Intervista in enoteca: Valentina Bruno e quel sogno diventato realtà

Intervista in enoteca: Valentina Bruno e quel sogno diventato realtà

di Tommaso Ciuffoletti

“Io da piccola volevo fare la sommelier”.

Lasciamo pure perdere i cliché dei bambini che vogliono fare tutti gli astronauti o le bambine che vogliono fare tutte le infermiere, ma una frase  del genere non è esattamente la cosa più comune che senti dire da una ragazza di 33 anni. Riascolto la registrazione dell’intervista e mi sento mentre le rispondo: “Dai non ci credo”. E confesso che lì per lì non le ho creduto, ma ora che ho finito di sbobinare le sue parole sono pronto a ricredermi. Perché Valentina Bruno, classe 1985, ha una dote su tutte: la grazia. Una certa misura nei modi e nelle parole, figlia sia dell’educazione che di una istintiva timidezza, ma che pure non riesce contenere la sua debordante passione per il vino, la ristorazione, il lavoro di sommelier. Ché quando ne racconta, gli occhi le brillano come solo ai bambini.

“Mettiamola così, mi è sempre piaciuta la ristorazione. Sai, io sono di Artimino, immaginati: 120 abitanti di una rocca immersa tra le vigne di Carmignano, una villa medicea, residenza di caccia dei Medici, un paese dentro le mura e vari casolari intorno. Ecco io sono cresciuta lì come Mowgli! E lì c’era un’istituzione: Da Delfina”. Da Delfina è un pezzo importante di storia della ristorazione toscana e italiana. Inizia agli albori del secolo scorso, con la vicenda di una ragazza che impara a cucinare andando a servizio in casa di nobili veneziani di stanza in Toscana e che poi, fattasi donna, decide di aprire un ristorante che negli anni a venire conquisterà, grazie in particolare al lavoro del figlio Carlo, anche la stella Michelin. “Carlo (Cioni ndr) è stato uno dei primi che aveva una cantina con vini fuori dall’Italia, ha avuto la stella Michelin in virtù anche di quella cantina e io lavorando lì ho imparato … a stare al mondo”. Quando ne parla lo fa con un affetto sincero.

Valentina oggi è anima e sorriso dell’Enoteca Vigna Nuova di Firenze, in via dei Federighi, pieno centro di Firenze. Ma è soprattutto una di quelle rare persone che quando assaggia un vino ne parla con precisione, senza usare paroloni. E tutto cominciò avvinando. “Quando lavoravo in sala si faceva il servizio avvinando i bicchieri. Io aspettavo che il sommelier finisse di avvinare e subito portavo via il bicchiere col vino rimasto, per poterlo poi annusare e se andava bene anche assaggiare”. Era l’inizio degli anni 2000.

“Ricordo alcuni clienti che mi hanno terrorizzato”. Terrorizzato? “Sì, nel senso che per me era come vedere dei divi!”. Ride. “Uno fu Gianfranco Soldera, mi tremavano le mani al suo cospetto. Quando venne Angelo Gaja non volevo andare a servirlo … davvero per me era come se fosse venuto a cena Brad Pitt! Ma ricordo anche quando venivano i ricchi pratesi di un tempo a sfidarsi a suon di bottiglie. O quei cinesi che arrivarono con 6 bottiglie di Lafite e prima di iniziare la cena vennero da me e mi chiesero se avevo un vino più leggero da abbinarci. Io pensai che volessero qualcosa per iniziare. “No, no – mi dissero – ci serve per dopo”. Sì perché loro volevano bere subito tutto il Lafite e dopo, quando ormai sarebbero stati sbronzi, bere vinello fino a cantare”.

“Nel 2006 Carlo mi affidò la cantina, ma per arrivarci ho sgomitato. L’ho fatto perché mi piaceva, mi piaceva proprio”. Ma cosa? Cosa ti piaceva di preciso? “A me piaceva e piace, che quando tu sommelier parli di vino al cliente, questo, che sia la persona più ignorante o la più consapevole, ti ascolta. Sta lì ad ascoltarti.

Ed io credo che sia perché il vino affascina”.

