglierli o mitigarli) e l'uso sapiente di alcuni coadiuvanti enologici può servire proprio a prevenire i difetti ottenendo vini quanto meno corretti e puliti, talvolta eccellenti.
RispondiCapex
circa 6 anni fa - LinkD'accordo con Romanazzi su tutta la linea.
RispondiAlessandro Valenti
circa 6 anni fa - LinkLa passione non sempre è percepibile dal tono o scelta delle parole. La passione è a volte anche svolgere per 30 anni il proprio lavoro con costante competenza. Passione è anche dire " ne so ma continuo a mettermi in discussione e a leggere" credo. Le opinioni sono importanti e moralmente giuste, basta non scivolare nelle Shangri-La del vino e rendere un difetto un pregio no? Questo lo possiamo asserire con Trombelli?
RispondiEnrico esu
circa 6 anni fa - LinkBella riflessione, ma concentrata solamente su lieviti e vinificazione. La parte più importante di tutto alla fine è l uva. Si parte da questa, e se è già bella infarcita di tante sostanze tipo insetticidi, concimi fogliari e fungicida sistemici, te li porti dentro nel vino e a questo punto che senso ha disquisire solo di vinificazione naturale o convenzionale.....
Rispondivinogodi
circa 6 anni fa - Link...la mia attenzione personale è spostata decisamente verso la fase primaria, quella agricola, dove la battaglia sulla sostenibilità deve prendere piede e dove è necessaria, coi limiti imposti dalla salvaguardia del bene agricolo che diventa bene fondamentale anche dal punto di vista imprenditoriale ... ma non solo . E' il mondo che lasceremo ai nostri figli . La tecnica in cantina è imprescindibile per un risultato ottimale sul prodotto, quindi condivido quanto scritto dal bravo Trombelli, , tra l'altro con tono assolutamente condivisibile e civile , dove , anche in questo caso, la forma aiuta nella comprensione della sostanza.
Rispondidaniele cernilli
circa 6 anni fa - Linkcome sempre sono d'accordo con te
Rispondiamadio ruggeri
circa 6 anni fa - LinkAccidenti, che arguta riflessione. Manca solo "di questo passo dove andremo a finire" e la schiera delle illuminazioni è completa.
Rispondidaniele cernilli
circa 6 anni fa - LinkNon è un intervento arguto, è un intervento serio di una persona competente.
Rispondiamadio ruggeri
circa 6 anni fa - LinkChe guarda caso collabora al suo webmagazine e alla sua guida, Cernilli. Fa quasi tenerezza vedervi lì con l'archibugio in mano a difendere il vostro piccolo orticello, che con terrore vedete restringersi sempre di più. Ma basta con questo genere di commenti livorosi e totalmente OT. Cartellino giallo. [a.m.]
Rispondidaniele cernilli
circa 6 anni fa - LinkCon un 450% in più di lettori rispetto allo scorso anno (dati Seo Zoom) è un restringimento che vorrei continuasse a lungo.
Rispondidaniele cernilli
circa 6 anni fa - LinkE, ovviamente, mi auguro sinceramente che la cosa capiti anche a Intravino che ci ospita e alla cui redazione voglio augurare qui uno splendido 2018, visto che non l'ho fatto prima.
RispondiAlessandro Morichetti
circa 6 anni fa - LinkNoi siamo costanti da anni, anzi se c'è qualche trucco da sapere ci mettiamo in fila. Buon anno anche a voi di DW!
Rispondiamadio ruggeri
circa 6 anni fa - LinkAccetto il cartellino giallo, e se ho esagerato chiedo scusa, ma non c'è assolutamente nessun livore, per quale motivo poi? E credo che Cernilli, che è persona intelligente, lo abbia capito.
RispondiCapex
circa 6 anni fa - LinkSpostare "decisamente" l'attenzione in vigna ma, sia mai, il prodotto ottimale va comunque perseguito mi pare proprio dare un colpo al cerchio ed uno alla botte. Bio in vigna perché politicamente corretto, ma in cantina anche no altrimenti come si fa ad essere d'accordo col signor Trombelli. Mah!
Rispondidaniele cernilli
circa 6 anni fa - LinkMorichetti, giuro che non volevo fare a chi è più bravo. Voi siete partiti prima e meglio di noi. Se cresciamo non significa che togliamo spazio ad altri, e peraltro io auguro tutto il bene possibile per Intravino che è bene che ci sia e ottenga ottimi risultati per il bene della conoscenza vinicola fra gli appassionati. Rispondendo poi al signor Ruggeri che con me ha sempre un tono polemico, vorrei dire che non mi pare ci sia nulla di segreto sul fatto che Vinogodi, alias Marco Manzoli, collabori con me da anni. E se lo fa è perché oltre che un amico è anche una persona competente e seria, e non fa commenti arguti. Non vedo quale sia il problema e dove sia l'inganno, visto che la cosa è palese da almeno sette anni.
