Le craft distilleries crescono dappertutto. E da noi?

Le craft distilleries crescono dappertutto. E da noi?

di Thomas Pennazzi

Il mondo degli alambicchi, è il caso di dirlo, è in pieno fermento: negli Stati Uniti nel giro di due decenni il numero di fabbriche di alcolici, con il fenomeno delle Craft Distilleries, da poche decine è esploso a circa 1.000. E molte di queste, piccole o piccolissime, vivono facendo alta qualità, oppure estrema creatività. Così per le birrerie artigianali.

Posando lo sguardo oltralpe, dall’inarrivabile Austria, con oltre 90.000 licenze di distillazione, molte risalenti al regno di Maria Theresia e gelosamente tramandate, passando per la Germania, con circa 30.000 distillatori attivi, fino all’Inghilterra, dove la popolarità del gin non accenna ad arrestarsi e le distillerie a nascere, ben 49 nel solo 2015, si può intendere lo sviluppo di questo fenomeno. Soltanto la Svizzera, sebbene forte di tradizioni specialmente lungo il corso del Reno, e dove troviamo perfino alambicchi pubblici comunali, fa eccezione per subire la concorrenza dei prodotti UE: vi operano ormai solo 250 distillatori ufficiali. Non tutti questi produttori saranno di pregio, ma c’è la possibilità per chi lo volesse di mettersi alla prova, e di esplorare la propria arte ed il proprio talento alcolico, in piena luce ed a posto col fisco. Senza parlare dei moonshiner, perché i distillatori da garage sono comuni anche in questi Paesi, e di fatto tollerati: l’alcool prodotto con mezzi poco tecnologici si limita al consumo familiare e degli amici, ed in genere è molto ruspante.

In Francia fino al 2003 la situazione era simile a quella italiana, con una regolamentazione piuttosto dirigista, nonostante un vivo e tradizionale artigianato nelle aree ad AOC Armagnac, Calvados, e Cognac. Mentre per i vari Marc e Brandy si tratta per lo più di prodotti da impianti industriali, come il grosso della nostra grappa e del distillato di vino.

Tuttavia, da quell’anno la Francia ha liberalizzato il settore: a tutti coloro che possiedono «almeno un albero da frutto od una vigna, o ne sono affittuari o mezzadri», è stato concesso di distillare legalmente presso terzi, acquisendo la qualifica di «boilleur de cru». Un cambiamento radicale, che permette a tutti di cimentarsi con l’alambicco a semplici condizioni.

La tassazione è moderata: a chi già distillava in precedenza i propri frutti o derivati, è accordata una franchigia personale di 1000° alcolici (circa 25 litri di distillato a 40°), a condizione che sia destinata all’uso familiare.

A chiunque non disponga di questo privilegio, è concesso invece di produrre 1000° alcolici pagando un’accisa ridotta al 50%, sempre che i frutti siano di propria raccolta, e non se ne faccia commercio.

La lavorazione del fermentato deve avvenire presso un distillatore autorizzato, comunale, cooperativo, o privato, perfino ambulante nell’Armagnac, rendendo alla Dogana una dichiarazione semplificata, anche presso il proprio Comune. Si pagano circa € 8,7 di accise ogni 100° di alcool ottenuto, il doppio se oltre la franchigia (dati 2015), ma con un ulteriore sconto se si versa subito la tassa.

La differenza con le norme italiane, dove gli alambicchi e tutto il resto del percorso dell’alcool sono soggetti ad un’occhiuta piombatura e conta di ogni goccia del ricavato, con costante ispezione e tassazione da parte della Dogana, è impressionante. Da noi il distillatore è tassato perfino sui suoi indispensabili assaggi mentre sta lavorando all’alambicco, naturalmente con l’uscita ed il verbale dell’ispettore doganale, immaginiamo in quadruplice copia: costi burocratici enormi per pochi centesimi di accisa riscossa.

Da anni gli appassionati di spiriti chiedono anche in Italia maggiore libertà di distillazione, proprio per far emergere energie, risorse, e creatività, anche giovanile. Invece i governi si succedono, e non fanno che aumentare le accise sugli alcolici con cadenza impressionante.

Quando sentiamo parlare i politici di «crescita», purtroppo dobbiamo intendere solo quella delle tasse: il resto sono chiacchiere, romane o toscane che siano; una legislazione semplificata, simile a quella francese, comprensiva della possibilità di distillare a piccolo volume per farne commercio, aprirebbe la strada a molta gente che ha disponibilità di frutta o vino o vinacce, e voglia di cimentarsi con un’arte nobile. Ci guadagnerebbe il fisco, se a pagare le accise fossero i tanti microproduttori-consumatori come in Francia, invece di affliggere la filiera con un’oppressione tributaria degna dell’Ancien Régime.

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Thomas Pennazzi

Nato tra i granoturchi della Padania, gli scorre un po’ di birra nelle vene; pertanto fatica a ragionare di vino, che divide nelle due elementari categorie di potabile e non. In compenso si è dedicato fin da giovane al suo spirito (il cognac), e per qualche anno ne ha scritto in rete sotto pseudonimo.

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