Vita (difficile) da sommelier
di Lisa FolettiIn questo mondo enoico l’unico modo per restare con i piedi ben piantati per terra, è parlare di vino con i clienti al ristorante. Sporadici gli espertoni (perché sono statisticamente una minoranza), pochi i filosofi del calice: semplicemente persone – tante persone – che vanno al ristorante per mangiare, farsi trattare bene, e magari bersi una buona bottiglia o un semplice calice (ma anche niente, alle volte).
La prima cosa che ho capito è che non posso parlare di vino come ne scrivo su Intravino o ne discuto con i colleghi: il linguaggio ha il dovere di essere comprensibile, immediato, certamente suggestivo e intrigante, ma diretto. La seconda riguarda i contenuti: ho presto imparato che devo mettere da parte le mie fissazioni e i tecnicismi, i dettagli sul terreno, sull’esposizione, sulla densità di impianto, sui grammi di solforosa, prediligendo aneddoti e storie, profili umani e racconti che facciano pregustare il sorso che sto proponendo.
Poi c’è la variabile umana, l’imprevedibile, e spesso il castello delle mie convinzioni e delle mie sovrastrutture crolla miseramente di fronte alle richieste, alle obiezioni, alle prese di posizione dei clienti. È vero che il cliente non ha sempre ragione, ma il mio obiettivo è quello di farlo stare bene, di fargli trascorrere una grande serata, di regalargli un piacere e, perché no, un’emozione. Posseduti dal demone del vino, a volte dimentichiamo il nostro ruolo: noi che lavoriamo nella ristorazione siamo certamente dei divulgatori, ma in primis ci occupiamo del benessere delle persone, di una parte preziosa e spesso risicata della loro esistenza, ovvero del loro tempo libero. Dunque, mettersi sul piedistallo o salire in cattedra, oppure semplicemente dimenticare la centralità del nostro interlocutore nella dinamica della serata è cosa fallimentare. Anche perché, poi, le cose non vanno mai come idealmente ci proponiamo.
C’è il cliente con le proprie certezze, e quello che dichiara di volersi affidare ma ti fa capire che non è disposto a spendere un centesimo per bere. Poi ci sono tanti – ma tanti – che vogliono rimanere nella loro zona di comfort, e lo capisci subito: con marcato accento toscano ti ordinano un Morellino di Scansano, con inflessione lombarda si lanciano sul primo Franciacorta che trovano in carta, o da qualsiasi zona d’Italia provengano, ti chiedono un gewürztraminer, declinato in “straminer”, “gheztramin” et similia. Allora sta a te capire se puoi portarli fuori da quella comfort zone oppure no, se vale la pena tentare o è meglio assecondare la richiesta.
C’è quello che si è innamorato di un certo vino e sogna di riberlo, c’è quello che “La mia signora beve solo vini dolci e fruttati”, quello che vuole il vino che sa di legno, quello del rosso leggero che non allappa, quello che cerca l’etichetta per fare bella figura, quello del “Ma quanti gradi fa??”. Ci sono pure i clienti che ti chiedono il wine pairing “Perché siamo curiosi e ci vogliamo divertire”, allora tu studi con cura gli abbinamenti in base ai piatti scelti, ti presenti con un bel sangiovese e uno di loro ti fa “Eh, no, io non bevo vini rossi”. Respiri profondamente e cinguetti “D’accordo, non si preoccupi, troveremo qualcosa di adeguato anche in bianco”.
Poi sul dessert hai in mente un abbinamento pazzesco con un vermouth artigianale e sempre lui ti fa “Ah, col dolce potrebbe darci qualcosa di siciliano, magari un passito di Pantelleria”. Vorresti piantargli gli occhi negli occhi e sibilare “Ma allora che cacchio avete scelto il wine pairing a fare?!?”, e invece no, reciti interiormente il tuo “Nam myoho renge kyo” con lo sguardo rivolto al cielo e rispondi con accondiscendenza, senza abdicare al tuo sorriso migliore. Perché poi, metterti di traverso a cosa servirebbe? Il passito di Pantelleria, quello no, non glielo concedi. Ma dando fondo alle tue riserve di pazienza, cerchi di mettere da parte la prosopopea e tutto il corredo di saccenza che, ammettiamolo, ti permea da quando sei diventato un “esperto del vino “, e provi a portare a casa il tuo piccolo risultato. Parlare di vino è anche questo, e la sala ce lo insegna.
13 Commenti
Spanna
circa 5 anni fa - LinkE perché al posto di pre dessert di pasticceria secca piuttosto scontata non offrire, insieme allo scontato passito di Pantelleria, l'abbinamento pazzesco col vermouth artigianale e accompagnare i clienti verso la redenzione ?
