Dal 1700 una lezione per gli influencers dei giorni nostri: “L’Appetito” di Serena Guidobaldi

Dal 1700 una lezione per gli influencers dei giorni nostri: “L’Appetito” di Serena Guidobaldi

di Andrea Gori

«Non posso darvi da mangiare, mademoiselle. Io voglio darvi da mangiare, e non solo oggi, non solo domani. Vi chiedo il privilegio di accostare il cibo alle vostre labbra con le mie stesse dita ogni volta che lo desidererete. Ma avrò bisogno per questo mio progetto che voi siate mia complice. Accettate?»

Questa irresistibile proposta d’amore, una delle più belle che potreste fare ad un appassionato di enogastronomia, lega nell’ultimo libro di Serena Guidobaldi l’Italia e la Francia in un vortice di amore e morte tra Parigi e Roma a cavallo tra il 1700 e il 1800. Al giorno d’oggi l’Arlecchino è una maschera e i negozi di bigiotteria sono frivolezze per quindicenni ma tra il 1700 e il 1800 i “bijoutiers” indicavano i venditori di avanzi alimentari provenienti dalle tavole dei ricchi nobili e borghesi e gli “arlequins” erano i piatti preparati con gli avanzi, spesso sgargianti e multicolori come la maschera.

In qualche modo gli avanzi venivano resi appetibili per i tanti indigenti affamati che costituivano la plebe dell’epoca da cuochi e artigiani della cucina, in grado spesso di reinterpretare la materia prima con sorprendente abilità. Una maggioranza non tanto silenziosa, in Francia scatta la rivoluzione, ma che cercava di sfamarsi in qualsiasi modo non rinunciando a qualche godimento nell’atto di cibarsi, bisogno insopprimibile una volta che cominci ad annusare la qualità della proposta enogastronomica.

Cibandosi di proposte più raffinate aumentava, anche se solo apparentemente, il loro benessere e tutto faceva parte di una strategia di controllo sociale basilare per i regnanti dell’epoca. A Roma era la Chiesa a gestire questo mercato arricchendo i registri delle anime parrocchiali con i nomi di chi voleva mangiare mentre a Parigi era la nobilità a gestire questo business per mano di cuochi spesso di livello sopraffino. Ma che succede se un discendente di questi cuochi viene a Roma e prova a fare concorrenza alla Chiesa su questo lucroso business?

appetito cover

C’è una storia d’amore, ci sono divagazioni e approfondimenti, poesia e sangue, autentiche passioni e strategie di ingegneria sociale che fanno ancora più rabbrividire pensando quanto oggi la narcosi indotta dai programmi TV e web sul cibo sia diventata una gigantesca arma di distrazione di massa. Per non parlare del modo in cui la comunicazione alimenta una guerra tra poveri attuale allora ma ancora di più oggi.

Leggendo il libro, dettagliato come un saggio ma con momenti di azione e di introspezione di tensione notevole e coinvolgenti, si scoprono tante chicche sull’importanza socio politica del vino, allora ancora molto lontano dall’oggetto edonistico di oggi, come ad esempio che nel 1824 Papa Leone XII diminuisce la tassazione sul vino ma chiude le osterie che servivano vino perché «il vino bevuto in troppa grande abbondanza cagiona frequentemente scene funeste» istituendo i “cancelletti” attraverso i quali l’oste avrebbe venduto il vino che andava bevuto a casa (poi abrogati con papa Pio VIII).

Si scopre che i friggitori a Roma erano “molto benvoluti sia dagli osti, dato che non si poteva mangiare un fritto senza buttare giù un bel bicchiere di vino”.
Si leggono menu meravigliosi costruiti da scarti di tavole nobiliari come “l’anguilla all’acetosella, la razza al burro nero e la passera di mare del Cafè Riche, i piedini impanati con tartufi, i polli al cartoccio, le conchiglie ripiene di fegato grasso e i rognoni trifolati del Pétron di boulevard Montmartre, i pasticci d’Amiens, le terrine di Nerac, le acciughe del Fréjus e il formaggio Roquefort di Corcellet” che non sfigurerebbero in uno stellato di oggi.

Si legge come un saggio storico ma ci si appassiona come ad un romanzo e viceversa soprattutto se si riesce a sorridere degli aspiranti gourmet e sommelier che anche oggi si formano con quello che avanza dalla tavole imbandite e i fondini dei Margaux e Borgogna cui tutti noi “poveri sommelier” aneliamo a fine servizio.

L’appetito di Serena Guidobaldi

Curatore: Francesca Bianchi
Illustratore: Giuseppe Palumbo
Editore: Eris
Collana: Atropo narrativa
Anno edizione: 2020
Pagine: 208 p., ill. , Brossura
13€

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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