E allora qual è vino che ti ha fatto dire: voglio fare questo lavoro? Risponde senza indugi “Pergole Torte. Ho un ricordo di questo vino, che veniva aperto quasi fosse un tesoro perduto, tutti lì intorno. Era un 1997, annata strepitosa”. Alza il bicchiere, stiamo bevendo un Capichera che mi fa pensare a Edvige Fenech, e sorride. “Poi ho passato la fase degli -ello. Cepparello, Flaccianello, Tignanello. E poi quella degli -aia: Solaia, Ornellaia e via così. Era quel periodo in cui bevi vini del genere e non li capisci nemmeno, ma è un periodo che credo sia capitato a tanti. Anche se il primissimo ricordo che ho … fu di un Vinitaly con Carlo. Il mio primo Vinitaly. Eravamo allo stand di Giacomo Bologna e lì lui mi disse “vieni che un vino te lo do io”. Era un bicchiere di Moscato e mi sembrò la cosa più buona del mondo”.

Io però son rimasto con la testa al paragone Angelo Gaja/Brad Pitt e non ce la faccio a non prenderla in giro. “Ma guarda che anche quando Carlo Cioni mi parlava di Sergio Manetti, per me parlava di Brad Pitt!”. Aridagli! “Ma sì! Questi racconti di quando andavano ad assaggiare le prime annate di Montevertine e per arrivarci c’era la strada sterrata … io li ascoltavo ad occhi sgranati. E quando poi mi ci portarono, a Montevertine, fu come vedere un luogo dei sogni”.

Dice luogo dei sogni e non esagera. “Anche quando andai a vedere la vigna di Masseto, che ero davvero giovane, fu emozionante. Vedere quella vigna fisicamente, pensare che da lì vengono 4 vendemmie diverse, vinificate separatamente e poi assemblate. Lì iniziai ad avere un’idea di come viene pensato un grande vino”.

Ed è proprio vero che i luoghi sono importanti. “Ricordo 15 giorni in Champagne. Mi ero appena comprata la macchina, che ho tutt’ora: una Citroen Picasso. La riempimmo di vino. Poi volevamo andare in Alsazia, ma sbagliai strada e finimmo in Svizzera”.

Poco dopo, invece, Valentina finì a Milano. “Nel 2016 finii di lavorare Da Delfina, perché volevo provare a cambiare. Andai a Milano, senza un’idea precisa di quel che avrei fatto, salvo che volevo lavorare a Cantine Isola, ma quando arrivai a portare il curriculum me la feci sotto e tornai a casa”. La storia di come poi Valentina iniziò a lavorare in una delle più affascinanti enoteche d’Italia, passa attraverso l’incoraggiamento di Martino Manetti, quasi a riprendere il filo di quel vino che le fece venire la passione per il lavoro di sommelier.

“Quando entrai da Cantine Isola, lì dentro quel luogo incredibile, dissi: “Lo voglio”. Quando feci il primo inventario contai 2.998 diverse etichette. Iniziai coi voucher, ma più lavoravo lì, più desideravo starci. E quando, dopo un anno, ero ormai innamorata anche di Milano arrivò Johnny, che è uno dei 3 soci di qui”. Qui è l’enoteca Vigna Nuova, dove siamo seduti e dove Valentina puoi trovarla a consigliarti vini senza darti una carta da cui scegliere, ma mostrandoti tutte le sue bottiglie sugli scaffali che coronano quasi ogni parete. Se vi capita di andarci, chiedetele pure qualunque cosa. E statela ad ascoltare. Avrete in cambio consigli e racconti di chi, con grazia, coltiva una passione sconfinata.

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Tommaso Ciuffoletti

Ha fatto la sua prima vendemmia a 8 anni nella vigna di famiglia, ha scritto di mercato agricolo per un quotidiano economico nazionale, fatto l'editorialista per la spalla toscana del Corriere della Sera, curato per anni la comunicazione di un importante gruppo vinicolo, superato il terzo livello del Wset e scritto qualcos'altro qua e là. Oggi è content manager di una società che pianta alberi in giro per il mondo, scrive per alcune riviste, insegna alla Syracuse University e produce vino in una zona bellissima e sperduta della Toscana.

2 Commenti

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angela

circa 5 anni fa - Link

Beh, storia bellissima davvero. Grazia, espressione perfetta, elegante, sottile. In bocca al lupo Valentina!

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BT

circa 5 anni fa - Link

che gioia! e infatti dalla foro mi sembrava di averla già vista... (sì sono un habituè da lungo tempo di chez sarais cioè di cantine isola)

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