RispondiMattia Grazioli
circa 5 anni fa - LinkPer svariati motivi: - non puoi fare bere troppo qualcuno con il rischio di mandarlo fuori storto dal locale - costo del beverage che andrebbe ad incidere sul conto - serenità dell’addetto al servizio che rischierebbe lo smaronamento
RispondiLisa Foletti
circa 5 anni fa - LinkIl wine pairing ha senso se il cliente si affida al sommelier, che propone il miglior abbinamento (secondo lui) ad ogni portata. Se con quel dessert il passito di Pantelleria non ci sta, non è una questione di "redenzione": semplicemente, non ci sta. Offrire il calice a fine pasto è altra questione, che sta al sommelier gestire a seconda delle situazioni.
RispondiAlessandro Villa
circa 5 anni fa - LinkDescrizione perfetta che sottoscrivo. Alessandro Villa Vernazza Winexperience
RispondiTiziana Fornasari
circa 5 anni fa - Linksi percepisce esperienza passione e tanta volontà. anche quella buona...che fa sopportare le negatività che si presentano...👏👏
RispondiNicola
circa 5 anni fa - Link...👍
RispondiEnca
circa 5 anni fa - LinkAmmetto di aver imparato piuttosto in fretta a capire le esigenze di una clientela spesso esigente ma anche confusa; probabilmente grazie al fatto di aver sempre lavorato a contatto con un pubblico esigente anche per quanto riguarda una tazzina di caffè. Ho continuato ad imparare anch'io però...spesso proprio incuriosita da richieste alquanto strampalate....Sorrido nel pensare che non tutti i mali vengono per nuocere.
Rispondiroberto
circa 5 anni fa - LinkIl "wine pairing" e "equilibrio" della sostanze.......purtroppo non tutti siamo persone "equilibrati"!!!!
RispondiNicolo
circa 5 anni fa - LinkMa diciamo che bisogna cn molta serenità saper comunicare al cliente quali meravigliose emozioni potrà vivere se si affida al sommelier o chi di per sé che segue i tavoli se la persona in questione conosce cosa propone al cliente dal mangiare al bere e quindi far capire al cliente che può tranquillamente fidarsi tipo dv lavoro io riesco a ottenere nella maggior parte dei casi la fiducia dei clienti e quindi gestisco bene gli abbinamenti nonostante nn sia ancora un sommelier perché devo ancora iniziare il corso ma Sn un grande appassionato
RispondiClaudia
circa 5 anni fa - LinkCara Lisa, Io non mi intendo di vino professionalmente ma sono una life coach ed il tuo articolo parla di vita e di come ci si può approcciare ad essa . Complimenti per il tuo stile che denota molto altro che alla fine col vino non c 'entra nulla . Amore e passione per quel che fai e nel mettersi al servizio mantenendo comunque una centralità che può essere raggiunta solo con un buon lavoro su se stessi. Quindi che dirti se non cin cin ? Claudia Ricci
RispondiAlessandro
circa 5 anni fa - LinkCondivido appieno tutto quello che hai scritto. Spesso paragono il mestiere del sommelier a quello della guida di un museo. Puoi andare in un museo da solo, guardare i quadri, magari riconosci anche i più famosi o gli stili pittorici... In alternativa puoi farti accompagnare da una guida che magari ha studiato arte tutta la vita e potrebbe farti un'ora di disamina della pennellata di quel dipinto, ma se è brava sa raccontarti una storia e a quel punto il quadro brilla di una luce diversa e sa trasmettere altre emozioni. Col vino è la stessa identica cosa.
RispondiUgo Nicosia
circa 5 anni fa - Link... E comunque il passito di Pantelleria è sempre un vino top
RispondiSimeone Lo Stilita
circa 5 anni fa - LinkIl problema più grande dei sommelier al ristorante è che, soprattutto negli ultimi anni in cui sono spuntati come funghi, non hanno esperienza di sala. Ossia non hanno fatto mai i camerieri. E spesso quindi cadono nella trappola dell'ego che descrivi all'inizio. Capisco il nervoso che possano far venire, sempre di più negli ultimi 10 anni, le varie tipologie di clienti che pensano di sapere, o pretendono di sapere di vino. Pur avendo lavorato in sala in Italia e all'estero, dall' osteria ealla alta ristorazione, non riuscirei a non essere scortese con 3/4 della gente che incontro al ristorante ogni settimana (adesso sono passato dall'altra parte della barricata, e mi pagano pure per farlo).
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