RispondiAlessandro Morichetti
circa 6 anni fa - LinkCernilli ma si figuri, avevo ben capito. Lo sa che non sono mai tenero con le sparate e anzi ho apprezzato moltissimo gli auguri. Più siamo meglio stiamo. Ruggeri lo mettiamo in panchina a sto giro! Buon week-end
RispondiSisto
circa 6 anni fa - LinkOttimo e condivisibile articolo. Leggermente fuori tema: dando atto sia a Intravino che a Cernilli di non far parte di questa sciagurata fazione, mi si lasci stigmatizzare anche quegli "esperti" che quotidianamente condannano il popolo bue perché osa bere 500 milioni /anno di Prosecco (orrore!), ignorando invece i vini (sempre quelli) da loro decantato ma bevuti da 4 gatti, con prezzi da 150 € in su. A me sembra pazzesco, non conoscendo il prodotto (quasi mai questi assaggiano Prosecco con metodo e studio), che invece di essere contenti che un vino italiano riscuota molto successo internazionale, con ottimo livello qualità/prezzo, lo distruggano solo per snobismo.
Rispondivinogodi
circa 6 anni fa - Link...ci sono vini straordinari anche fra quelli quotidiani , quali Lambrusco e Prosecco , ad esempio . Il quarto di nobilta , in termini di prezzo, che il mercato riconosce al berealto e altissimo ,di censo economico riconosciuto,non vuol dire che il resto sia merce per enodepressi. Basta scegliere bene , con un certo investimento di tempo ...
Rispondidavid
circa 6 anni fa - Link....e di soldi. Certi vini io so già che non li berrò mai; per 2 motivi: uno economico, ed uno più (direi) sociale, non avendo famosi critici o enologi nella mia rubrica telefonica.
RispondiAndrea
circa 6 anni fa - LinkIo se Trombelli avesse la palla tra i piedi gli farei un'entrata dura ma pulita, così lui esce ed io non mi becco l'ammonizione. Suvvia.
RispondiAndrea Vellone
circa 6 anni fa - LinkCarino il fatto di litigare anche su un intervento, quello di Trombelli dico, che, al di là del contenuto che condivido, ha uno stile, una educazione e una precisione che sarebbe da portare ad esempio anche in contesti molto più seri ed importanti per il genere umano di quello del vino.
RispondiCapex
circa 6 anni fa - LinkCarino anche il fatto che si continui a sottolineare lo stile e l'educazione dell'esprimersi come se questo mettesse in scacco chiunque la pensi diversamente. A parer mio nonostante l'educazione, che sia chiaro ritengo imprescindibile, Trombelli c'è andato giù parecchio duro ma considerato il background era scontato. Continuo a non condividere il suo pensiero.
Rispondigae saccoccio
circa 6 anni fa - LinkNella prefazione a un suo libretto aureo ormai datato 1982 intitolato: Pocket Guide to Winetasting. How to Approach and Appreciate Wine, il grande degustatore inglese Michael Broadbent, riportava un’epigrafe illuminante di Thomas George Shaw risalente a un suo testo del 1863: “I was convinced forty years ago - and the convinction remains this day - that in wine tasting and wine-talk there is an enormous amount of humbug.” che tradurrei: <>
Rispondigae saccoccio
circa 6 anni fa - Link<> ps. non capisco affatto il senso della *moderazione* nei commenti sulla parola caxxate che traduce humbug, quando in un post di Morichetti 😬ci sono almeno una ventina di caxxi e altre parole immoderate.
Rispondie' un mondo iniquo, si'. ora aggiungo humbug ai filtri. [f.]
gae saccoccio
circa 6 anni fa - Linke sarebbe cosa più che opportuna, visto che #humbug si traduce anche con “impostura”, “impostore” [g]
Rispondimarco m.
circa 6 anni fa - LinkSì, la traduzione esatta di "humbug" è frode, impostura, inganno. Ma anche sciocchezze o scemenze. E quante se ne leggono e se ne sentono a proposito di vino... Ne sono un esempio il tentativo non infrequente di contrabbandare un difetto organolettico per un pregio dovuto alla "naturalità" di un certo vino, come racconta anche il prof. Moio nel suo libro "Il profumo del vino". Per quanto modestamente mi riguarda, io -che non sono né un enologo, né un sommelier, ma soltanto un consumatore educato da lunga esperienza- mi regolo così: ascolto, mi informo (nei limiti...), scruto, annuso, assaggio e poi esprimo il mio personale giudizio (mi piace, o non mi piace), per me inappellabile.
RispondiMAURIZIO GILY
circa 6 anni fa - LinkPiù che per tutti, ce ne è per alcuni :)
RispondiMAURIZIO GILY
circa 6 anni fa - LinkUna cosa che non condivido del tutto nel post di Trombelli è che si faccia ampio e a volte esagerato uso di coadiuvanti e prodotti vari, della chimica in altre parole, per vini "di massa". Può capitare quando servono correzioni spinte, ma non è la regola, se non altro perché i prodotti enologici costano cari e incidono sul prezzo finale. In verità i vini più pasticciati in assoluto sono quelli "da concorso", solitamente prodotti in piccole partite, e non solo da grandi cantine.
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